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Risarcimento per le donne vittime di violenza sessuata - Una proposta di legge

Risarcimento per le donne vittime di violenza sessuata - Una proposta di legge

Una legge sul risarcimento pubblico delle vittime di violenza sessuata. La chiedono le donne della Campania e non solo e da Napoli inizia il viaggio attraverso l'Itaia

Lunedi, 25/01/2010 -
Inizia da Napoli il viaggio attraverso l’Italia della proposta di legge per il “Risarcimento pubblico alle vittime di violenza sessuata”, un testo di legge firmato da Stefania Cantatore, Rosaria Esposito, Avv.ti Elena Coccia, Mariagiorgia de Gennaro e Mariapia De Riso nella condivisione e con il sostegno di donne e associazioni della Campania e non solo sia nella fase di elaborazione dell'idea sia nel momento della presentazione.

Il viaggio è cominciato da una sala “che ci voleva coraggio perché è troppo grande” e che invece si è rivelata quella giusta, grazie al lavoro di tutte. Per tutte noi, intendendo con noi anche quelle che ci hanno appassionatamente seguite da tutta Italia, è l’inizio di una nuova sfida non di una provocazione: un nuovo piano di confronto col Paese e con le Istituzioni nel merito della condizione di illibertà imposta alle donne, perché donne. Le donne sanno che combattere la lotta ai meccanismi delle violenze è qualcosa di più che lotta al crimine. Tuttavia è dal crimine che ancora una volta si deve riprendere parola, perché è quello che è socialmente e politicamente tollerato. Risarcire le vittime, almeno, diciamo noi. Risarcire con un fondo pubblico, perché la responsabilità è pubblica. Tutte coloro che hanno chiesto di “far viaggiare” la legge la riceveranno via mail, e speriamo che ancora tante la chiederanno. Abbiamo pensato ad una raccolta del consenso attraverso la firma, ma pensiamo anche alla mobilitazione con un presidio nella piazza del Parlamento, come tappa successiva. Il gradimento espresso dalle parlamentari che hanno ricevuto il testo, naturalmente, ci incoraggia sulla prospettiva della riapertura di un dibattito più ampio anche nelle Istituzioni che, non dimentichiamo, sono quelle che gestiscono le risorse. Per questo crediamo sia stato importante consegnare anche formalmente il testo a Maria Fortuna Incostante, che ha voluto essere con noi per tutta la durata dell’incontro, Annamaria Carloni e Silvana Mura. Le associazioni e il movimento delle donne del napoletano sono senza fissa dimora non per questo non hanno una casa. La loro casa sono le iniziative, i luoghi che di volta in volta segnano il convenire e il condividere: l’ospitalità femminilmente offerta da Valeria Valente è una forma di sostegno e condivisione che ci aspettiamo per la durata della nostra impresa. Salutiamo, simbolicamente per tutte le altre, le prime due viaggiatrici Matilde Lanzino (fondazione Roberta Lanzino) e Imma Barbarossa.



Prime firmatarie

Udi di Napoli, Associazione Maddalena, Associazione donne medico, Arcidonna, Comitato 194, DonneSuDonne, Centro EVA, Elvira Reale, Simona Ricciardelli, Ersilia Salvato, Elena Coccia, Maria Giorgia De Gennaro, Maria Pia de Riso, Angela Cortese, Annamaria Spina, Giovanna Crivelli, Udi di Catania, Carla Cantatore, Spazio Aspasia, Annalisa Marino, DonneSuDonne, Controviolenzadonne, Carmela de Santo, Rosetta Papa, Arcilesbica-Le Maree, Lidia Menapace, Associazione Salute Donna, Laura Capobianco, Febe Onlus., Udi Reggio Calabria, Valentina Riegel, Associazione Ernesto Rossi, Antonella Cammardella, Marisa Russo, Fiorenza Taricone, Luisa Festa, Titti Marrone, Annamaria Schena, Lina di Maio, Ester Basile e associazione Pimentel, Lia Polcari e La libreria Evaluna, Floriana di Maggio, Armando Giraud, Silvia De Maria, Maria Rosaria Cuocolo, Roberta Arsieri, Alisa del Re, Mariella Pelligra, Luisa Menniti, Teresa Boccia, Maria Assunta Vecchi, Marcella Brevetti, Comitato Internazionale 8 Marzo, Maria Luisa Rega, Rosaria Giugliano, Rita Sepe, Arcilesbica Udine, l’Orsa Maggiore, Cooperativa Dedalus, Tania Castellaccio, CEDAV- Messina, Udi Lentini, Luminaria-Palermo, rivista 'noidonne', Tiziana Bartolini, Pina Tommasielli, Rosangela Pesenti, Coordinamento Lesbiche Romane, Emilia Lanzaro, Imma Barbarossa, Matilde Lanzino



Informazioni, contatti e adesioni:

udinapoli@gmail.com

3334843616





Testo di presentazione per la proposta di legge per il risarcimento pubblico delle vittime di violenza sessuata



In Italia non si parla più della legge organica contro le violenze sessuate.

