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Recensione al libro "barocco sotto pelle di Nicoletta Nuzzo" edito da Rupe Mutevole Edizio

Recensione al libro "barocco sotto pelle di Nicoletta Nuzzo" edito da Rupe Mutevole Edizio

Recensione a cura di Pietro Romano

Venerdi, 06/05/2016 - Prima di cominciare la lettura del libro, mi sono domandato del perché nel titolo facesse la sua comparsa il termine barocco. Come si sa, con “barocco” comunemente si designa un movimento artistico, letterario e musicale sviluppatosi nel Seicento e caratterizzato dalla tendenza al virtuosismo formale e al gusto per l’insolito, l’inaudito, lo strabiliante. In realtà, il termine rinvia anche a un’area semantica spregiativa. Barocco, si crede, deriva dal portoghese “barroco”, che allude a una perla irregolare, non sferica e perciò bizzarra, attraverso il francese “baroque” documentato in Francia nel XII secolo nel significato di “stravagante”. Tuttavia, è probabile che il termine rimandi anche a un altro campo concettuale, pertinente al latino della filosofia scolastica. Con “baroco” s’indicava un sillogismo cavilloso, di una logica pedante, fondata su processi associativi inattesi. Detto tutto ciò, che cos’è per voi, per me, “quel barocco sotto pelle” di cui Nicoletta intende parlarci? La raccolta di Nicoletta la immagino come un fiume di sospiri «sotto pelle». A me pare profilarsi la geometria inquieta, dolce e delicata di un io che trabocca nell’arte della parola per darsi nuova forma. L’introversione è uno dei tratti in cui meglio si evidenziano i sospiri di un’interiorità «irregolare, non sferica», poiché dissonante col mondo ma in cerca di un ponte verso gli altri. La parola privilegiata come fonte di meraviglioso è “dentro”. Spesso, spessissimo, ricorre in Nicoletta. C’è l’allargarsi dell’immaginario poetico a possibilità inconsuete, perché inconsueto è il procedere «sotto pelle». Badate, non si sta parlando di scavo interiore, no. In “barocco sotto pelle” si vuol implicitamente far risaltare un’intima connessione con la propria vitalità ch’è divenire. Così, Eraclito di Efeso a ciò aggiungerebbe:

« Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va. »

(91 Diels-Kranz)



Quel ch’è toccante, è che molte delle parole della raccolta fluiscono lasciando segni. C’è una versificazione libera, sapientemente ragionata, che sottintende il bisogno di libertà espressiva. Il lessico è chiaro, dettato dal flusso in cui l’anima della poetessa «avviene». Il che ne fa mistero, come la buona poesia vuole. I titoli assegnati a ciascun componimento spesso si pongono in una relazione di continuità con il contenuto, alla maniera degli ermetici. Il testo d’apertura che intitola la raccolta illustra l’irrequieto universo che pervade la poesia di Nicoletta. L’irrequieto ha appunto la necessità di materializzarsi “in ritmo, ora in uncinetto tra andate e ritorni, ora in volute di crema zuccherina”. La propensione per la dimensione creativa è nella Nuzzo un processo che procede dall’informe alla forma. Da qui la raccolta trae vita.

“Sotto pelle” è il secondo testo della raccolta. Leggiamo: “non mi sono certo fermata/ho continuato a scavare/e poi a togliere la terra dal mio fondo pietroso,/era liscio come le pietre delle strade del mio paese, /antico e irriducibile come loro”. I versi d’apertura del componimento dichiarano la regressione dell’io poetico verso una dimensione che nonostante il divenire incessante si conserva. Lo scavo interiore è sempre un’operazione di fatica. Ciononostante, è presente anche la consapevolezza dell’effimero che alberga nella natura umana, donde il bisogno di essere accolti dalla parola, figura della permanenza : “ma se poggio la guancia /sento il caldo di un viscere che non smette di pulsare, /è il desiderio dolente di nascere ancora e ancora, /ma solo la parola può avere/un corpo meno fragile del mio /per accogliere questo me fuori misura”. «Il desiderio dolente di nascere ancora e ancora» sostanzia i testi presumibilmente legati alla madre. In “Senza respiro” emerge il disgregarsi di una situazione d’equilibrio consolidata attorno alla figura guida della madre: “A raggiera le vene espandono fiumi in superficie,/

