Domenica, 29/07/2012 - Durante un seminario serissimo sul femminismo, che ho tenuto qualche tempo fa in un posto dell’Italia centrale di rara bellezza, le giovani donne presenti dibattevano con me di cose importanti, come la maternità, le tecniche di riproduzione assistita, le responsabilità individuali e collettive.
Ma c’era anche tempo per argomenti più lievi (in apparenza lievi) come la cucina, il giardinaggio e i peli. Già, quelli.
I cosiddetti ‘superflui’, nel caso di corpi femminili: l’aggettivo è (quasi sempre) d’obbligo.
Perché se si parla di corpi maschili i peli, fatta eccezione per l’irsutismo che è una malattia, non sono ritenuti superflui. Si discute se si debbano togliere nel caso tu sia un atleta olimpionico in alcuni sport, ma l’essere pelosi non è di per sé un handicap per il genere maschile.
Se invece pensi ad un corpo di donna: o sei levigata, o c’è qualcosa che non va.
Hai voglia a sorridere con il vecchio adagio consolatorio donna pelosa donna virtuosa, o a commuoverti con De Andrè: in Creuza de ma Faber declama la peluria nel verso della celebre Jamin-a, ode alla regina delle prostitute del porto.
Duve gh’è pei gh’è amù (dove si sono peli c’è l’amore),canta.
Bellissimo, ma la realtà, almeno qui e ora, è un’altra: sta nell’invito ammiccante e vagamente delirante della multinazionale della lametta, che gioca con i colori pastello e un vago ricordo di Edward mani di forbice nello spot Rasa il pratino
(http://www.youtube.com/watch?v=Qx_qxOkBL-o).
Lo si guarda e si ridacchia, ma poi si deve ragionare, credo.
Ci provano a farlo, tra le altre e ultime in ordine di tempo, alcune giovani donne nel blog Soft revolution, e a leggere le interessanti riflessioni sembra che la questione dei peli davvero non sia proprio così marginale.
Il discorso si sposta sul disagio provato a essere oggetto di sguardi che, da ammirati, si trasformano in giudicanti, a causa dell’ombreggiamento di gambe, ascelle o zona bikini.
Quegli sguardi dicono, più di mille parole, che non sei in riga con ciò che ci si aspetta da te, in particolare da un corpo giovane di donna, e più in generale dalle femmine: che tu sia in ordine.
In ordine con il ‘dover essere’ pulita, glabra, soffice, liscia, cosa che non avviene se hai i peli.
I peli, che sono il segnale dello sviluppo dell’età adulta in entrambi i generi e che, soprattutto, dicono dell’insorgenza della sessualità.
In Veronique- AAA offresi, il primo, scioccante documentario italiano sul consumo maschile di prostituzione, prodotto negli anni ‘80, un cliente chiedeva alla ragazza se era pelosa e di che colore fossero i peli, sotto. Nelle ricerche sulla pedo-pornografia ricorre l’osservazione di come la richiesta ossessiva di assenza di peli sia uno dei requisiti fondamentali per i consumatori di sesso pedofilo, ragione per la quale sempre di più anche le donne adulte che vendono il loro corpo fanno ben attenzione ad essere debitamente depilate: la richiesta maschile, raccontano in molte le prostitute, è di essere depilate perché non avere peli fa sembrare più giovani, quindi più disponibili, arrendevoli: bambine.
A questo punto non c’è più molto da ridere. Siamo su un territorio che dai peli si sposta in altri ambiti, e si torna al punto di partenza: perché il corpo femminile deve essere levigato, disponibile inerme, infantile?
Nello spogliatoio svedese di una piscina, qualche anno fa, guardavo le altre donne, belle tranquille con i loro peli su gambe, ascelle e zona bikini. Le guardavo a loro agio nel bagno turco, dove si stava tutte, donne e uomini, assieme e nude, mentre qui in Italia bisogna tenersi il costume addosso, anche se è palesemente malsano fare bagno turco o sauna indossando qualcosa.
Penso all’ossessione di pezzi di cultura giapponese per il pallore e la perfezione liscia dei corpi femminili, eternati in una infanzia mortifera senza tempo. Credo che, al di là della leggerezza del tema depilazione, dietro a questo argomento ci sia molto di più in gioco: un immaginario che può, di volta in volta, liberarci o imprigionarci. Non è poco.
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