Mercoledi, 28/03/2012 - Michael Porter, professore alla Harvard Business School dove dirige l'Institute for Strategy and Competitiveness, ormai da diversi anni si occupa di Responsabilità Sociale delle Imprese (RSI). In una sua tesi sostiene che la competitività di un’impresa e il benessere della comunità circostante sono strettamente interconnessi: così come l’azienda necessita di una comunità in buona salute per poter usufruire di un personale competente, di un ambiente in grado di investire e innovare e di una domanda effettiva per i suoi prodotti; allo stesso modo la comunità ha bisogno di imprese di successo per mettere a disposizione dei suoi componenti posti di lavoro e opportunità per creare ricchezza e benessere. E ambedue necessitano di politiche pubbliche che regolino in modo adeguato, incentivando e non frenando le interconnessioni nel mercato.
Facendo riferimento a questo concetto di valore condiviso tra azienda e territorio, la Commissione Europea nell’ottobre 2011 nella Comunicazione “Strategia rinnovata dell’UE per il periodo 2011-2014 in materia di responsabilità sociale d’impresa” definisce la RSI come “responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”. Oltre al rispetto della legislazione applicabile e dei contratti collettivi tra le parti sociali come presupposto, l’integrazione delle questioni sociale, ambientali, etiche, i diritti umani e le sollecitazioni dei consumatori nelle loro operazioni commerciali e nella loro strategia di base in stretta collaborazione con i rispettivi interlocutori, con l’obiettivo di fare tutto il possibile per creare un valore condiviso tra i loro proprietari, gli altri portatori di interesse e la società in generale, identificando, prevenendo e mitigando i loro possibili effetti avversi.
La Commissione Europea sostiene la tesi dell’interconnessione tra la competitività di un’impresa che applica la responsabilità sociale e il benessere della comunità del territorio su cui opera.
Dunque se esiste questa stretta connessione tra RSI e territorio, possiamo anche azzardare che i cambiamenti prodotti all’interno dell’impresa potranno influire su arretratezze culturali e “cattive abitudini” presenti in un territorio.
Parto dal riferimento a questo portato teorico per analizzare una notizia diffusa oggi dalle agenzie di stampa.
Il responsabile delle relazioni esterne di Ikea Italia, in una intervista a Labitalia, ha deciso di rispedire al mittente le raccomandazioni per le assunzioni in un punto vendita di nuova apertura, provenienti da un politico locale. “ Riceviamo sempre diverse tipologie di richieste che vanno da segnalazioni di nomi a interi curriculum o anche, come è successo in questo caso, con la richieste di sapere a che punto è il processo di selezione di alcuni candidati. Cosa che non faremmo mai, anche visto il rapporto fiduciario che si instaura con il candidato. Non avremmo mai potuto rivelare -ribadisce- dati sensibili su di esso a qualcuno". Queste segnalazioni sono “elementi di disturbo” che l’azienda non può accettare.
Una ricerca ISFOL di qualche tempo fa, effettuata su un campione di 40mila persone di età compresa tra i 18 e i 40 anni, evidenziava che il posto di lavoro si trova ancora con la classica raccomandazione o “spintarella”. E il fenomeno appare molto frequente tra gli individui più giovani e si sta accentuando a causa della crisi economica che ha fortemente limitato le occasioni di lavoro disponibili (1 su 3 trova lavoro in questo modo).
Non ci resta che sperare che questa presa di posizione modifichi gli atteggiamenti in atto. Dopo di che ci auguriamo che altre buone prassi possano diffondersi nel territorio: valorizzazione dei talenti (grande opportunità per la parte femminile del mercato del lavoro), la conciliazione fra tempi di vita e lavoro, la valorizzazione delle diversità come elemento competitivo. E tutte e tutti ne potremmo trarre vantaggio.
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