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Ricordo di Elena Gianini Belotti in occasione dell'emissione del francobollo a lei intitolato

Ricordo di Elena Gianini Belotti in occasione dell'emissione del francobollo a lei intitolato

Articolo di Laura Remiddi pubblicato in giudicedonna.it (Numero 1 /2024)

Mercoledi, 22/05/2024 - Per la celebrazione della giornata della donna dell’8 marzo di quest’anno le Poste Italiane hanno emesso un francobollo alla memoria di Elena Gianini Belotti, in cui è riprodotta una sua bella fotografia sorridente con la dicitura: “pedagogista”, e in una cerimonia ad hoc si è proceduto all’annullo Filatelico alla presenza, fra altre personalità, della nipote Barbara Belotti, curatrice dell’archivio che sarà affidato alla Fondazione Gramsci. Non un francobollo per affrancare la corrispondenza che ormai viaggia con sistemi non cartacei, ma destinato al collezionismo, la cui importanza è da segnalare soprattutto per motivi culturali. Con tale emissione è stata accolta l’iniziativa promossa dall’associazione Noi Rete Donne, coordinata da Daniela Carlà, con il proposito di rendere omaggio a questa importante figura che ha segnato in modo significativo l’evoluzione e il percorso del movimento per la liberazione della donna dagli stereotipi sessisti.

Elena Gianini Belotti ha acquistato fama e riconoscimenti a seguito della pubblicazione nel 1973 del suo libro “Dalla parte della bambine” (Feltrinelli) nel quale, in base alla sua esperienza educativa con genitori e figli in età prescolare presso il Centro Nascite Montessori, ha presentato in chiave critica l’influenza dei modelli culturali applicati nella educazione dei bambini nei primi anni di vita, con deplorevoli differenziazioni e giudizi valoriali in base al sesso a sfavore di quello femminile. Il testo, tradotto in molti paesi del mondo, ha rappresentato un punto di riferimento fondamentale per il femminismo, proprio per avere identificato, in modo chiaro e argomentato, che le differenze fra maschi e femmine non sono dovute a fattori innati bensì a condizionamenti sociali e culturali. Gli scritti della Belotti, sempre nella saggistica, sono proseguiti con “Che razza di ragazza”, “Prima le donne e i bambini” e “Non di sola madre”.

Ma, oltre ad aver segnalato la sua felice intuizione che l’origine delle discriminazioni nei confronti delle donne è da individuare proprio nei modelli educativi differenziati in base al sesso, Elena Gianini Belotti è stata una scrittrice di grandissimo talento, e la sua identificazione come pedagogista suona alquanto restrittiva e limitativa. La sua produzione saggistica e narrativa che conta quasi venti libri di cui alcuni hanno meritato l’attribuzione di importanti premi letterari, si dipana piacevolmente con una scrittura limpida e scorrevole e una accurata scelta delle parole, spesso arricchita di notazioni ironiche; le vivaci descrizioni dei luoghi e delle stagioni denotano una delicata attenzione e un profondo e rispettoso amore per la natura; la sottigliezza psicologica nel presentare le vicende umane esprime una partecipazione sincera. Uno stile capace di inchiodare l’attenzione del lettore sugli eventi narrati, siano essi storie, sensazioni o sentimenti, valutazioni politiche o sociali. I temi affrontati sono molteplici e di particolare interesse, tanto che i suoi libri conservano una piena attualità e meriterebbero una ripubblicazione, anche se alcuni sono ancora reperibili su internet in vecchie edizioni. Mi limito, qui di seguito, a citarne alcuni.

Nel 1984 esce il suo primo romanzo, Il Fiore dell’ibisco (Rizzoli, poi Tessere), ove racconta una sua amara esperienza e affronta in chiave narrativa i temi dei rapporti di potere fra i sessi e delle relazioni fra persone di età diverse, con pregiudizi che inchiodano le coppie con donne più mature. Temi ripresi nel 1998 con “Amore e pregiudizio, il tabù dell’età nei rapporti sentimentali”.

In “Pimpì Oselì” (Feltrinelli, 1995) Elena propone uno scorcio di storia italiana dagli anni ’30 all’inizio della guerra. Così lo presenta l’editore: “Il mondo duro, ostile e chiuso della religione, della miseria, visto attraverso gli occhi allegri e feroci di Cecilia che, nonostante tutto, riesce a crescere. Che cos’era la scuola in quegli anni, in cui i piccoli montanari di una valle bergamasca intabarrati nelle mantelle nere, imparavano l’abc del fascismo, l’Abissinia, i “tukul” dei negri? Abbandonati a un’igiene e a un’alimentazione pietose, e imbottiti di catechismi, i bambini alternavano gli stornelli come Pimpì Oselì alle ben più minacciose e altisonanti note di canzoni propagandistiche”.

