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Ragazze di altrove. Ayse dalla Turchia

Ragazze di altrove. Ayse dalla Turchia

Durante il quinto International Neighbourhood Symposium, a Heybeliada in Turchia, abbiamo chiesto ad alcune giovani quali sono le sfide che come donne siamo chiamate ad affrontare.

Sabato, 25/07/2015 -
L'International Neighbourhood Symposium è stato un’occasione unica per conoscere tante giovani ricercatrici e donne impegnate nel cosiddetto terzo settore in vari paesi del vicino e medio oriente. La presenza femminile, dominante tra i partecipanti del seminario (venti donne su trentatrè in totale) e paritaria nell'elenco dei relatori, da la misura delle tante donne impegnate in prima persona nei processi di cambiamento e democratizzazione nei paesi dell'Est, del Medio-oriente e del Nord-africa, e della loro voglia di incontrarsi e confrontarsi. Molte di queste ragazze parlano più di due lingue, hanno fatto esperienze internazionali e lavorano nei paesi di origine sfruttando reti e contatti che hanno costruito durante i soggiorni all’estero. Abbiamo deciso di intervistarne alcune, partendo dal presupposto che il loro sentire, potenzialmente differente da quello occidentale, possa arricchire la nostra visione del mondo e stimolare il ragionamento su quali siano le sfide più importanti che siamo chiamate ad affrontare.



Ayse è una giovane donna turca, laureata in scienze politiche, specializzata in analisi e risoluzione dei conflitti con una tesi sulla mascolinità e la criminalità giovanile a Istanbul. Una scienziata sociale, che al momento lavora come Communication Manager per Cultural Innovators Network, una rete di giovani innovatori sociali che collaborano su campagne e progetti tra Europa e paesi del Mediterraneo. Sguardo attento e aperto, vorrebbe continuare a circondarsi, nella sua vita personale e professionale, "di persone che mi possano ispirare e con le quali creare in idee e processi di cambiamento nel sociale”. Ayse adora imparare, scoprire e aprirsi alle novità, “per questo - dice - voglio continuare a viaggiare per il resto della mia vita”.



Ayse, cosa pensi delle donne del tuo paese? Come giudichi le leggi vigenti e il ruolo che è assegnato alle donne nella sfera pubblica e privata?

Credo che le attiviste per i diritti delle donne stiano facendo un ottimo lavoro in Turchia, considerando i tanti progressi che ci sono stati negli ultimi decenni. Ad oggi le leggi in vigore proteggono le donne, anche se non vengono applicate come dovrebbero. Credo però che il problema più grande per le donne sia la nozione della "sofferenza" insita nella nostra cultura. Soffrire, essere vittima di un oppressore è qualcosa di cui essere orgogliose, un tormento che verrà ripagato in qualche modo. Sviluppa una forma di resistenza che dovrebbe portare alla saggezza, e che ha anche un certo valore religioso, una pratica, insomma, che merita rispetto e considerazione. E’ necessario riconoscere l’influenza di questo costrutto culturale nella nostra vita quotidiana, e capire che rappresenta di fatto una punizione che le donne si auto-infliggono. La vera indipendenza, secondo me, arriverà proprio dalla scelta di non sacrificare più se stesse e di seguire soltanto i propri bisogni e interessi e quindi il proprio piacere.



Cosa pensi delle donne occidentali? Le hai mai considerate un modello? Trovi che siano simili o molto diverse dalle donne del tuo paese?

Le donne europee sembrano avere più fiducia in se stesse rispetto a noi. Credo sia perchè noi abbiamo molti pesi da sostenere. Come donna devi apparire “occidentalizzata” (nel modo di vestire, nella ricerca di un’affermazione professionale), ma al tempo stesso devi seguire i dettami culturali tradizionali, che spesso vanno proprio in senso opposto rispetto alle necessità di una donna in carrriera. 



Quali sono secondo te le grandi sfide delle donne oggi a livello globale?

Dipende dal contesto. Il problema più comune è quello di focalizzarci troppo sui fattori esterni che secondo noi ci condizionano. Al contrario dovremmo preoccuparci di esprimere totalmente il nostro potenziale. Abbiamo abbastanza risorse per lavorare e per far pace con noi stesse. Focalizzarci sulle limitazioni che ci vengono imposte dalla società patriarcale e vivere con la sensazione di essere vittime non aiuta, anzi, ci fa soffrire di più.



Quali punti di connessione individui tra donne di paesi diversi, come un punto di partenza per un rovesciamento del sistema ancora fortemente patriarcale in cui viviamo? Come possiamo agire il cambiamento?

Innanzitutto dobbiamo trovare modi creativi per soddisfare i nostri bisogni e interessi senza giudicare o criticare gli altri (e mi riferisco al sistema internazionale, alle problematiche sociali o a persone in carne e ossa che hanno influenza nelle nostre vite).  Siamo tutti spinti a far sentire la nostra voce, ma credo fortemente che nelle nostre società attuali l'obiettivo a cui tendere non sia gridare sempre più forte le nostre ragioni, ma riuscire ad ascoltare la voce degli altri. Le donne dovrebbero capire che la società patriarcale ha conseguenze nefaste anche per gli uomini, li uccide nel loro onore e anche materialmente. Ci sono moltissimi dati sui femminicidi, ma non abbiamo numeri certi sulle ragioni e le modalità con cui vengono uccisi gli uomini. Forse dovremmo iniziare a chiederci “In che modo il patriarcato uccide i maschi?”. Questa domanda potrebbe portarci sulla via giusta, abbandonando l'abitudine di criticare la presenza di fattori esterni, per focalizzarci totalmente sul potere che sentiamo dentro i nostri corpi e le nostre anime.



La chiacchierata con Ayse mi conferma la stessa impressione che avevo avuto parlando con Itir. Le donne turche sono molto più simili a noi italiane di quanto non lo siano le francesi o le inglesi. Hanno tassi di occupazione ancora bassi, difficoltà di accesso al credito se vogliono aprire un’attività, e sentono tutto il peso della mediazione del doppio ruolo, pubblico e privato, sia perchè non adeguatamente supportate da leggi e servizi, sia per via di fattori culturali molto radicati che influiscono sull’autopercezione e sulle relazioni con i compagni rispetto alla gestione del ménage familiare.

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