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Ricominciamo da noi

Ricominciamo da noi

Ripartiamo dalle donne dalle loro istanze, dalle loro battaglie, dalla loro forza per ripristinare una normalità nel nostro paese

Lunedi, 13/06/2011 - Bella l’inchiesta pubblicata ieri su Repubblica che fa riferimento ai 400 parti “anonimi” e all’incremento annuale del fenomeno che gli esperti hanno riferito essere pari al 20%.

Il Paese delle Madri Segrete titola così l’articolo, forse più che segrete disperate anzi disperatamente sole.

Prima della drammatica emergenza dell’infanzia nascosta, bambini abbandonati in completo anonimato dalle madri, di cui i più fortunati, se sani e belli, vengono adottati, la vera reale emergenza è rappresentata dal lento e inesorabile oblio nel quale sono precipitati i problemi della gente comune. Vero è che negli ultimi tempi l’interesse dei mezzi di comunicazione è stato catturato da altri tipi di donne, e la “cattiva maestra televisione” come la definiva Popper, ha fatto sì che i problemi quotidiani della intera comunità finissero in una dimensione del tutto illogica, privata quindi isolata. A pagare il prezzo più alto di questo silenzio, sono state le donne, finite in una sorta di autismo sociale. Non rimane quindi da meravigliarsi se assistiamo alla materializzazione di questo Giano bifronte: da un lato le culle vuote e dall’altro madri “costrette” ad abbandonare i propri figli. Due facce dello stesso enorme disagio. L’instabilità economica incide in maniera significativa sulle nuove generazioni, purtroppo il paradigma dello sviluppo sostenibile che avrebbe dovuto soddisfare i bisogni del presente senza compromettere le opportunità delle generazioni future è rovinosamente precipitato. La precarietà economica contribuisce al fenomeno della bassa fecondità e amplifica la dicotomia già esistente tra maturità biologica e maturità sociale, che sposta avanti nel tempo l’età del primo figlio per le donne.

Dall’altra parte le nuove povertà, estreme, perché maggiormente penalizzate dalla devastante crisi economica e nel contempo immerse in una rappresentazione martellante e volgare fatta di miti fatui e irraggiungibili. Ed ecco le madri bambine, le straniere, o semplicemente donne sole la cui disperazione non lascia loro altra soluzione se non abbandonare il proprio figlio.

Eppure c’è stato un tempo in cui i problemi delle persone erano i problemi di tutti, dell’intero Paese, anche gli analfabeti non si vergognavano di seguire il maestro Manzi che insegnava loro a leggere e “far di conto”, così come gli agricoltori avevano addirittura un spazio televisivo dedicato, perché saper lavorare la terra era una professione che richiedeva competenza e passione, come le altre.

E c’è stato un tempo in cui le donne dopo 50 anni hanno sostituito l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia con i Consultori, servizi voluti dalle donne per le donne, dove l’approccio olistico alla salute comprendeva quel raffinato esercizio che porta alla realizzazione dell’empowerment, cioè alla consapevolezza condivisa, all’autodeterminazione. C’è stato un tempo in cui le donne non erano considerate più “sesso debole”, perché con le loro battaglie avevano denunciato che di debole vi sono solo le politiche che le rendono tali, non supportandole con servizi adeguati.

C’è stato un tempo in cui le donne hanno chiarito definitivamente che la carità e la beneficenza sono azioni meritevoli ma che nulla hanno a che fare con il diritto alla salute.

L’articolo di ieri ha spalancato una finestra tenuta per troppo tempo socchiusa, pur trattando un tema tanto drammatico ha costretto tanti uomini e tante donne a guardare e a vedere. Per gli addetti ai lavori, soprattutto per chi opera nei quartieri poveri della nostra città , la realtà è ben nota ma le voci che si alzano sono spesso insufficienti e flebili. mentre l’autorevolezza dell’autrice dell’articolo e i contributi riportati hanno amplificato la denuncia rendendola forte. Bisogna riprendere quel filo solo apparentemente smarrito, e ricominciare a parlare del quotidiano della gente comune, delle emozioni e delle solitudini, dell’amore, dell’odio, della felicità e della tristezza,

della disoccupazione e delle carceri, dell’arte, e della musica, in una parola della vita reale.

Magari ripartendo dalle donne, dai loro diritti, dalle loro istanze, dalle loro battaglie e dalla loro salute, e soprattutto dalla loro forza.

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