Un film sul doppio. La versione al femminile di L’uomo nell’ombra. Due ghostwriter che diventano doppi di figure di successo. Due donne in un continuo gioco di specchi
Lunedi, 12/03/2018 - Quello che non so di lei (trailer)
di Adriana Moltedo esperta di Comunicazione e Media
Quello che non so di lei (D'après une histoire vraie) è un film con protagoniste due ottime interpreti, Emmanuelle Seigner e Eva Green, due dark ladies avvolte nel mistero e nel torbido intreccio firmato da Roman Polanski adattato per lui da Olivier Assayas,.
Il film è basato sul romanzo Da una storia vera di Delphine de Vigan. Fuori Concorso al Festival di Cannes 2017.
Delphine, una scrittrice di successo che soffre di depressione e del "blocco dello scrittore", inizia una relazione con Lei, una donna affascinante e intelligente che riesce a capirla meglio di chiunque altro. Tra le due si crea un legame così forte da essere quasi definito ossessivo.
La fama può avere innumerevoli “effetti collaterali”: lo sa bene la protagonista, lo sa bene Polanski. Le inquietudini di un artista, i tortuosi percorsi del processo creativo, le conseguenze talvolta deleterie del successo, in un’atmosfera sottilmente malata, in bilico fra realtà e incubo, aiutato dalla fotografia di Pawel Edelman già con lui nel Il Pianista, le scenografie di Jean Rabasse, i costumi di Karen Muller-Serreau.
"La cosa che più mi ha attratto e fin da subito, sono stati i personaggi e le situazioni insolite e inquietanti in cui si ritrovano - ha spiegato Polanski -. Si tratta di temi che avevo già affrontato in "Cul-de-sac", "Repulsione" e "Rosemary’s baby".
È un libro che racconta la storia di un libro, e questo per me è molto intrigante. Lo stesso tema de "La nona porta" e "L’uomo nell’ombra".
Quello che non so di lei rappresenta il ritorno di Polanski a uno dei suoi temi più cari, ossessivamente presente in molti suoi film, l’io prigioniero che lotta disperatamente per affrancarsi dal Super-io collettivo, ma alla fine cede, perdendo se stesso e assumendo il ruolo e finanche le sembianze assegnategli dalla società.
La protagonista, una romanziera senza più ispirazione, obbligata dai suoi fans e dagli editori nel ruolo di scrittrice di successo, interpretata da Emmanuelle Seigner, è la declinazione al femminile del personaggio di Trelkowski, interpretato dallo stesso Polanski nel suo film L’inquilino del terzo piano del 1976.
Emblematiche della ribellione dell’io e del suo fallimento sono, rispettivamente, la scena in cui la protagonista ha un incubo in cui sogna di lanciare il computer contro il suo alter ego, impersonato da Eva Green, che abita l’edificio dirimpetto e invade la sua vita costringendola a scrivere un’autobiografia e la scena finale, in cui, come nella scena iniziale, firma autografi per i lettori sulle copie del suo nuovo bestseller, ma è ormai trasformata e omologata nel personaggio di scrittrice famosa.
Questo è un film sul doppio. La versione al femminile di L’uomo nell’ombra. Due ghostwriter che diventano doppi di figure di successo. Due donne in un continuo gioco di specchi, ed è molto interessante che il gioco perverso è tra due donne.
"Ho sempre raccontato di conflitti: tra due uomini o tra un uomo e una donna ma mai tra due donne - ha dichiarato Polanski.- . Leggendo il libro, sono stato colpito da come realtà e finzione si mescolino e, come accadeva già in Venere in pelliccia (uno dei pochi film diretti da me in cui una donna non è vittima), in un continuo gioco di specchi non si sa mai cosa per Delphine sia vera e cosa sia finzione."
"In fase di sceneggiatura, ho desiderato lavorare con Olivier Assayas. I suoi ultimi due film (Sils Maria e Personal Shopper) sono due opere sulle donne e, sapendo che ha già scritto per altri registi, ho voluto chiedere a lui di affrontare con me gli argomenti della Vigan. Olivier ha una visione piuttosto netta e concisa di come trasformare un volume di 500 pagine in una sceneggiatura: è un'abilità che in pochissimi hanno. Abbiamo collaborato, per varie ragioni, da lontano. Abbiamo fatto tutto via Skype ed è stato un continuo scambio di idee basato su visioni straordinariamente in comune. Siamo stati fedeli al romanzo, com'è mia abitudine quando adatto qualcosa di già esistente e consolidato. Da piccolo, rimanevo deluso da adattamenti di romanzi lontani dall'idea che mi ero fatto con la lettura o dalla cancellazione di personaggi che invece io avevo amato. Si deve a tale retaggio il desiderio di non alterare le storie altrui."
