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Quelle scuole di fine estate

Quelle scuole di fine estate

Studi di genere - Luoghi di incontro dove “la matrice politica e insieme quella universitaria sono presenti e visibili” e puntano al “riconoscimento dell’autorità femminile”

Forcina Marisa Lunedi, 05/10/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2009

Scuole estive: oggi proliferano. Sono le scuole di fine estate, della fine delle ferie. E delle ferie conservano non solo il legame etimologico (feria deriva da festus, cioè piacevole, festivo), ma anche il senso di uno svincolamento dalla routine, dal lavoro che consuma e ci rende consumatori, e dall’insegnamento che impartisce nozioni da apprendere senza discutere. Particolarmente interessanti sono le scuole delle donne. Cito tra queste solo qualcuna: la scuola delle Storiche in Toscana, la scuola estiva della differenza a Lecce (quest’anno alla settima edizione, 1/5 settembre), che ha ormai acquisito una sua tradizione ed è abbastanza conosciuta, la scuola delle donne pedagogiste, quest’anno alla quinta edizione o anche la scuola di politica dell’Udi.

Perché si tratta di esperienze molto importanti? Perché fanno uscire dall’invisibilità e dall’apparente silenzio il pensiero e le pratiche politiche delle donne. In agosto abbiamo assistito a lunghe discussioni su quotidiani come “l’Unità” e “il manifesto” dove si accusavano le donne di essere assenti, o quasi, dal dibattito politico. Oggetto delle riflessioni è stato il silenzio delle donne e qualcuna ha giustamente ironizzato che, invece, si sarebbe dovuto trattare, come argomento di discussione, il silenzio sulle donne. Dietro queste considerazioni era la certezza che, per essere visibili e per istaurare una concreta presenza democratica, fosse necessario scendere in piazza, agitarsi, protestare, manifestare. Il ricordo delle manifestazioni degli anni Settanta è stato, in quel dibattito, ancora ingombrante e non ha permesso di leggere con chiarezza e di guardare con la dovuta attenzione anche alle nuove forme di innovazione politica che il femminismo pensante ha attivato nell’ultimo decennio.

Si tratta di pratiche di democrazia partecipata e di pratiche di condivisione di sapere politico, attivate attraverso le scuole di politica, generalmente coordinate e promosse da istituti di pari opportunità. In questi corsi e nelle scuole estive delle donne, promosse dalle varie università o associazioni, dove la matrice politica e insieme quella universitaria sono presenti e visibili, viene agita una politica che si muove non più sul piano del potere, ma sulla base del riconoscimento e della valorizzazione reciproca, del riconoscimento dell’autorità femminile, del valore fondante delle relazioni asimmetriche, dei processi di cittadinanza attiva e partecipata che si possono percorrere insieme, di un “pensare in presenza”, per usare la bella definizione di Chiara Zamboni, che è immediatamente politico. Si tratta di un pensare che consente il godimento del percorso di consapevolezza soggettiva che, attraverso il partire da sé, si definisce e trova alimento nella relazione con l’altra. Al contrario, i partiti politici e la rappresentanza politica tradizionale usano la presenza e la riconoscono solo quando è di massa e, invece, contano sull’efficacia o sul potere dell’organizzazione, dei regolamenti, delle procedure formali e formalizzate. La presenza della moltitudine rende possibile che uno solo si imponga sui molti: il leader carismatico, come una volta il corpo del re, rappresenta, dice Zamboni, la mediazione formale ed essenziale. Invece, nella politica delle donne le mediazioni non sono formali, sono esperienza e sono vissute e la politica in questo modo diventa cosa viva. Come avviene nelle scuole estive o nei corsi su “Donne, politica e istituzioni” che, promossi dal Dipartimento per le Pari Opportunità e attivati in tutti gli atenei italiani, hanno reso viva la quantità e la qualità della domanda di politica che c’è tra le donne e hanno reso matura anche la consapevolezza con cui si sono proposte iniziative di partecipazione politica, vedi la proposta di legge di iniziativa popolare indicata come “50 E 50” (proposta dall’Udi, ndr), poi riproposta come iniziativa autonoma da alcuni partiti.

