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Ricordate il profumo delle lettere?

Ricordate il profumo delle lettere?

VERSIONE SANTIPPE - Una volta c'erano gli amici di penna...... dove sono finiti quei rapporti epistolari?

Camilla Ghedini Lunedi, 22/09/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2014

Stavo passeggiando con mia sorella Federica, over 40 anche lei, e a un certo punto mi ha detto ‘Devo scrivere a Jurgen, è da un po’ che non ci sentiamo’. Jurgen è suo amico tedesco, conosciuto quando da ragazzine andavamo al mare in Romagna. In un secondo ho fatto ‘due conti’. Si scrivono da 30 anni! 30 anni! E non si scrivono mail, si scrivono lettere. Sì, mia sorella, a cadenza quasi mensile, prende una penna e trasferisce su carta e inchiostro i suoi pensieri, le sue vicende. Poi inserisce il foglio in una busta, la affranca e la imbuca. Forse in quei cassettoni che riportano la scritta ‘Per la città’, ‘Fuori dalla città’, così da rendere più semplice il lavoro di chi smista. Sono precipitata nel passato. A quelle estate al mare, negli anni Ottanta, quando le spiagge erano super affollate di famiglie medio borghesi e tedeschi. Quando il bel bagnino da conquistare era un miraggio. Quando le amicizie fatte in spiaggia si traducevano in gite in pedalò. Quando ci si spalmava di crema alla carota, a quei tempi ritenuta un must per l’abbronzatura. E quando si ripartiva, dopo i baci gli abbracci e i pianti, e ci si dava appuntamento all’anno successivo. Ma soprattutto ci si scambiava l’indirizzo di casa perché poi, durante l’inverno, il rapporto sarebbe continuato in maniera epistolare. Mia sorella, a cui in effetti invidio un certo candore, mi ha ricordato tutto questo. Pensandoci, neppure mi stupisce che lei sia rimasta ancorata a questo rito. Anche a me da adolescente piaceva. Io stessa andavo a comprare la carta da lettera, la vagliavo tra tante tipologie, la sceglievo. Perché ce ne erano di mille fogge. Quasi tutte profumate e colorate. Alcune erano di carta liscia, altre increspata. E quando mi accingevo a scrivere, la sera, dopo avere studiato, ero emozionata. Facevo la brutta copia e trasferivo su bella. Dopo avere letto e riletto e avere raggiunto - speravo - la perfezione. Perché non potevano esserci errori o correzioni.



Sia che si trattasse di amiche che del fidanzatino che viveva chissà dove. Perché sapevo che quella lettera sarebbe stata conservata insieme ad altre. Sapevo, seppure ero giovane, che avrebbe costituito il patrimonio emotivo della vecchiaia. La lettera, di per sé, era infatti concepita e vissuta come ricordo. Io contavo i giorni per ricevere la risposta. E spesso passavano settimane perché tutto era affidato alle Poste, non c’era Internet. Lo so, mi si può dire che è normale che tutto sia cambiato. Lo so che è così. Però è innegabile che nella velocità si perda il pathos, si consumino i rapporti e la vita. Quante mail ci si possono scrivere, oggi, in un giorno? Anche 10, 12. In 24 ore una relazione può nascere e morire. Sull’onda della compulsività, della fretta del rivelarsi tutto, dell’assenza di pudore. E invece quanto era bello quel rituale che lasciava così tanto spazio all’immaginazione! “Risponderà? Non risponderà? Lo farà subito? Rimanderà?”. Quante domande ci ponevamo. Ma in quella incertezza c’era il sogno. In quella dilatazione del tempo c’era un incanto che le mail, i post, i twett, gli sms, i wapp non possono in alcun modo regalarci. Alla fine, io non so neppure se saprei più scriverla, una lettera. Se saprei usare la penna invece della tastiera, se saprei dividere in sillabe senza il correttore automatico. Una cosa la so. La comunicazione di oggi non profuma né di rosa né di lavanda e non conserva le traccia della dita di chi ha chiuso la busta e di chi ha aperto la busta.

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