non tengono questi margini sgranati adesso che te ne sei andata, /fanno il giro delle età che ho avuto /fino al piccolo fazzoletto che ero/ quando mi sono staccata dal ventre”. La memoria si dirama in fiumi che ripercorrono un po’ tutta quanta l’esistenza della poetessa, in modo similare a quanto avviene in Ungaretti. Il richiamo all’acqua non è solo richiamo alla vita, ma anche alla nascita: è la madre stessa che si trasforma in quei fiumi che poi conducono “al piccolo fazzoletto che ero”. In “Maternale” emerge l’esigenza di una continuità memoriale con una figura di cui non è chiarita l’identità: “se tu fossi nata da me/sarebbe stato un lutto tutto quel vuoto /e avrei impugnato la corda che ci univa /e così stretta tra la pelle avrei dormito un po’,/se tu fossi nata da me/avrei fatto qualche passo indietro/ e tu avresti seppellito con i tuoi respiri i miei inseguimenti/

per ondeggiare leggera in superficie un po”/. L’io poetico sottintende un sentimento di gratitudine nei confronti della persona- credo, la madre- a cui la sua vita da sempre è legata; ammette, anzi che, se la madre fosse nata da lei, «tutto quel vuoto» sarebbe stata perdita, poiché nessun’altra avrebbe potuto mai potuto sostituirla. Particolare della poesia della Nuzzo è il rimando a un “tu” di cui non viene esplicitato nessun dettaglio. Eppure, anche se non confermata, ho la sensazione che quel “tu” rimandi a un patto inscindibile col mondo se non addirittura con se stessi. Sì, Nicoletta parla a se stessa, ma non solo. In “Assenza” c’è l’invito a che la parola si faccia strumento di metamorfosi e legame con il Sé. La solitudine può diventare «appartenenza» solo nella misura in cui abbraccia ciò che resta e ciò che diviene. L’immutabile coincide il continuo incessante divenire delle cose. Pertanto, l’artista vede di fronte a sé l’incombere di un’esperienza di annichilimento che può essere schivata solo nella prospettiva del canto che eterna e addolcisce. In “Accade” leggiamo: “non è un volo /ma accade come natura che si sgretola /e sfiorisce fino all’intimo primitivo grano, /quello che è caduto tace prima di ricominciare”. Nicoletta Nuzzo ha qui pienamente sintetizzato il meccanismo di nascita e corruzione delle cose, intrinseco nella nostra stessa natura, secondo una logica per cui alla morte s’alterna la vita e viceversa. Nasce l’erba sopra le fosse, direbbe Pascoli. Tuttavia, nella raccolta, viene esplicitato il legame poetico con Leopardi di cui peraltro, come accennavo prima, viene rielaborato anche il pensiero materialistico con annessa un’implicita rilettura del tema dell’inanità dell’esistenza. “duole questa nudità /sul volto e sulla schiena,/impressa su un calco di terra/ che geme di altissimi perché./Tu luna accadi sorda, accadi muta/ mentre offri il tuo ventre cartaceo alle nostre preghiere”.

Infine, per concludere, vorrei invitarvi alla lettura di questi versi, per me significativi. “Madre ti rivedo” è il titolo di un altro componimento dedicato alla madre, in cui leggiamo: “il tuo sguardo sulle lenzuola/verso la parete di fronte /e giù fino al pavimento,/così quando il soffrire ti dava tregua,/e il disegno tornava sul tuo viso,/

stupito di ristoro e quieto di gratitudine,/ti rivedo e torno a te/ mentre passata la mia tempesta,/ inerme la mia guancia poggio/ nel cantuccio sul palmo della mano”. Torna l’immagine della guancia inerme, quella stessa guancia che, attraverso il recupero memoriale della madre, conosce il calore di quel cantuccio ritagliato sul palmo della mano dove s’addensa forte il richiamo primordiale alla vita. Per me questo è barocco sotto pelle, una geometria irregolare di forze inarrestabili che conducono tutte a un solo baricentro, la vita che pulsa dal di dentro in ogni sua diramazione possibile.





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