Finanza: conoscere per capire - Le domande delle lettrici
Paolo Glaviano Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2006
Si è parlato per tutta la campagna elettorale di rendite finanziarie e di come tassarle. Ma ci potete spiegare in parole semplici che cosa sono le rendite finanziarie?
Federica e Giovanni – Camogli (GE)
In attesa di conoscere l’orientamento che il nuovo governo italiano imprimerà agli interventi in materia fiscale, avete ragione a voler almeno capire che cosa si intende veramente con il termine “rendite finanziarie”, anche se non sarà facile semplificare il concetto.
Non si tratta solo degli interessi prodotti da BOT e CCT, che sono posseduti da circa il 14% degli italiani e costituiscono la parte più conosciuta del fenomeno, ma ci si riferisce soprattutto ai proventi di numerosissime altre attività finanziarie che spesso fino ad oggi non sono state ben regolamentate e hanno permesso di aggirare le normative fiscali generali.
Solo pochi anni fa, ai tempi del ministro Visco, si era cercato di definire per lo meno due categorie di rendite:
1) i “redditi di capitale”, ovvero gli interessi o corrispettivi, gli utili e i proventi derivati dall’impiego di un capitale (tipicamente, i dividendi azionari).
2) i “guadagni di capitale”, ovvero le plusvalenze derivanti da atti di negoziazione, da rimborso di titoli, nonché i proventi aleatori.
Quindi i redditi di capitale sono costituiti dai proventi in denaro o in natura che scaturiscono da rapporti che hanno per oggetto l’impiego, a qualsiasi titolo, di denaro o di beni. A sua volta la tipologia dei redditi di capitale può essere sostanzialmente ricondotta a due grandi gruppi:
- i proventi derivanti dalla partecipazione in società ed enti, come gli utili distribuiti dalle società di capitale, tra cui SpA, srl, ecc. (dividendi) e altri utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all’IRES.
- gli interessi e altri proventi derivanti in senso lato da prestiti, investimenti in obbligazioni, titoli di Stato e titoli similari (ecco che si torna a parlare ancora di BOT e CCT, ma come vedete sono solo una piccola parte del fenomeno); i proventi finanziari derivanti da contratti di mutuo, di deposito di denaro, ecc.; gli interessi derivanti da qualsiasi altro impiego di capitale o forma di credito, gli utili derivanti da contratti di associazione in partecipazione e contratti di cointeressenza, i proventi derivanti da alcuni tipi di gestione, di pronti contro termine, ecc.
Parliamo ora di “guadagni di capitale”. Per indicare una plusvalenza su titoli italiani, investimenti e attività finanziarie all'estero si fa ormai spesso riferimento al termine inglese capital gain. Si ha una plusvalenza, o guadagno in conto capitale, in occasione della vendita di un'attività finanziaria. E' la parte del rendimento totale costituita dalla differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita. Ad esempio, se il risparmiatore vende un titolo in borsa può realizzare un guadagno in conto capitale (capital gain) quando con la vendita ottiene una somma superiore al prezzo di acquisto iniziale. Questa differenza è tassata in Italia e in tutti i principali Paesi del mondo. Ma ciò dovrebbe valere anche per altre forme di guadagno ottenuto in altri mercati, come ad esempio quello immobiliare, dove grandi patrimoni passano di mano a prezzi sempre crescenti, senza pagare alcuna tassa sugli utili creati.
Queste, ed altre simili, sono le rendite finanziarie che lo Stato dovrà controllare e regolamentare.
Paolo Glaviano
Agenzia di Stampa ActionNews
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(17 maggio 2006)
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