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Quelle che cambieranno il mondo

Quelle che cambieranno il mondo

Alain Touraine - Hanno combattuto per sottrarsi alla sottomissione e al potere degli uomini per ottenere uguaglianza giuridica e libertà sessuale. Nel pensiero di Alain Touraine le donne sono le nuove “attrici della ricomposizione” per cui coscienza

Cristina Carpinelli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2008

Alain Touraine è un sociologo di fama mondiale. Direttore di studi dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi ha di recente pubblicato il libro “Le monde des femmes” (Fayard, 2006), le cui tesi, di seguito riportate, sono state al centro di una conferenza pubblica che si è svolta il 21 gennaio 2008 all’Università degli Studi di Milano (Bicocca).
In Occidente le donne stanno assumendo un ruolo centrale nel tentativo di combattere gli effetti negativi della modernizzazione. E in questo tentativo non agiscono in quanto movimento sociale ma come forza di trasformazione culturale.
Sottomesse per secoli alla propria funzione sociale e al potere degli uomini hanno combattuto in gran parte del mondo per ottenere indipendenza economica, uguaglianza giuridica e libertà sessuale. La formazione della loro soggettività ha avuto luogo attraverso un percorso che le ha liberate dalle regole coercitive della comunità, della tradizione e degli apparati di potere. Al di fuori dell’Occidente, hanno continuato, al contrario, ad essere sottoposte al controllo comunitario e ai divieti religiosi. Afferma Touraine: “Chi occupava il posto dei mercanti che distrussero il sistema feudale o dei lavoratori manuali nella società industriale? Erano le donne - rispondo - perché sono state le vittime più complete della polarizzazione di società, che avevano accumulato tutte le risorse nelle mani di un’èlite dirigente fatta di uomini bianchi, adulti, padroni o proprietari di ogni reddito ed armati. Erano le donne considerate come non-attori, prive di soggettività, definite dalle proprie funzioni invece che dalla propria coscienza”.
La costruzione femminile del sé ha imboccato vie inedite tracciate dai processi della modernizzazione, con ricadute sull’ambiente sociale, le istituzioni e le performance. L’affermazione della libertà e responsabilità individuale è oggi concepita dalle donne come ricerca della costruzione del sé contro qualsiasi subalternità sociale, culturale, psicologica o politica che riduce l’individuo a mero consumatore, in una società che non è più strutturata dai rapporti di produzione e caratterizzata dal conflitto di classe, ma al contrario definita dal consumo. Non c’è alcun motivo di pensare che la posizione inferiore delle donne lasci ora il posto all’uguaglianza, ma nel ribaltamento che porta da una società di conquistatori del mondo a una società della costruzione del sé, la società degli uomini tende a sostituirsi con quella delle donne.
La modernizzazione ha creato forme di dominio estreme e distrutto la natura mentre la conquistava. Attualmente le donne stanno cercando di ricomporre l’esperienza collettiva e individuale che è stata lacerata, legami tra poli che fasi anteriori alla modernizzazione avevano contrapposto: il corpo e la mente, l’interesse e l’emozione, il diverso e il simile. Sono le nuove “attrici della ricomposizione”, per cui coscienza femminile e mutamento sociale non sono più separabili. Sostiene Touraine: “Sono in primo luogo le donne quelle chiamate ad essere le principali attrici di questa azione di ricomposizione della società, poiché, essendo state per tanto tempo la categoria inferiore a causa della dominazione maschile, esse, oltre alla propria liberazione, possono svolgere, in generale, un’azione di ricomposizione di tutte le esperienze individuali e collettive”. Le donne più degli uomini hanno la capacità di essere portatrici dell’ideale storico del superamento di antichi dualismi e delle distonie che sono proprie della contemporaneità.
Per due secoli è stata ascoltata la voce dei cittadini che hanno rovesciato lo Stato assoluto, dei lavoratori che hanno difeso i propri diritti all’interno delle fabbriche, dei popoli colonizzati che si liberavano da un dominio straniero e delle donne che rifiutavano il dominio maschile. Ma il post-femminismo, di cui si occupa il libro di Touraine, incita ad andare oltre, a non combattere un potere in nome di una verità assoluta, ma a dare come fine all’azione collettiva l’affermazione della libertà di soggetti creatori e liberatori di se stessi. E questo, dice Touraine, rende caduca la sociologia basata sull’idea di un sistema sociale che miri all’integrazione e a gestire i cambiamenti. Il sociologo suggerisce di considerare come obiettivo conflittuale delle società moderne la lotta contro il predominio del mercato e contro i poteri comunitari autoritari. E alla luce di ciò, il movimento che più lo interessa è quello delle donne. Tale movimento - afferma - sta portando a una profonda trasformazione