Eppure il vuoto legislativo si evince proprio nel capitolo “pericolosità sociale”

Lì sta il perché del richiamo della Corte Europea sulla libertà concessa ad un femminicida che ha poi ucciso ancora.

Il tempo delle donne non è quello degli uomini.

Il Parlamento dovrà prenderne atto ed intanto riconoscere per legge il diritto delle vittime di violenza sessuata al risarcimento pubblico

Il 2015 viene indicato dall’ONU come l’anno nel quale gli Stati membri dovranno andare all’eliminazione della violenza contro le donne.

Le risoluzioni per l’attuazione degli obiettivi posti dalla CEDAW (convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne), di cui nel 2009 è ricorso il trentennale, sono state sottoscritte dall’Italia.

A quella sottoscrizione non sono seguite misure parlamentari e di governo a conferma della priorità dell’impegno per l’eliminazione dei meccanismi che determinano la discriminazione delle donne.

L’eliminazione della violenza degli uomini sulle donne, in tutte le risoluzioni dell’ONU, recepite dall’Europa, è indicato come obiettivo centrale e prodromico all’abolizione delle subalternità del genere femminile.

In Italia le donne e il femminismo organizzato hanno costituito una rete politica e solidale; da quell’esperienza hanno espresso il punto di vista fondato sulla consapevolezza dei diritti ed hanno spostato i traguardi per la realizzazione della democrazia.

Dalla modifica del codice Rocco fino al riconoscimento del reato Stalking, le argomentazioni del movimento delle donne per l’eliminazione della violenza degli uomini sulle donne sono state “interpretate” riduttivamente dalla politica Italiana, che è storicamente indifferente alla rivendicazione di una legge organica.

Questa indifferenza fattuale a considerare il fenomeno nella sua reale dimensione, ha prodotto uno spezzettamento teorico di comodo del fenomeno che, anche dal punto di vista lessicale, dissimula che la violenza sessuata (degli uomini sulle donne e sulla prole) è una modalità dalla radice unica, e cioè che è l’espressione e l’affermazione dell’asimmetria di potere tra generi, presente in ogni segmento dell’articolazione dei rapporti socio-economici.

Abbiamo, infatti, diverse classificazioni di un unico reato, facendolo apparire come tale solo quando è stupro di strada, modulandone negli altri casi la nomenclatura in relazione al luogo dove si perpetra il crimine: bullismo nelle scuole, mobbing sessuale sui posti di lavoro, delitto passionale, violenza domestica, omicidio tribale, prostituzione coatta, prostituzione minorile e via dicendo.

L’elaborazione dei movimenti femministi e dei centri antiviolenza ha permesso di vedere in modo chiaro nelle radici del problema, che è strutturale, e nella diffusione, che ne fa un fenomeno socio-criminale.

È da quell’elaborazione che la politica ha preso la terminologia politicamente attribuita al fenomeno, senza nominare le fonti. E’ infatti da quell’elaborazione che attinge definizioni e le svuota del loro significato, per legittimare interventi che non disturbano il perpetuarsi della violenza . Va detto inoltre la prevenzione, che normalmente è prevista per ogni reato, non è mai presa in esame.

Quella che oggi anche i Governi chiamano rete antiviolenza, è costituita per lo più da iniziative messe in campo dalle donne, preesistenti alla presa in carico del problema da parte dello Stato, per altro recentissima.

La rete antiviolenza è un’invenzione femminile, che appunto ha preceduto lo Stato, autofinanziandosi e gestendosi con mezzi commisurati appunto alla possibilità delle donne che lo gestivano. Doveva forzatamente limitarsi ad azioni ex post, cioè a violenza avvenuta.

Lo Stato, sul danno avvenuto, investendosi, formalmente, del crimine e delle vittime, non ha però aggiunto nulla a quanto le donne già facevano. Ne rivendica semplicemente l’azione come propria.

Dalla lettura delle leggi finanziarie si evince l’irrisorietà dei finanziamenti e quindi l’irrilevanza attribuita alle vite delle donne.

