Dopo il referendum/ L’importanza di un confronto sereno - “Credo che chi abbia davvero perso sia stato il Logos, la parola”. “Mi sono più volte espresso a favore della legge, in quanto rispettosa dei diritti del nascituro”
Luca Vita Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2005
“Il tempo dunque sembra dar ragione, per continuare la metafora […] non a coloro che vedevano o tutto rosso o tutto nero, ma a quelli che non hanno avuto timore di insinuar qualche dubbio nei troppo eccitati difensori dell’una o dell’altra parte. A coloro, vorrei dire, che accusati, a volta a volta, di aver fatto il gioco di questa o quella parte, si vien dimostrando al contrario che stavano facendo […] il gioco di nessuno, che è poi il vantaggio di tutti.”
Con queste parole Norberto Bobbio apriva una sua opera del 1955, “Politica e cultura”. L’Italia attraversava, allora, la fase della guerra fredda e il filosofo torinese rivolgeva ai lettori un “invito al colloquio”, certo della potenza risolutrice della parola, del Logos. Confesso che, da cristiano, ho sempre letto con passione il primo capitolo del Vangelo di Giovanni. “In principio era il Verbo…”, come a sottolineare l’importanza della Parola, del dialogo, del colloquio, nell’esistenza dell’essere umano e nel suo rapporto con una divinità dialogante.
Credo che in occasione del dibattito che ha preceduto e che sta seguendo il referendum sulla legge 40, la parola abbia perso un’occasione eccellente per aprire un colloquio. I toni che ho letto sui giornali e che ho sentito pronunciare, anche da persone a me vicine, non erano affatto toni dialoganti. Erano piuttosto toni guerreschi, linguaggi che ricordavano vecchie ed eterne contrapposizioni. Poche sono state le voci disposte a cercare insieme una lettura etica per una questione così importante.
In particolar modo mi ha fatto riflettere l’uso della parola difesa. Si è molto parlato, su entrambi i fronti, di difesa dei diritti o difesa della vita. Ma la parola difesa implica un attacco da parte di qualcuno, dal quale è necessario difendersi. Dunque la parola difesa descrive una situazione di battaglia, di guerra e tende a giustificare anche comportamenti eccezionali, fuori dalla norma, proprio perché la situazione in cui si crede di essere è del tutto eccezionale. Ho sentito molti parlare di “difesa con ogni mezzo”, frase che, pur riferendosi ad ogni mezzo legale a disposizione del proprio fronte d’appartenenza, aveva ed ha un forte connotato di aggressività.
Di fronte a questa forte contrapposizione confesso d’essermi trovato a disagio. Un disagio derivante dall’essermi più volte espresso a favore della legge, in quanto rispettosa dei diritti del nascituro. E questa mia scelta era ed è motivata dal fatto che sono (o perlomeno cerco di essere) un cristiano “a 360 gradi”, ma anche (e tanto gioca in questo anche il mio essere cristiano) una persona sensibile a temi proposti dalla sinistra, quali l’eguaglianza tra gli uomini e la difesa del più debole. In questa mia posizione credo abbia giocato tanto anche il dubbio esposto da Bobbio, già molti anni fa: “Nel rapporto tra la madre e il nascituro, chi è il più debole? Non è forse il secondo?”. Un dubbio, per l'appunto!
Questo dubbio non portava automaticamente alla scelta astensionista. Ma esigeva ed esige tuttora una risposta. Al contrario quel dubbio ha attirato il severo giudizio di chi ha definito questa posizione talebana o bigotta, come pure quella di chi non ha esitato a considerarmi ideologizzato, soltanto perché non ero pienamente convinto della scelta astensionista.
Ora che il referendum è stato bocciato credo, però, che si aprano delle prospettive nuove. Il mancato raggiungimento del quorum, sul quale credo abbia influito notevolmente non dico l’indifferenza, ma perlomeno la mancata comprensione del tema, obbliga tutti a riprendere un dialogo, un confronto sereno che è mancato in Italia per troppo tempo. A sua volta questo confronto esige una maturazione. Da parte di chi guarda il mondo da una prospettiva laica, per far sì che questa importante componente dell’esperienza umana non si riduca ad un mero anti-cattolicesimo, ma si faccia promotore di una nuova filosofia della ragione dialogante e dialogica. Come pure da parte di chi, come me, parte dal messaggio cristiano, perché si comprenda, una volta per tutte che, come ha detto Papa Ratzinger, “la fede…durante tutto il corso della nostra vita rimane un cammino, e perciò è sempre minacciata e in pericolo. Ed è anche salutare che si sottragga in questo modo al rischio di trasformarsi in ideologia manipolabile. Di indurirsi e di renderci incapaci di condividere riflessione…con il fratello che dubita e che s’interroga. La fede può maturare solo nella misura in cui sopporti e si faccia carico, in ogni fase dell’esistenza, dell’angoscia e della forza dell’incredulità e l’attraversi infine fino a farsi di nuovo percorribile in una nuova epoca”.
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