Sondaggio diaprile - ... ma i conflitti sono fra generazioni o fra donne?
Rosa M. Amorevole Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2007
Ma com’è oggi il rapporto tra donne di generazioni differenti? Le risposte si polarizzano tra: a) chi lo considera difficile, conflittuale (“esiste proprio il rischio che entrino le trentenni scelte dagli uomini”), un “dialogo fra sorde”, poco improntato sul rispetto reciproco. Per chi ha più anni, le giovani “non ritengono – sbagliando – di avere necessità dell’esperienza delle altre donne”. Per chi ne ha meno “le grandi credono di sapere tutto ed hanno un atteggiamento paternalistico” magari “non ricordandosi dei loro conflitti con le sessantenni della loro gioventù”; b) chi invece pensa che oggi sia migliore, più “facile e aperto a interscambio”, “coalizzato alla conquista di quei diritti che la donna merita. in politica ad esempio bisogna assolutamente avere più donne nei posti decisionali” , “fondato sulla condivisione dei temi” e “necessario per non disperdere il già vissuto e integrare le esperienze” perché le età “si sono avvicinate”.
C’è poi chi ritiene che non si possa parlare genericamente di “donne”, bensì di chi “ imita l’uomo” e chi desidera gestire “la vita con pari dignità e davvero insieme, nei luoghi pubblici e privati, nelle decisioni che riguardano tutti ed in quelle personali”.
Sono più le risposte che dichiarano di non avere difficoltà con le altre generazioni che non quelle che evidenziano un reale problema di dialogo tra le stesse. Quando questo viene dichiarato, le accuse rivolte alle giovani riguardano “l’aver assorbito i modelli maschili, con sfoggio di aggressività”, la difficoltà di “riconoscere le competenze”, . e la difficoltà di comprensione nasce “dal rapido e pervasivo mutamento dei comportamenti socio-culturali”, e il “rapporto intergenerazionale – per la potenzialità che riserba – andrebbe coltivato con specifici percorsi di sostegno”. Le meno giovani vengono contestate per la chiusura, per il paternalismo, per il linguaggio da casta e la autoreferenzialità. Forse occorrerebbe solo essere più aperte mentalmente, su entrambi i fronti, e guardare la realtà “con occhio da mosca, dalle mille facce e dalle mille angolazioni”.
I suggerimenti appaiono vari ed articolati. In alcuni casi contrapposti: come quando si chiede di “avere l’umiltà di cedere il passo” o il grido di allarma verso i “giovani rampanti” che porta qualcuno a dire che sia meglio “far parlare di più vecchi sconosciuti eh giovani famosi”. Operare fianco a fianco, diminuire il livello di presunzione, qualche volto di donna in più (anche giovane) e scambiare opinioni per un arricchimento reciproco, anche limitando il numero dei mandati o il proseguimento della carriera politica dopo i 65 anni.
E la meritocrazia viene più volte rammentata, perchè solo attraverso la valorizzazione delle competenze si potrà arrivare a valorizzare le persone di tutte le età e di tutti i generi.
Probabilmente a ciò si collegano il 63% delle risposte che affermano che occorra ”valorizzare tutte le età: le cinquantenni, le quarantenni e le trentenni”. Mentre per il 15% dei/delle rispondenti il ricambio generazionale è un problema reale di fronte ad una classe dirigente di ultrasessantenni. Al pari del 15% che teme che la forte spinta ai giovani rappresenti una sorta di cooptazione di trentenni funzionali al sistema, il 2% sostiene che 1/3 dei posti debba essere riservato agli under 30 anni e il 5% non crede che l’entrata di giovani inesperte possa servire a migliorare lo stato dell’arte.
La percezione che emerge dalle righe delle risposte mette in risalto come la politica ancora una volta non valorizzi le competenze, penalizzando così le donne in generale e non solo chi è più giovane. Solamente una politica partecipata, vissuta con spirito di servizio e non come nuovo “lavoro da reddito per i pochi fortunati”, una politica in cui ognuna possa portare quello che sa, oltre a quello che è, permetterà una più larga rappresentanza delle donne giovani e meno giovani. Tra queste poi occorrerà trovare una nuova forma di dialogo in grado di comprendere tutte quelle differenze che il mercato del lavoro e la società nel suo complesso hanno acutizzato nel corso degli anni.
(15 maggio 2007)
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