Società/ Intervista a Erminia Castellucci - La testimonianza della storica attivista dell’Udi, che insieme a Noidonne ha sostenuto le battaglie di emancipazione delle siciliane
Raffaella Mauceri Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2005
Destinato ad entrare nella storia delle donne italiane e ad avere una lunga vita, peraltro ancora in corso, nasce, in Francia, nel 1937, “Noi Donne”: all’inizio un foglio trascritto a mano, che sarà poi diffuso durante la guerra anche in Italia per merito delle nostre staffette partigiane. Era infatti il 1945 quando Palmiro Togliatti affidava a Nadia Spano (una delle 71 madri della Costituzione italiana) l'organizzazione del giornale che cominciò da allora ad avere una diffusione capillare in tutto il paese. Per i suoi contenuti rivoluzionari, tuttavia, “Noi Donne” continuò ad essere venduto di mano in mano all’altra grazie al lavoro di diffusione in cui si impegnarono migliaia di ex-partigiane o mogli di partigiani o giovani figlie orfane di padri e madri morti da eroi ed eroine per l’indipendenza e la libertà. Oppure da giovani donne politicamente attive quando occuparsi di politica per una donna era a dir poco scandaloso. Una di queste ragazze ‘scandalose’, a Siracusa, oggi 77 anni e nonna felice di 4 nipotine, era Erminia Castelluccio. Tra le ultime rampolle di una delle famiglie più antiche e più in vista del siracusano, sposando l’ex-partigiano Salvatore Mandolfo, Erminia sposò contestualmente anche la sua causa politica di sindacalista di sinistra che abbracciò con immensa passione iscrivendosi all’Udi, Unione Donne Italiane, gloriosa associazione femminile italiana e allora costola del PCI. Da quel momento, Erminia, non la fermò più nessuno.
“Né le gravidanze né i figli - dice – Né i tanti chilometri che facevamo a piedi andando di casa in casa per vendere “Noi Donne”, e nemmeno lo sfinimento di giorni e giorni trascorsi a parlare, scrivere e comiziare, cullando e allattando i bambini che non avevamo a chi lasciare. Erano tempi di grande miseria – continua Erminia – uscivamo da una guerra che aveva lasciato fame, lutti, lacrime e macerie. Mentre i nostri uomini erano al fronte, noi donne avevamo tenuto in piedi l’economia del paese salvando il salvabile. Come potevamo accettare che, al loro ritorno, ci ricacciassero a casa a fare le massaie? E quando sarebbe arrivato il giorno della nostra liberazione, nostra di noi donne? Ecco perché proprio in quel drammatico momento storico, molte trovammo il coraggio e la forza di lottare per i nostri diritti! Ed ecco perché a molte di noi piacque subito il giornale “Noi Donne”: perché parlava di NOI e con noi, perché era la nostra voce, la nostra speranza, il nostro unico possibile futuro alternativo al vecchio modello che continuava a indicarci la chiesa”.
Stai dicendo che la chiesa cattolica vi dava problemi?
Sto dicendo che, fin lì, la Chiesa Cattolica aveva proposto, incontrastata, un modello di donna e di madre che si ispirava alla Madonna, cioè una donna completamente imbelle e senza voce, una donna sottomessa agli uomini e alle loro leggi scritte e non scritte. “Noi Donne” proponeva invece una donna diversa, economicamente e socialmente emancipata, con un lavoro e un reddito proprio che non fosse costretta a dipendere da un uomo che spesso la trattava come una schiava! La chiesa cattolica mise all’indice il nostro giornale additandolo alle donne ‘timorate da Dio’ come la gazzetta del diavolo! Ciò malgrado il numero delle vendite cresceva inesorabilmente. In particolare, a dispetto di certi uomini che ci guardavano impotenti e rabbiosi, l’edizione dell’8 marzo raddoppiava la tiratura: centinaia di siracusane ormai mangiavamo pane e “Noi Donne”. Da Palermo, intanto, Simona Mafai ci spronava a prendere la parola, entrare in politica, far sentire il nostro peso e le nostre ragioni!
Ricordi le donne che diffondevano il giornale insieme a te?