Questo comportamento diventa difficile da giustificare di fronte all’enfasi con la quale i politici sostengono di avere volontà di intervenire sul problema.

Difficile da giustificare, ma si giustifica, a dispetto delle intelligenze, contabilizzando nelle risorse impiegate contro le violenze sulle donne, fondi normalmente destinati ad altri scopi, come la repressione verso gli immigrati.

Infatti Il contrasto pubblico alle violenze è stato pretesto per operazioni di ordine pubblico, che come si può osservare non hanno modificato significativamente i dati di sempre, neanche negli stupri di strada.

Questa politica che non destina risorse e che non vuole nei fatti affrontare il problema, di cui è stata costretta ad occuparsi, cerca di difendersi anche da una crescita delle denunce dei crimini nelle mura domestiche. Vediamo infatti che l’azione fatta dalle donne per incoraggiare le denunce, ha come interfaccia governativa la produzione di spot televisivi e cartacei che (fastidiosamente imbevuti di retorica sulle cittadine rappresentate come fiori) comunicano senza alcuna possibilità di altra interpretazione che la responsabilità principale è proprio delle vittime che non “hanno il coraggio” di denunciare.

Va allora detto che il contesto attuale, che non ha mai smesso di sottintendere la sottomissione femminile, davvero richiede molto coraggio alle vittime. Dopo la denuncia spesso le donne si trovano ugualmente minacciate, più povere e senza casa, mentre i colpevoli raramente cambiano condizione.

Intanto, nella difficoltà di quantificare il reale impiego dei fondi comunque erogati, non si comprende come e dove questi vengano assegnati, vista la precarietà nella quale vivono gli insufficienti servizi tenuti in essere dalla volontà delle donne.

L’unica certezza è che, sotto diverse forme, fondi pubblici vengono assegnati ad alcune realtà religiose che si occupano invece di donne bisognose, in procinto di abortire, ragazze madri (desta una certa indignazione la riscoperta di questa locuzione in luogo di “madri capofamiglia”), poi conteggiate nella rete antiviolenza, per la cronica mancanza di fondi.

In questa prospettiva si vedono improvvisare sportelli, centri, case di accoglienza che non danno alcuna garanzia di rispetto dei protocolli riconosciuti per l’accompagnamento delle vittime in un percorso di autodeterminazione.

Si vede crescere l’antiviolenza come affare e occasione di clientelismo politico. In questa prospettiva, ancora, si è aperto il fronte arcaico della beneficenza e delle donazioni su cui è difficile stabilire un benché minimo controllo.

Questo spaccato, che solo in parte descrive lo scarso effettivo interesse della politica Italiana a contrastare la violenza sessuata, prefigura la prospettiva di un sempre crescente ritardo di fronte alle cittadine e sulla scena mondiale al 2015.

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Il punto di oggi non è più dimostrare che la violenza esiste perché un genere la impone all’altro, al di là delle convinzioni dei singoli politici o dei singoli cittadini, ma anche, perché no, al di là delle convinzioni di donne che pur avvertendo la tortura cui sono sottoposte non possono poi decidere che altre e le proprie figlie la subiscano tramandando un crimine che è insieme un privilegio.

Il punto di oggi è che di fronte a quanto accade e può accadere ad ogni donna, lo Stato Italiano, pur considerando ufficialmente la violenza sessuata un crimine, ancora vi si pone di fronte non avvertendo il proprio obbligo a garantire il rispetto un diritto umano.

Non si tratta per la politica di governare i sentimenti, perché non le compete e perchè questo attiene alle libertà individuali: si tratta di impedire che questi sentimenti e le convinzioni personali abbiano la forma e peso politici che condizionano la legalità verso le cittadine Italiane e verso i paesi coi quali si tratta e si scambia.

Se siamo ancora al punto in cui lo Stato, su un crimine che dimezza e a volte annulla il diritto di cittadinanza femminile, si limita ad auspicare pubblicamente buoni sentimenti, tollerando nei fatti pratiche femminicide, sarà il movimento organizzato delle donne a dover ingaggiare azioni necessarie ad uscire dalla logica del semplice riparo al danno avvenuto e del semplice riconoscimento che il crimine c’è.

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Facendo un paragone incongruo, ma commisurato alla capacità di comprendere del livello politico attuale, non c’è che da chiedersi quale credibilità potrebbero reclamare un Governo ed uno Stato che di fronte alle mafie si comportassero in modo analogo a quanto agiscono verso le violenze commesse sulle donne.

