- Un mestiere ‘nobile’ che attrae soprattutto le ragazze. L’esperienza dell’Istituto Veneto per i Beni Culturali di Venezia
Carla Neri Venerdi, 27/06/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2014
Il passante che cammina sotto i portici antistanti alla chiesa di San Francesco a Padova, se alzerà lo sguardo incuriosito sulle impalcature da poco installate, potrà scorgere un gruppo di giovani intenti a restaurare le lunette affrescate che ne ornano le pareti, ormai pressoché invisibili sotto lo strato nero depositato dall’inquinamento e dall’incuria. E se, stimolato dalla “scoperta”, entrerà nel tempio, vedrà altri giovani occupati intorno a un altare, sul quale pian piano sta riemergendo il primigenio colore.
Sono le/gli studenti dell’Istituto Veneto per i Beni Culturali (IVBC), con sede a Venezia, che dal 1996 si occupa di ricerca e di formazione, a livello sia nazionale sia internazionale, nel settore della salvaguardia dei beni ambientali, artistici e storici.
L’Istituto, accreditato dalla regione Veneto, è impegnato direttamente nella formazione del collaboratore restauratore, con corsi di durata triennale, che si svolgono tra Venezia e Padova e che prevedono, oltre a una rigorosa formazione teorica, un cospicuo monte ore di pratica in veri e propri cantieri didattici guidati dagli insegnanti e finalizzati alla manutenzione di beni pubblici o di uso pubblico. In questi anni l’ente ha saputo attuare interventi di prestigio non solo nel Veneto e in Italia, ma anche a Gerusalemme e altre storiche località in Israele e in Palestina, e a Sana’a e Ta’izz, in Yemen.
Il direttore, l’architetto Renzo Ravagnan, interrogato sulle tante attività dell’Istituto, ci risponde che preferisce parlare dei principi etici ispiratori dell’intrapresa. “Conservazione, formazione, rispetto, incontro: sono questi i cardini della nostra azione. Senza fini di lucro. Più di 300 studenti, per la maggior parte ragazze, hanno frequentato la nostra scuola. Hanno appreso le basi teoriche e le più aggiornate tecniche del restauro; hanno prestato la loro opera alla conservazione di importanti monumenti del passato; ma soprattutto hanno condiviso l’amore per la bellezza, quella donataci dalla natura e quella creata dagli esseri umani durante i secoli. Bisogna che la bellezza riacquisti, insieme alla verità, un posto centrale nella nostra esistenza. Se preservare l’opera d’arte dal degrado significa farle riacquistare la sua forza vitale, allora quello del restauratore, non è solo un mestiere nobile come tutti i mestieri, ma può essere strumento di dialogo, di promozione umana, di crescita spirituale”.
“Per la maggior parte ragazze”, ecco la frase che mi ha stimolato a sottoporre alle/ai corsisti qualche domanda sulla loro esperienza. Le risposte hanno per prima cosa confermato che quasi tutte/i hanno scelto questo tipo di studi, oltre che “per completare la precedente preparazione”,(1) “per amore dell’arte” e “per contribuire alla cura di opere che costituiscono il patrimonio storico e culturale del nostro Paese e dell’umanità intera”; specificando che per svolgere questa professione occorre tanta pazienza, congiunta a sensibilità, rispetto e sincera passione. Solo due (maschi) hanno aggiunto “per trovare più facilmente lavoro”.
E perché più donne che uomini? Le risposte sono state abbastanza univoche: i maschi sono più pratici e meno sognatori; il lato artistico si avvicina di più all’indole femminile; le donne sono più pazienti, costanti, predisposte alla manualità e disposte al sacrificio; più curiose e più capaci di lavorare in gruppo, di fare squadra con le/i colleghi; hanno un’idea romantica del restauro e sicuramente i sacrifici che questa attività comporta sono accettati da loro con più tranquillità, tant’è vero che qualcuna rivela esplicitamente di “non puntare a un guadagno proporzionale agli sforzi fatti”, cosa maggiormente difficile da accettare per un ragazzo, nella nostra società. (E qui si potrebbe aprire una stimolante riflessione, riannodando il pensiero alla “Società delle Estranee” prospettata da Virginia Woolf ne Le tre ghinee).
Ma praticamente tutte/i si dichiarano soddisfatte/i della scelta effettuata e, nonostante “l’incompetenza e la miopia dei nostri legislatori”, la consiglierebbero a chi mostrasse vero interesse, forse perché, come dice una di loro, hanno scoperto di amare il restauro più di quanto realmente credessero.
1. Alcune/i hanno conseguito un diploma di scuola superiore, in genere presso un liceo artistico o un istituto d’arte, ma non solo; le/i più sono laureate/i in specializzazioni attinenti alla conservazione dei beni culturali, le tecnologie del restauro, le arti visive.
La bella storia di Selma
I corsi dell’IVBC sono frequentati anche da studenti stranieri. Una di loro è Selma Hasan, giovane yemenita, originaria di Sana’a, la favolosa capitale per la salvaguardia della quale Pier Paolo Pasolini lanciò nel 1970 un appello all’Unesco, che provvide a inserirla tra i beni patrimonio dell’umanità.
Tramite una borsa di studio erogata dall’Istituto stesso, Selma ha potuto studiare in Italia e conseguire il diploma di collaboratore restauratore, al temine di un ciclo di studi per lei particolarmente difficile, dati i problemi legati a una lingua da imparare ex novo e alle grandi differenze sociali e culturali tra il suo e il nostro Paese. E benché la sua famiglia sia colta e di mentalità aperta, benché Internet abbia portato ovunque le immagini del mondo occidentale, pure l’impatto è stato notevole. Selma ricorda con entusiasmo di essere potuta andare per la prima volta nella sua vita a teatro, al cinema, ai concerti, di aver conosciuto la storia dell’arte europea e di averne ammirato dal vivo quadri, sculture, affreschi.
Ora è in Danimarca, dove sta facendo per sei mesi uno stage presso il National Museum di Copenaghen, grazie al bando della Regione Veneto per i percorsi di mobilità interregionale e transnazionale: una nuova esperienza di lavoro e di vita, che contribuirà alla maturazione e all’arricchimento umano di questa coraggiosa ragazza.
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