Altroché se me le ricordo! Erano donne meravigliose, amiche per la pelle con le quali avevo uno splendido rapporto di sorellanza. Ricordo Lucia Amato, sempre in prima linea, che ebbe il coraggio di scegliere la convivenza infischiandosene delle critiche meschine che la perseguitarono per anni e anni. Ricordo Iole Vittorini profondamente impegnata nella promozione delle donne, ricordo Regina D’Agata partigiana e moglie di partigiano, che dedicò la vita intera alla causa delle donne. E come dimenticare la grande Dimitra Melissoti sempre presente nei cortei, nei comizi, nelle manifestazioni, nei corsi di formazione e dovunque si studiava e si lavorava per le donne? Tradusse dal greco l’Odissea di un suo connazionale: un’opera gigantesca che non arrivò a pubblicare, povera Dimitra. Era una grande patriota e una splendida femminista. La morte di queste donne è stata una perdita enorme per le donne siracusane, anche se poche se ne rendono conto
Parlavi di corsi di formazione, quali corsi?
Quelli organizzati dall’UDI, a Frattocchie. Io sono stata una delle prime italiane iscritte all’Udi e quando insieme a Dimitra e Regina, tornavamo a casa col nostro meraviglioso bagaglio di ‘modernità’, qui a Siracusa le bigotte ci dicevano che saremmo andate all’inferno!
Che cosa intendi con la parola ‘modernità’?
Voglio dire che grazie a “Noi Donne” e insieme a “Noi Donne” combattevamo contro tutti quegli stereotipi che limitavano e impoverivano la nostra vita di donne prolungando all’infinito la nostra condizione di cittadine di serie B: il tabù della verginità, il matrimonio riparatore, l’ignoranza come virtù, le ali di angelo del focolare, la contraccezione come peccato e così via. Lottavamo per i diritti fondamentali: votare, studiare, lavorare.
Tu stessa hai ripreso gli studi quando eri già madre di due figli e sei andata a lavorare…
Sicuro. Avevo la licenza media che, secondo la mentalità del tempo, per una donna bastava e avanzava. Invece io ripresi gli studi con due figli già ragazzini, conseguii il diploma di maestra d’asilo e cominciai ad insegnare. Nel frattempo “Noi Donne”era diventata una bella rivista semi-patinata e sempre all’avanguardia! Sono contenta che nonostante questa classe dirigente abbia mandato a picco l’economia del paese, “Noi Donne” resiste ed ha sempre contenuti da prima linea.
Zia Erminia, anche tu ‘resisti’. Non per niente sei iscritta all’associazione ‘Le Nereidi’!
Certo, perché è un’associazione di donne che hanno ereditato la nostra causa e continuano le nostre battaglie.
Il che significa, però, che le donne non le hanno ancora vinte tutte…
Disgraziatamente molte donne non vogliono capire che su certi temi non possono ancora permettersi il lusso di distrarsi. La battaglia del diritto al voto, quella del diritto allo studio e quella del diritto di accesso a tutte le professioni, le abbiamo vinte irreversibilmente. Ma in quanto all’autodeterminazione stiamo messe molto male ed è per questo che le donne subiscono ancora tanta violenza! Le donne dovrebbero essere più compatte e più determinate. Dovrebbero scendere nuovamente in piazza e gridare ‘L’utero è mio e me lo gestisco io’! Invece hanno paura di fare femminismo retrò e poi per forza perdono i referendum!
Non capirò mai perché le ragazze di oggi sono abbastanza sfrontate da andare in giro quasi nude e poi si vergognano a dire ‘L’utero è mio e me lo gestisco io’!
Quale patrimonio ideologico pensi di avere lasciato e a chi?
Io ho due figli maschi cui ho trasmesso il pacifismo e l’antimilitarismo, e ne sono molto orgogliosa. Ma il mio patrimonio ideologico di donna non potevo passarlo a loro. Penso di averlo passato a te che sei mia nipote, a partire dal giorno in cui, quando avevi appena 10 anni, ti regalai ‘Il diario di Anna Frank’ e cominciai a portarti con me a vendere “Noi Donne”.
E le mie compagnette non capivano che cosa diavolo facessi…
Che cosa facevi? Crescevi a pane e “Noi Donne”, che diamine!
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