Nel 1999 esce “Apri le porte all’alba” (Feltrinelli), un diario autobiografico ragionato e avvincente dove i tanti aspetti della vita quotidiana sono presentati in termini realistici e talvolta anche spiritosi, sempre connotati da una cornice di rilevanza sociale, sì da potervi riconoscere applicato in pieno il vecchio adagio femminista secondo cui “il personale è politico”.

Nel libro “Voli” (Feltrinelli, 2001) Elena presenta un tema insolito: una divertente carrellata sul suo rapporto con gli animali e in particolare con i volatili, trattata come un’avventura con arguzia e competenza scientifica, in cui esprime un sentimento di amore per la natura nato dalle sue prime esperienze dell’infanzia e da quelle più recenti durante i soggiorni nella sua casa in campagna.

In “Prima della quiete – Storia di Italia Donati” (Rizzoli, 2003) Elena ricostruisce, su documenti originali attentamente raccolti, la vita e la tragica morte di una povera e giovane maestra in un paesino toscano a fine ‘800, ingiustamente colpita da una feroce calunnia e una altrettanto feroce maldicenza, per riscattarsi dalla quale l’unica soluzione le è parsa quella di privare della vita il proprio corpo per poterne dimostrare pubblicamente la “purezza”. L’autrice presenta, accanto alla dolorosa vicenda personale, tutto il contesto ambientale e sociale nel quale questa si è svolta. Elena parla di Italia Donati come di una “martire del sessismo” e invita a non dimenticare “gli atroci delitti consumati contro le donne in nome di uno spietato codice d’onore”.

Il capolavoro assoluto della produzione letteraria della grande scrittrice è “Pane amaro” (Rizzoli, 2006) dedicato “alla memoria di mio padre Basilio, emigrante, musicista e muratore”. In circa 400 pagine si narra la storia della migrazione italiana negli Stati Uniti d’America all’inizio del ‘900 attraverso le vicende di un giovane protagonista e di tutto ciò che lo circonda.

Nel 2008 (Rizzoli) in “Cortocircuito” Elena riprende, con profonda sensibilità e grande attenzione psicologica, un tema a lei caro e già trattato in “Pane amaro” e in parte in “Apri le porte all’alba”, la situazione dei migranti nel nostro paese provenienti da ogni parte del mondo, la cui presenza fra noi ha contribuito a cambiare in modo tanto significativo i nostri rapporti personali, familiari, sociali.

Ma l’attività di Elena non si è limitata alla scrittura; con la sua autorevolezza e la sua intelligenza, oltre che con una grande e generosa disponibilità personale, ha contribuito fattivamente a iniziative del movimento delle donne di cui mi limito a citarne due, per esperienza diretta: la partecipazione al Convegno internazionale del Tribunale 8 Marzo nel 1983 su “Strade europee per il diritto alla giustizia” con una relazione su “Psicanalisi e giustizia”, ripubblicata nel libro “La Parola del Tribunale 8 Marzo” (Armando Editore, 2022) e il gruppo “Controparola” da lei stessa animato, nel quale varie donne, fra cui giornaliste e scrittrici (ricordo Dacia Maraini, Silvana Cichi, Elena Doni, Giulietta Ascoli), passavano in rassegna espressioni dei giornali ove si parlava di donne in modo offensivo o scorretto a cui si replicava con lettere alla direzione con le opportune obiezioni.

Concludo dicendo che ho accettato con molto piacere la proposta della direttrice di questa pregevole Rivista di scrivere un pezzo su Elena Gianini Belotti, perché mi ha dato l’impulso di rileggere i suoi libri che avevo quasi dimenticato e che mi hanno procurato grande godimento, e l’occasione di riscoprire le sue affettuose dediche sui frontespizi, testimonianza di una amicizia antica e profonda che, ora devo amaramente constatare, avrei potuto e dovuto coltivare di più; e spero che queste righe possano colmare un vuoto dovuto soltanto alla vita convulsa che spesso siamo costrette a condurre e che ci fa tralasciare, nostro malgrado, la coltivazione di rapporti umani.

Articolo di Laura Remiddi pubblicato in giudicedonna.it (Numero 1 /2024)

 


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