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Quote dispari

Quote dispari

Diritti di genere - “Dire ‘ogni cittadino è uguale di fronte alla legge’ è una conquista democratica, ma anche un inganno”. Luciana Castellina

Giancarla Codrignani Lunedi, 05/09/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2011

Partiamo da lontano. Il 30 maggio 2003, in conseguenza di un voto bipartisan, è stato modificato l'art. 51 della Costituzione per esplicitare il diritto, peraltro limpidamente espresso dal testo originario, il diritto di "tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge". Occorre ricordare che la limpidezza del diritto è stata ribadita dalla riforma dell'art.117 che attribuisce alle leggi regionali il potere di "promuovere la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive". Tuttavia la giurisprudenza e la stessa Corte costituzionale sono riuscite a individuare ipotesi di conflitto tra il diritto di genere e un'uguaglianza fondata sul rispetto sia del diritto di voto dell'elettore (detto al maschile), sia del punto di partenza dei candidati (sempre al maschile), sia delle formazioni politiche in campo. E su questi elementi ragionano tuttora, a proposito del 50/50, i partiti che pur bisognosi di cambiare registro sprecano il contributo di chi meglio di tutti conosce i limiti delle politiche attuali.

Difficile, infatti, comprendere i diritti delle donne se non si entra nella logica dei "diritti di genere". Per ultrasecolare consuetudine la neutralità del linguaggio copre il privilegio del maschile e non è semplice neppure per le professioniste e le politiche riposizionare il diritto che abbiamo assimilato studiando sugli stessi libri. Per superare le resistenze, le parlamentari hanno ottenuto la presentazione di proposte migliorative della sostanziale vigente discriminazione (contro il senso già esplicito della Costituzione) e hanno perfino approvato l'integrazione dell'art.51. Una modificazione, che, poiché "favorisce le pari opportunità" elettorali e non ne garantisce i pari diritti, non ridà certezza al nostro diritto.

Per tornare ai nostri giorni, il 3 luglio è stata varata una nuova "legge bipartisan", il ddl del ministro Carfagna sulla "parità elettiva nei consigli di amministrazione delle aziende quotate in borsa e delle società a partecipazione pubblica". Entro il 2012 le donne al vertice dovranno essere un quinto per salire a un terzo entro il 2015: "una decisione storica" ha detto Mara Carfagna e storico è stato anche il compiacimento di Dario Franceschini; più tatticamente Anna Finocchiaro la vede come una premessa alla parità in Parlamento. A margine qualche "no" (27), 64 astensioni, il solito rammarico per le quote che non favoriscono il merito. Un po' di notizie sulla stampa, compreso il commento di Alberto Statera su Repubblica sui maschi dei cda che "comandano per il 92,4", ma i cui meriti le statistiche non dicono se sono dovuti a "spinte di logge, massonerie, conventicole e mafie".

Restano grosse perplessità: la stagione politica presente è la meno indicata, se si volesse mai davvero dare senso alle riforme partendo dalle donne. Le quali attraversano questa fase tra molte ambiguità: i ricatti sul lavoro che le colpiscono direttamente, le future pensioni che saranno "paritarie" e senza "azioni positive", la spesa per nidi e asili che è in crescita, mentre l'attenzione dei partiti del centro-sinistra si fa leggera, nonostante l'aumento delle "quote" nelle amministrazioni locali. Davvero non si può prevedere come verranno scelte le manager dalle industrie: se seriamente si prepara la possibilità di entrare - da omologate? - nel mare magnum della lobbistica italiana; se con metodo berlusconiano... lasciamo perdere.

Possono non essere avanzamenti autentici, anche se riconosciamo che dà una qualche soddisfazione vedere sul ponte di comando una come noi. Oddio, dal mio punto di vista, vagamente femminista, non è proprio il massimo. Tuttavia, sono le quote, bellezza!

Vorrei però citare Luciana Castellina nel suo intervento alla "Milanesiana" di quest'anno: “C'è una bugia storica... che consiste nel far credere che adesso nascono bambini neutri e non più bambine femmine e bambini maschi. Sulla base di questa menzogna hanno spacciato come universale l'intero edificio istituzionale dei nostri Paesi e la loro organizzazione sociale, che è rimasta tutta disegnata sull'essere umano maschio.... Dire ‘ogni cittadino è uguale di fronte alla legge’ è una conquista democratica, ma anche un inganno”. Sono totalmente d'accordo: per fortuna abbiamo davanti la storia e informarla dei suoi errori, ma anche l'universalismo ci è contro...

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