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Ready Player One, la cultura pop fa scuola

Ready Player One, la cultura pop fa scuola

Che genere di film! Recensioni amatoriali da un punto di vista di genere

Mercoledi, 28/03/2018 - Nel 2011 esce il libro di Ernest Cline, glorificazione della cultura videoludica anni ‘80. Prima che il testo diventi un bestseller la Warner ne acquisisce i diritti. Questa la cronaca.
Oggi, dopo circa sette anni, Ready Player One diretto da Steven Spielberg esce nelle sale. Come è ovvio il film si inserisce perfettamente nel solco della rivisitazione nostalgica degli anni ‘80 (arrivando anche ai ‘90), ma non si limita a “cavalcare l’onda”: la prende e la trasforma. La cultura pop prende vita e diventa esplicitamente parte della narrazione stessa.
Non lascia dubbi in merito una precisa sequenza che arriva quasi come un colpo di scena, una decina di minuti che sorprendono, emozionano e divertono e che da soli valgono i 140 di tutto il film. Eccezionali e perfettamente accompagnati dalla musica di Alan Silvestri.

Credo sia questa la dimensione che più mi ha entusiasmato, la capacità di reinventare la narrazione radicandosi nel passato e nel contempo lanciarsi in avanti, dando corpo al percorso, letteralmente mostrando la traiettoria, le iconografie della cultura pop come un continuum fino ad oggi. Si, c’erano i meravigliosi ‘80 ma oggi, dopo averli attraversati ed essendocene nutrite, siamo nel qui e ora e guardiamo avanti. Anche alcune espressioni delle controculture di quegli anni vengono qui rilanciate e risignificate, ad esempio ritroviamo graffiti e tag sui muri e sulle fiancate dei veicoli come legami tra realtà virtuale e vita reale. In un certo senso si tratta di raccontare una possibile connessione tra generazioni. E questo è l’altro aspetto che rimane solido. Si tratta di un passaggio di testimone dando piena fiducia e qualche strumento-dritta a giovanissime e giovanissimi. C’è speranza, nonostante tutto.
Tenete gli occhi aperti e costruite buone relazioni.

La storia è semplice, sulla Terra nel 2045 le cose non vanno per niente bene: la maggior parte delle persone vive una amara realtà immersa in povertà e squallore. L’unico sollievo sembra essere la possibilità di connettersi ad OASIS, una realtà virtuale che coniuga MMORPG (Multiplayer Online Role Playing Game)[1] e una sorta di social-MUVE (Multi-User Virtual Environment)[2]. Insomma in OASIS ci si può dimenticare chi si è davvero ed il contesto in cui si vive; l’ ambiente virtuale permettere di assumere qualsiasi aspetto, di andare ovunque e di fare qualsiasi cosa in solitaria o con altre persone-avatar. Ed in più c’è un grande gioco da giocare: una caccia all’ easter egg [3] in tre fasi. La sfida viene lanciata dal creatore stesso del mondo digitale, James Halliday, attraverso un video rilasciato dopo la sua morte: chi riuscirà a collezionare tre chiavi e quindi trovare l’easter egg erediterà niente poco di meno che l’assoluto controllo di OASIS e perchè no, un sacco di soldi. Ovviamente ci sono anche dei cattivi a voler vincere tutto, con le buone o no.

A questo punto inizierò a fare un pò le pulci allo splendido lavoro di Spielberg. E’ proprio il personaggio di James Halliday, interpretato splendidamente da Mark Rylance che ci consegna la parte più umana del film, è l’unico carattere di cui possiamo percepire motivazioni e sentimenti, l’unico che abbia uno spessore, emerge la sua volontà di imparare dagli errori fatti e il desiderio di aggiustare le cose. Molto bene. Anzi, mi correggo, anche l’ex socio, Ogden Morrow (Simon Pegg) e I-R0k ( T.J. Miller) esprimono personalità ed emozioni ma sono figure secondarie e non hanno molto spazio sullo schermo. E così arriviamo alle note dolenti, il gruppo di giovani che seguiamo nel tentativo di vincere le sfide sono sbiaditi, non coinvolgono, rimangono una pallida replica di altri gruppi di “perdenti” o “sfigati”[4] che abbiamo visto e con cui abbiamo fortemente empatizzato in altri titoli propri della cultura pop di riferimento, non starò a fare l’elenco. Da questo punto di vista vedo come occasione mancata i rapporti tra Aech/Parzival/ Atr3misis dei quali si intravedono scorci. Non che attrici ed attori non siano adeguati, anzi, ma le vicende umane sono raccontate in modo sbrigativo. Una serie di temi vengono appena accennati, questioni che dovrebbero avere maggior consistenza appaiono e scompaiono in un batter d’occhio. Purtroppo per quanto gli “Altissimi Cinque” possano ispirare simpatia, e lo fanno, non catturano e hanno poco margine per esprimersi.

Anche se la pellicola non sembra rivolgersi esclusivamente a “nerd vintage” della mia generazione ma a chiunque piaccia uno spettacolare cinema di intrattenimento, rimane ingombrante la questione della tipologia di protagonista. Questione spinosa e discussa nel mondo reale delle e dei “gamers”[5]. D’accordo, è vero, qualche concessione alla mixité sociale c’è ma davvero è poca cosa in relazione alle incredibili potenzialità che storia e ambientazione offrono. Le diversità o le cosiddette “minoranze” che sono rappresentate nel film non portano significatività narrativa, sembrano -una volta in più- mere quote formali (a parte una singola battuta). Meglio che niente, sicuro.
D’altra parte se si respira aria frizzante dal punto di vista del linguaggio cinematografico di certo non si può non sentire l’odore stantio di uno sguardo soggettivo declinato sempre allo stesso modo: il “player one” rimane bianco, maschio, etero anche nel 2045 quando per fortuna l’anno scorso nel mondo reale abbiamo visto Idris Elba interpretare Roland nell'adattamento cinematografico de “La Torre Nera”. Il problema sarà che forse ancora in troppi urlano:
«state rovinando la mia infanzia/il mio libro/gioco/immaginario preferito(preferenziale)!!!» [6] . Oppure semplicemente si suppone che questo “canone” è l’unico che “paga”?
Si può smettere, io credo e soprattutto quando gli scenari quasi chiamano incontri atipici e non stereotipati. Peggio che mai, ultima tra le questioni macroscopiche, la storia d’ amore. Immancabilmente c’è, con tutti i clichè tipici. Ne avrei fatto volentieri a meno, non in quel modo, non dentro questa storia...impossibile non pensare a quanto su questo terreno “Harold e Maude” (1971, diretto da Hal Ashby) risulta più dirompente e provocatorio. Ve lo dovevo dire.

Ma, ripeto, il film è davvero spettacolare, ottimo. Uscite e andate a vederlo. E se siete figure di riferimento di ragazzine e/o ragazzini tra gli 11 e i 16 anni, andateci insieme. Se fate un gruppetto meglio ancora. Buon divertimento e spero vi agitiate nelle poltroncine sulle note della colonna sonora.

Note:
1- MMORPG (Multiplayer Online Role Playing Game)

2- MUVE (Multi-User Virtual Environment) 

3- Easter egg 

4- Si, mi riferisco precisamente a quei Perdenti e Sfigati

5- “A chi appartengono i video giochi?” di Paul Engelhard, 21 giugno 2016


6- “Sessismo e rifiuto dei cambiamenti, il lato oscuro dei nerd” di Lorenzo Fantoni, 20 marzo 2018 

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