Dunque la presenza di Olivier Assayas come sceneggiatore segna in maniera significativa il film. Dal tema del doppio che ricorre insistentemente nelle sue ultime opere, alla forme di comunicazione dove è ricorrente la presenza degli iPhone anche come contenitore di memoria (gli appunti vocali di Delphine) o della pagina bianca dello schermo del computer. Fino all’ambiguità tra realtà è visione. Delphine vede davvero il frullatore abbattuto fino alla bevanda al cioccolato che la donna non vuole bere e che viene gettato via con rabbia. Qual è l’immagine giusta che stiamo vedendo? Con in più un momento thriller indimenticabile, come quello di Delphine che fugge dalla casa con le stampelle sotto la pioggia e viene ritrovata la mattina dopo. È accaduto tutto questo? Non è successo niente e la storia faceva parte della gestazione del nuovo romanzo della scrittrice?
"Quando si è trattato di scegliere a chi affidare i ruoli di Delphine ed Elle- prosegue il regista - non ho avuto quasi dubbio. Emmanuelle Seigner era perfetta per interpretare la scrittrice ed Eva Green per Elle. Avevo in mente il suo personaggio in Sin City: Una donna per cui uccidere e nessuna meglio di lei sarebbe stata perfetta per Elle".
Il fuoco della storia dunque è sulle due protagoniste. "Quello che mi ha sorpreso, è stato quanto fossero entrambe molto preparate - sottolinea il regista che della Seigner è compagno da anni -. Ricevevano la sceneggiatura un po’ per volta mentre stavamo ancora mettendola a punto. Emmanuelle e Eva sono entrambe due professioniste consumate e venivano in riunione sempre con idee eccellenti. Emmanuelle era soprattutto interessata alla costruzione di un personaggio che fosse un punto di svolta rispetto ai suoi ruoli passati".
Così le lettere, gli appunti di ispirazione dei romanzi di Quello che non so di lei assumono le tracce horror del libro antico di La nona porta.
C’è ancora una continua illusione di una trasformazione fisica dei protagonisti. Come se possano diventare qualcun’altro, e rubare la vita dell’altro.
Evidente nella scena in cui Elle si fa una pettinatura simile a quella di Delphine per partecipare a un incontro con degli studenti a una scuola di Tours al posto suo.
Il nome della scrittrice corrisponde a quello della protagonista. Altro elemento quindi di totale simbiosi tra libro e film. Come se non ci fosse l’adattamento per lo schermo, ma solo una naturale continuità tra la parola scritta e l’immagine visiva.
Chi si nasconde dietro ogni opera? Chi è il vero autore? Il cinema di Polanski entra ancora dentro la testa dei suoi protagonisti. Con l’apparizione di Eva Green, inquietante, una creatura che sembra un fantasma di Polanski che si chiama Elle, Lei.
L’oppressiva chiusura degli spazi (la casa di Parigi e quella in campagna), l’immobilizzazione fisica appartengono in pieno al cineasta, che recupera la cattiveria grottesca.
Poi entrano in gioco anche tutti gli elementi tra noir e mélo del suo cinema, dalla caduta dalle scale del condominio di Delphine all’immagine della giostra nel parco che ritorna due volte, quasi residuo di Hitchcock che ritorna da L’inquilino del terzo piano.
Dietro il tono anche leggero, dissacrante, ci sono anche le tracce mai rimosse di un tormento autobiografico. Innanzitutto le lettere anonime che riceve la protagonista possono essere state parte delle esperienze vissute dalla vita stessa dello stesso Polanski. E il vuoto dal terrazzo dell’abitazione parigina da cui si affaccia la scrittrice richiama quello del Il pianista, soprattutto la scena dell’uomo invalido gettato nel vuoto dai nazisti.
Polanski dimostra di saper conferire stimolanti sfumature e ambiguità al complesso rapporto fra i due personaggi. Per la donna Leila diviene una presenza tanto sfiancante quanto irrinunciabile: Delphine vede infatti nell’amica una caotica fonte di ispirazione che potrebbe darle l’energia necessaria per scrivere un nuovo romanzo. La protagonista, però, non si rende veramente conto di avere a che fare con una “musa” ossessiva e, forse, pericolosa.
Un'opera affascinante e costantemente sul filo del rasoio del rapporto tra finzione e realtà. Un film tormentato e pieno di detour improvvisi. Che suggerisce soluzioni che volutamente dirige improvvisamente da un’altra parte. Come la botola della casa di campagna dove Delphine potrebbe essere intrappolata. E invece non accade. E l’angoscia aumenta, insieme alla musica di Alexandre Desplat
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