Se pure la violenza sessuata ha carattere più distruttivo delle mafie perché attraversa tutte le condizioni e tutti i livelli di potere, va affrontata dal potere politico almeno per quanto si fa per le mafie.

Più delle mafie la violenza espressa sulle donne corrompe, sposta risorse economiche, crea situazioni patrimoniali illegittime, blocca interi segmenti dell’economia. Più delle mafie fidelizza e condiziona consensi, è fonte di ricatto e limita la democrazia. Più delle mafie condiziona e distorce i rapporti politici.

Si tratta insomma di un fenomeno criminale che per carattere strutturale, diffusione e ripercussioni costituisce pericolosità pubblica e sociale.

Più che per le mafie, anche di fronte alle scadenze della legalità internazionale nell’incontro tra le culture, deve essere reso visibile e non equivocabile l’interesse superiore della Nazione all’eliminazione della violenza sessuata.

Gli Stati e lo Stato Italiano hanno una strada obbligata per acquisire credibilità nella lotta al crimine: compiere gesti onerosi e significativi.

Sul modello che ha affermato l’interesse superiore dello Stato a combattere le mafie, va almeno e necessariamente riconosciuto il diritto al risarcimento delle vittime di violenza sessuata. La creazione di un congruo fondo pubblico per il risarcimento, costituito dal sequestro dei beni degli autori dei crimini, con modalità eque verso le loro famiglie incolpevoli, costituisce ormai una tappa obbligata e percorribile .





TESTO DELLA LEGGE

LA VIOLENZA SESSUALE
, NUOVE FRONTIERE E RISARCIMENTO DEL DANNO

(Stefania Cantatore, Rosaria Esposito, Avv.ti Elena Coccia, Mariagiorgia de Gennaro e Mariapia De Riso) 




L’Organizzazione delle Nazioni Unite, nella IV Conferenza Mondiale, ha riconosciuto che la violenza contro le donne è “un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di uguaglianza, sviluppo e pace, e che viola e inficia il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali”. Inoltre, definisce la violenza sulle donne come la principale manifestazione di diseguaglianza nei rapporti tra donne e uomini.

Definisce inoltre il maltrattamento sulle donne “come una conseguenza dei condizionamenti socio culturali che agiscono sul genere maschile e femminile, collocando (la donna) in una posizione subordinata all’ uomo, e che si manifestata in tre ambiti relazionali basilari della persona: maltrattamento nelle relazioni di coppia, aggressioni sessuali nell' ambito sociale e molestie sul lavoro”.

La Conferenza di Pechino aveva già definito la violenza sessuata “reato di genere”, mettendo in forte rilievo il fattore culturale all'origine della stessa.

Il Cedaw ha inoltre proclamato che gli Stati membri dell'ONU devono impegnarsi, entro il 2015, a porre in essere tutti gli strumenti legali di contenimento e tutela sociale, per l'eliminazione, o quanto meno la riduzione, della violenza sulle donne.

Del medesimo orientamento: la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1979; la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro la donna proclamata nel dicembre 1993 dall’Assemblea Generale; le risoluzioni dell’ultimo vertice internazionale sulle donne svoltosi a Pechino nel settembre 1995; la risoluzione WHA49.25 dell’Assemblea Mondiale della Sanità, che definisce la violenza come un problema prioritario di salute pubblica, adottata nel 1996 dall’OMS; il rapporto del Parlamento Europeo del luglio 1997; la risoluzione della Commissione per i Diritti umani delle Nazioni unite del 1997; la proclamazione del 1999 quale Anno europeo della lotta contro la violenza di genere.

Più di recente, la decisione n. 803/2004/CE del Parlamento Europeo, che approva un programma di azione comunitario (2004-2008) per prevenire e combattere la violenza esercitata su bambini, giovani e donne, per proteggere le vittime e i gruppi a rischio (Daphne II), ha definito la posizione e la strategia da mettere in atto per i rappresentanti delle cittadine e dei cittadini dell’Unione.

Tuttavia, nonostante il buon esito della Legge italiana 66/96 e la sensibilizzazione dell'opinione pubblica e delle istituzioni preposte, che hanno visto nascere e moltiplicarsi sul territorio nazionale Centri antiviolenza, associazioni femminili, ONG preposte alla prevenzione, alla tutela e contrasto alla violenza sessuale, e nonostante che la sensibilizzazione su tale argomento sia oggi considerata come valore condiviso da tutti i gruppi politici presenti in Parlamernto e nel Paese, bisogna però rilevare che la violenza sulle donne e sui bambini, le molestie sessuali e sul lavoro, non sono affatto diminuite.