del campo culturale, una vera e propria creazione del contesto conflittuale, che viene così sottratto ai gruppi dominanti: le donne, come attrici collettive, creano la posta in gioco e il campo culturale del conflitto con altri attori sociali. Di fronte alla globalizzazione, che per Touraine è capitalismo estremo, separazione dell’economia da ogni forma di controllo, le donne affermano positivamente la propria identità e le proprie rivendicazioni. In altre parole, costruiscono se stesse, riparano ciò che è stato smembrato dalla globalizzazione, dall’esposizione alla deriva delle forze del mercato, e in questo processo rappresentano il nuovo dinamismo sociale e democratico, suscettibile di verificarsi se non con l’azione, delle società post-industriali e mondializzate
Ho lavorato - prosegue il sociologo - con molte donne francesi e musulmane. Tutte difendono il diritto di essere individui liberi, di un “poter essere”, per riprendere l’espressione con la quale Paul Ricoeur ha reso il termine “capability” usato da Amartya Sen. Tutte hanno una coscienza positiva della loro identità, si definiscono donne e non vittime, anche se molte hanno subìto violenze o ingiustizie. Oggi, la fede nell’onnipotenza dell’economia globalizzata genera l’idea che le vittime possano solo mettere in luce le contraddizioni del sistema ed essere la manifestazione di un dolore e di una miseria oggettive, mentre ricadrebbe sugli intellettuali e i militanti politici la responsabilità d’indicare la strada da seguire contro l’offensiva capitalistica. Il movimento delle donne sta dimostrando il contrario, ovvero che l’azione è possibile e che approda a trasformazioni non soltanto necessarie ma anche efficaci dell’assetto sociale; che è possibile uscire da una posizione puramente difensiva davanti alla sofferenza e all’esclusione, a patto però di riconoscersi in quanto soggetti che si richiamano a principi capaci di coagulare attorno a sé ampie forze; che non è, infine, indispensabile affidarsi a ideologi che si attribuiscono il monopolio dell’analisi e dell’azione e che parlano in nome di un popolo incapace, secondo loro, di perseguire consapevolmente i propri interessi e di migliorare la propria condizione. Nell’epoca presente le donne sono soggetti che rivendicano identità e diritti (soprattutto culturali), e che impongono una concezione innovativa e non soltanto critica della società. Di fronte all’indebolimento, se non alla scomparsa, delle mediazioni e appartenenze sociali, del conflitto espresso come scontro tra le classi, il movimento delle donne è riuscito a trovare un comune terreno dove poter sviluppare il conflitto, inteso come agente di auto-trasformazione della società post-industriale e globale. E ciò costituisce un fatto dialettico, poiché supera lo scontro e la rottura di chi punta alla disintegrazione gravida di violenza e disperazione distruttiva e di chi chiede un’integrazione che equivarrebbe a una totale assimilazione. Il conflitto prende il sopravvento sulla contraddizione, nella quale le parti sarebbero inevitabilmente condannate all’immobilità, poiché restano rinchiuse in un “tutto o niente”.
La modernità crea un processo di soggettivizzazione sempre più marcato, dando la possibilità ad ogni individuo di non lasciarsi più definire da categorie ascrittive. Questo processo si concretizza nella presa di coscienza di un individuo che vuole essere tale e ne reclama il diritto, nella lotta per il riconoscimento di diritti individuali che si affermano solo con l’azione collettiva, conferendo a questi stessi diritti una dimensione universale, estensibile a tutti.
Trovo il pensiero del sociologo originale nel suo mettere al centro del discorso il Soggetto e il ruolo forte esercitato dalle donne per la fuoriuscita da sistemi dei poteri forti o d’impianto neoliberista. Quest’ultimo ha manifestato tutta la sua furia e, nei suoi obiettivi di deregolamentare il mercato e smantellare il welfare state, ha dimostrato di essere nemico in primo luogo delle donne. Nei paesi dell’Est le donne hanno perso molto (prima i diritti materiali, cui è seguita la messa in discussione di altri diritti), e la ricomposizione del loro sé è oggi difficile e lenta. Sono, invece, perplessa sull’uso di Touraine di una categoria astratta per caratterizzare il movimento femminile, che a mio parere funziona meglio per i diritti trasversali. La posizione delle donne nella società, come per gli uomini, si definisce e si distingue in relazione a: status (reddito, potere, prestigio), istruzione, opportunità di lavoro ecc. La costruzione dell’identità è determinata da questi fattori e il risultato è la formazione di soggettività femminili tra loro anche conflittuali nella percezione e affermazione dei diritti. L’universo delle donne non è indifferenziato e la sua comprensione implica una chiave d’analisi e interpretativa della realtà diversa da quella utilizzata dal sociologo francese.

(25 marzo 2008)

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