È molto importante registrare il fatto che questo tipo di politica stia passando attraverso istituzioni forti quali le Università, perché, lo sappiano, ciò che viene accolto come vero e diventa incisivo e acquisito è il tipo di discorso che l’istituzione accoglie e fa funzionare nella qualità di reale ed autorevole. L’istituzione conferisce agli eventi che accadono al suo interno la possibilità di imporsi in un ordine comunicativo, dimostrativo e indiscutibile che, se da un lato ne smonta il dato innovativo e rivoluzionario, dall’altro lato rende proprio quel dato un fatto stabile, legittimo e acquisito. Questi corsi e queste scuole hanno anche conferito stabilità e riconoscimento indiscusso all’autorità femminile e alla innovatività delle ricerche delle donne che, rispondendo a un bisogno di cambiamento politico e di democrazia reale e diffusa, hanno già prodotto cambiamento aumentando e rendendo la libertà femminile un fatto non più contrattabile o sottoposto a condizioni.

Tornando alle scuole estive, vale la pena di ricordare che la prima, felice esperienza fu la Scuola estiva di storia e cultura delle donne, fondata da Annarita Buttafuoco e che cominciò a Pontignano, con due settimane nella seconda metà di agosto, vent’anni fa. Era il 1990 e l’inversione di tendenza era esplicita: “Il valore delle donne”, titolo del corso di apertura del primo anno era un modo per rappresentare un altro orizzonte, non quello della miseria e dello svantaggio femminile, ma quello del vantaggio e del contributo reale che le donne erano state per la società. La stessa lezione di Buttafuoco su maternità e lavoro insegnava a riconoscere un non visto protagonismo femminile e permetteva di leggere i passaggi e i cambiamenti positivi che le donne avevano portato nella società. Buttafuoco e, con lei, Anna Scattigno, Anna Rossi Doria, Andreina de Clementi, che oggi dirige “Genesis”, rivista della Società italiana delle Storiche, furono le protagoniste di quella esperienza indimenticata, per chi, a vario titolo, vi ha partecipato. Era una esperienza che segnò un modo felice di essere e fare scuola, dove il sapere spiegato, partecipato e discusso diventava impegno politico e impegno di cittadinanza, ossia un contributo civico al modo di vivere, di esistere e di pensare. Oggi la scuola estiva delle storiche, coordinata da Anna Scattigno, si tiene dal 30 agosto al 3 settembre, e quest’anno ha proposto alla riflessione un titolo intrigante: “Secondo natura/contro natura. Corpi contesi tra sfera pubblica e relazioni di genere”.

La scuola estiva della differenza a Lecce, con la sua costante e impegnata ricerca di verità, dà risposte alle donne di oggi, ai problemi che vivono, alle speranze che nutrono, ai progetti che coltivano. Tutto questo avviene attraverso lo studio, l’insegnamento e l’approfondimento filosofico che diventa orizzonte politico e apre ai soggetti passaggi di trasformazione del mondo. Realizzata in collaborazione tra l’Università del Salento, l’Università di Roma Tre e il Monastero delle Benedettine in Lecce, è da me coordinata, con il sostegno continuo di Francesca Brezzi. Quest’anno la sua realizzazione è stata possibile grazie al contributo della Consigliera di Parità della Provincia di Lecce e a quello delle Consigliere regionali di Parità della Puglia, Serenella Molendini e Teresa Zaccaria.

È da notare che i vari festival di filosofia o della letteratura sembrano ampliare al massimo l’esperienza delle scuole estive, ma sono profondamente diversi, non solo perché, a differenza di quelle, sono scanditi quasi esclusivamente da presenze maschili, e nemmeno perché hanno budget da capogiro: il festival di filosofia di Modena quest’anno ha dovuto fare i conti con un taglio del 10% sui 750mila euro previsti. Il confronto con il finanziamento, pari a 12 mila euro, su cui conta la scola estiva di Lecce, sembra quasi ridicolo. Certamente i festivals mettono in scena una quantità enorme di iniziative e di programmi che vanno dall’incontro-dibattito alla lettura, alla musica, alla mostra. Certamente rispondono a una domanda di condivisione, aggiornamento, riflessione collegiale; certamente mantengono anche il carattere popolare che si richiama a un sapere partecipato rispondente alle esigenze dei tempi, certamente permettono alla gente, che si ritrova davanti alla pluralità dei banchi di vendita, di confrontarsi, ma, comunque, quello che li differenzia rispetto all’esperienza delle scuole della donne è che queste ultime offrono un percorso di consapevolezza, di riscoperta della soggettività e di riconoscimento di sé. Nelle relazioni delle altre e nella relazione con le altre, nell’attraversamento e nella messa in parole della propria storia e della riflessione su questa storia si ritrovano un richiamo di esperienza e un legame che sono umani e sociali e che sono nutrimento per ogni senso vero dell’agire politico.



(5 ottobre 2009)

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