Addirittura nel corso del 2009 ben 103 donne in Italia sono state uccise mentre ancora non è possibile effettuare indagini statistiche sul numero delle violenze sessuali perpetrate, anche in considerazione del fatto che le denuncie sono solo la punta di aisberg del fenomeno.

Occorre quindi che l'Italia si munisca di un sistema complessivo che tenga conto, a 360 gradi, della materia legata alla violenza sessuata, di modo che essa sia affrontata sia sotto il profilo della prevenzione che della tutela e del contrasto, dal momento che viviamo una realtà nella quale i messaggi provenienti dai mass-media e dalla pubblicità, tendono a comunicare l’esatto contrario.

Molteplici sono infatti i messaggi subliminali che attentano alla dignità della donna, determinano nel sentire e nella cultura comune uno svilimento del rispetto dei principi costituzionali basati sull' uguaglianza, sull'autodeterminazione  e sulla convivenza civile.

Recependo quindi le esigenze delle donne, sia vittime che operatrici nel campo della violenza, ed ispirandoci al modello spagnolo , che per primo ha dato organicità agli impegni iternazionali assunti, riteniamo di poter offrire taluni suggerimenti.

 

La nostra proposta non è, pertanto, di modifica alla Legge 66/96, bensì una integrazione ad essa, nel rispetto delle raccomandazioni degli organismi internazionali ed degli impegni assunti dagli Stati in quelle sedi.

 

Auspichiamo pertanto l'inserimento delle nostre proposte all'interno di una Legge quadro che, senza modificare gli aspetti positivi della normativa già esistente, tenga conto delle della necessità di esaminare la problematica in tutti i suoi aspetti, dalla prevenzione al reinserimento della vittima.

Auspichiamo altresì che, in questa prospettiva, venga finalmente regolamentata la forma più nuova di violenza, ovvero il mobbing sessuale che viene esercitato su tutte quelle lavoratrici precarie e non, sottoposte in ogni caso, al ricatto della conservazione del lavoro.

 

1) PREVENZIONE

E' necessaria la formazione dei soggetti preposti all’educazione, alla sensibilizzazione ed al controllo sui messaggi che quotidianamente, attraverso la pubblicità ed i mass media, violano la dignità dell’essere umano, nel rispetto dei principi approvati dal Parlamento Europeo nella Risoluzione sulla Discriminazione della Donna nella Pubblicità (R.A4258-16/09/1997).



2)
FORMAZIONE ED ASSISTENZA  

La formazione deve riguardare tutti quei soggetti preposti ad offrire l'aiuto di primo impatto alle donne in difficoltà: operatrici-ori, assistenti sociali, medici, forze dell'ordine, avvocati.

Auspichiamo che l'informazione, il primo contatto e l'assistenza possa essere offerta da Centri di Assistenza Permanenti, diffusi sul territorio ed in particolare nelle zone a rischio, in grado di offrire prestazioni specialistiche e multidiscplinari.

Tali centri vanno adeguatamente sostenuti economicamente, per consentirne il funzionamento e l'efficacia.

Dovrà essere necessariamente riconosciuto il diritto al patrocinio a spese dello Stato, sia per le vittime che per gli enti esponenziali.

Siamo consapevoli che nelle maggiori città italiane sono stati sottoscritti protocolli con le Forze dell'Ordine e talora con le ASL affinchè venga assicurata la presenza di personale specializzato, tuttavia tale garanzia dovrà essere estesa a tutto il territorio nazionale.

Non sfugge tuttavia che la maggior parte delle violenze viene consumata in famiglia e che pertanto i medici di famiglia e la scuola costituiscono ancora oggi il primo recettore di allarme. A tal uopo si auspica la formazione specifica degli insegnanti e dei medici di base.

Non dovranno essere esenti da una specifica formazione e preparazione professionale, assistenti sociali, avvocati e magistrati.


Si auspica, inoltre, la costituzione, in tutte le Procure, di pool specializzati nel contrasto della violenza sessuata, in famiglia e su persone.

Auspichiamo la costituzione di una rete nazionale   al fine della presa in carico della vittima affinchè venga indirizzata al presidio competente più vicino, le vengano fornite tutte le prime informazioni necessarie, ed avviata presso strutture protette, nel caso in cui richieda.

