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Raccontarsi per conoscersi

Raccontarsi per conoscersi

Relazioni, in genere - Un gruppo di donne e uomini provano a decostruire le barriere che ostacolano la comprensione delle differenze. A partire da quella fra i generi

Giancarla Codrignani Lunedi, 08/02/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2010

Quando un gruppo si denomina "Sui Generi" non può non indurre a riflettere. Infatti è composto di gente che riflette e, come soggetto collettivo, trova il suo spazio di elaborazione ad Anghiari, dove ha sede la Libera Università dell'Autobiografia, meglio nota come centro di raccolta e pubblicazione della diaristica italiana. Sono uomini e donne che cercano di "raccontarsi", quella cosa bellissima che conoscono i bambini, ma che acquisterebbe valore soprattutto negli adulti, se - non si sa perché - non fosse propria solo del genere femminile.

Non si tratta di produrre narrazioni: i romanzieri e i poeti sono bravissimi in questo a prescindere dai generi. Si deve intendere, invece, il sentirsi esseri umani che comunicano solo se e perché si conoscono, parlando "a partire da sé". Infatti gli esseri umani possono conoscere l'esterno in due modi: appropriandosene e definendone l'essenza come i cani che segnano il loro territorio - come facciamo un po' tutti andando a scuola -; oppure partendo da noi, che siamo la cosa più prossima, per capire che non si tratta di una "cosa", ma della persona che è ciascuno di noi, che si scontra con le proprie insicurezze, limiti, errori, derivati dal percepirsi in primo luogo come corpo non solo carico di bisogni, ma "corpo desiderante". In questo secondo modo, più comune nelle donne, anche solo intuitivamente, il soddisfacimento delle esigenze comunemente definite istintive non esauriscono il bisogno della persona. Il corpo desiderante sa che non si contenta delle illusioni o di risposte solo funzionali se non come rimedio transitorio: percepisce che l'umano non dipende da sé. Perché da solo non dà senso senza un altro, con cui avere una relazione di comprensione, anche critica, che superi i muri delle diffidenze suggerite dalla distanza che c'è fra l'io e l'altro/gli altri.

Raccontarsi serve a sapere meglio chi siamo e che cosa rappresenta la comunicazione con un estraneo, che dovrebbe essere amico, ma potrebbe anche essere distante o addirittura ostile. Forse questo pensare che nasce dal corpo è più facile per le donne che hanno dentro un desiderio che si può farsi reale: l'estraneo quando nasce come figlio è l'altro che ti fa male ma che ignora tutto di sé e va aiutato a capire che può diventare un corpo desiderante.

Il gruppo "Sui generi" è composto di donne e uomini che sperano di riuscire, almeno per loro, a decostruire le barriere che ostacolano la comprensione delle differenze a partire da quella fra i generi e dall'avvertire il disagio che pervade perfino il linguaggio, oggettivamente comune, ma che, almeno nella relazione affettiva, comunica forse meglio nel silenzio che non con le parole. Dal loro tentativo hanno prodotto un libro d'autore collettivo, che può dare senso di estraneità perché chi legge non fa parte del gruppo e non è immerso nella realtà vissuta. Infatti è perfino ovvio che emergano più le differenze che non le uguaglianze, vale la pena di affrontare la lettura - anche solo pensando di lontano alla situazione - nel senso che ‘Il linguaggio delle relazioni’ (è questo il titolo dell'opera, Edizioni Stripes, 2009 - www.pedagogia.it) non intende esplicitare che tutti abbiamo diritto a pensarla a modo nostro, ma che abbiamo bisogno di “una sorta di coraggio, capacità, saggezza, sapere dell'anima di essere e di rendersi vulnerabile”, per capire che l'umano - delle donne e degli uomini - è fortemente ambivalente in se stesso - anche senza chiamare in causa le asimmetrie che nascono dai generi - a causa delle età, della cultura, delle stesse contingenze occasionali.

L'indagine - che non è tale nella sua voluta immediatezza - non vale come esperienza individuale intimistica. “L'impegno nel ‘mondo’, la politica, sono stati vissuti dagli uomini come una fuga dal confronto con se stessi, dalla relazione con l'altra, dalla percezione dei propri limiti e della propria parzialità”. Se bisogna creare nuovi paradigmi di senso, è la nostra educazione che va destrutturata: “imposizioni autoritarie, censure e tabù tramandati di generazione in generazione ci hanno reso spesso madri, padri, figlie e figli mute e muti di fronte al desiderio di cambiamento”.

Oggi quella cultura mette a rischio le pur acquisite libertà, per la paura che produce un futuro ancora ambiguo, per la possibilità che le donne perdano la differenza nell'omologazione sistemica, per il rifiuto di accettare il "suicidio dei padri" di cui si è pur parlato per la maggior facilità di semplificare i rapporti nella negazione dell'altro, negazione che inizia con l'appropriarsi più o meno freddamente, nonostante le cosiddette passioni, della sua carne sessuata. Preoccupa infatti attraversare le zone d'ombra che tanti credono siano la sola luce esistente.

Nel libro si cita Leonardo: “E se tu sarai solo, sarai tutto tuo”. Solo che uno così non sa neppure perché vorrebbe vivere.....



(8 febbraio 2010)

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