Cinema - Un Festival che promuove la cultura della conoscenza e della contaminazione tra popoli, etnie e generi
Colla Elisabetta Lunedi, 21/09/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2009
Nella vasta offerta festivaliera della Capitale, la selezione delle opere del Festival Without Borders-Senza Frontiere, presentato presso la Casa del Cinema, colpisce particolarmente per l’attenzione alle donne. Il Festival, che intende promuovere una cultura della conoscenza e della contaminazione fra popoli, etnie e generi, è diretto da una donna, Fiamma Arditi, che si divide fra l’attività di giornalista d’arte (fra New York e Roma) e la sua antica passione, quella del cinema, materia in cui si è laureata alla Cattolica di Milano. La incontriamo, mentre tiene in braccio un bambino straniero e, contemporaneamente, gestisce con semplice naturalezza, insieme al marito e alla figlia, registi, giornalisti, spettatori e tecnici.
Come è nata l’idea di questo Festival, signora Arditi?
Tutto è iniziato due anni fa quando un’amica libanese, Mariam Said, mi ha invitato al Lincoln Center a vedere il film Knowledge is the beginning sulla creazione di un’orchestra fondata da un palestinese e da un ebreo per dimostrare che, pur vivendo in Paesi in conflitto ci può essere unione fra individui, da lì ho deciso di fare il Festival, anche con l’aiuto di un’amica cineasta, Janine Quint. Poi ho chiesto a Felice Laudadio la Casa del Cinema ed i patrocini a Unesco, Nazioni Unite, Ministeri, Regione Lazio. Anche la Fondazione Roma, la Feltrinelli ed il Goethe Institute hanno sostenuto il nostro progetto. Noi non diamo premi, il nostro festival preferisce raccontare, per l’appunto “senza frontiere”, coinvolgendo i giovani delle scuole e nei workshop.
Come avete selezionato le opere? C’è grande cura per la condizione femminile.
La selezione si fa in modo naturale e i film delle donne risultano validi artisticamente e spesso per il messaggio che propongono: in particolare Pray the devil back to hell, di Gingi Reticker, sulle donne della Liberia che hanno fermato, unite, la guerra civile, poi Ramchand Pakistani, della regista pakistana Mehreen Jabbar su un bambino che finisce in prigione per sbaglio; Tuuba (l’albero sacro del Corano), un film della regista iraniana Shirin Neshat sulla condizione delle donne nella società contemporanea (mai come quest’anno attuale); poi il corto Feminine Masculine di una giovane regista iraniana nell’ambito del programma Democracy Now, su una conduttrice di autobus a Teheran che stravolge le regole e fa sedere le donne davanti; infine Off and Running di Nicole Opper, storia di una famiglia allargata e di una ragazza afro-americana adottata da due donne omosessuali. Ovunque, le barriere dei pregiudizi si aprono quando c’è compassione ed i generi non hanno importanza se ci si occupa di far crescere l’altro in maniera amorosa. Per contribuire ad un mondo senza frontiere bisogna impegnarsi fin dai piccoli progetti quotidiani.
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