 

3)    CONTRASTO

Il movimento delle donne non si è mai appassionato all'entità della pena, tuttavia appare evidente che il contrasto alla violenza sessuata deve attuarsi anche attraverso un processo celere che consenta, nella garanzia di tutte le parti, la certezza della pena.

Non vi è dubbio che la celerità del processo è un valore aggiunto ineludibile soprattutto in presenza di giovani donne il cui diritto fondamentale è la restituzione, il risarcimento del danno, il superamento del lutto.

A tal uopo auspichiamo l'allargamento dell'incidente probatorio a tutte le vittime di stupro, abusi e violenze sessuali, anche se adulti.

La raccolta anticipata della prova consente quindi di poter attuare, in caso di positività della stessa, il sequestro dei beni dell'indagato eccezion fatta per i beni necessari al sostentamento del coniuge e della prole.

Analogamente andranno sequestrati, nel caso di vittime di mobbing o violenza sessuale, beni non vincolati alla contribuzione e retribuzione se legittimi.

4) FONDO DI GARANZIA PER LE VITTIME DI VIOLENZA SESSUATA

Devono essere previste misure di sostegno economico affinchè venga costituito un fondo di garanzia per le vittime della violenza sessuata, come già il nostro ordinamento prevede per le vittime della strada e della criminalità organizzata.

Nella consapevolezza che il reato di genere è un reato gravissimo,   riconosciuto a livello internazionale come violazione di un diritto umano, riteniamo che, così come vengono riconosciute, nel nostro ordinamento, fondi di solidarietà e di garanzia per le “ vittime delle richieste estorsive” (L. 44 del 23.02.99) e per “le vittime della strada” (L.990/69), si preveda di istituire un fondo di garanzia per le vittime di violenza sessuata, da integrare con i beni sequestrati al reo, con assicurazione con contributo statale, e con modalità simili a quelle già sperimentate per i suddetti fondi.

Tale esigenza nasce dala considerazione che il reato di violenza sessuata, lungi dall'essere meno importante dei danni derivanti da incidente stradale o da quelli derivanti da richieste estorsive, produce un danno sociale di rilevantissima entità, non solo alla vittima ma all'intera comunità. 

In particolare, soprattutto in caso di violenza intrafamiliare, il fondo deve garantire le vittime, se appartenenti a famiglie carenti di risorse economiche, ogni forma di sostegno sociale in tutti quei casi in cui si presume che la vittima, per età o per condizione economica, non possa emanciparsi dall'aggressore.

 

5) REINTEGRAZIONE SOCIALE

Sul modello della normativa spagnola, che per prima ha recepito la necessità di trasferire in una legge organica gli impegni assunti attraverso la sottoscrizione delle convenzioni internazionali, indipendentemente dal risarcimento,ci si dovrà impegnare a   garantire alla vittima di violenza di genere:

- Il diritto al lavoro e alle prestazioni della sicurezza sociale: la lavoratrice vittima della violenza di genere avrà diritto alla riduzione o alla riorganizzazione dei suoi tempi di lavoro, alla mobilità geografica, al cambiamento della sede di lavoro, alla sospensione del rapporto di lavoro con mantenimento del posto. Il tempo di sospensione va considerato come periodo di contribuzione effettiva. La ripresa del lavoro da parte della lavoratrice avviene alle condizioni esistenti al momento della sospensione del contratto. Le assenze o la mancanza di puntualità provocate da situazione psichica o psicofisica, derivanti dalla violenza di genere, saranno considerate giustificate su decisione dei servizi sociali che avranno preso in carica la donna.

- Le lavoratrici autonome,  vittime di violenza di genere e che cessino la loro attività per rendere effettiva la loro protezione o il loro diritto alla ripresa psicologica, potranno beneficiare di una sospensione del versamento dei contributi.



- Nei casi particolari in cui il reato di genere venga perpetrato all’interno delle mura domestiche ai danni di soggetti deboli legati all’esecutore materiale del reato da rapporti familiari, di convivenza ecc..anche per   sudditanza economica, si dovrà favorire in tutti i modi l’affrancamento della vittima dal carnefice, anche dal punto di vista economico e, indipendentemente dalle forme di risarcimento, approntare tutti gli strumenti necessari atti ad avviare tali soggetti all’indipendenza economica.

-Il soggiorno eventuale presso le case famiglia e l’allontanamento dalla propria abitazione deve essere per brevi periodi ed il risarcimento, lungi dall’essere una sorta di assistenzialismo fine a se stesso, deve trasformarsi in opportunità per la vittima.

 

 

 

 

 

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