Quella parità che ancora ci manca - Daniela Poggio (27esimaora)
Nonostante il tentativo di seppellirla con 1946 emendamenti, la legge sulla parità di genere nelle liste elettorali vedrà la luce in Puglia....
Martedi, 04/08/2020 - Articolo di Daniela Poggio pubblicato il 3 agosto in la 27esimaora (Corriere della Sera)
Nonostante il tentativo di seppellirla con 1946 emendamenti, la legge sulla parità di genere nelle liste elettorali vedrà la luce in Puglia. Non per volontà del Consiglio regionale, ma grazie a un decreto del governo firmato dai ministri Boccia e Bonetti e firmato immediatamente dal presidente della Repubblica. È la prima volta nella storia d’Italia che il governo esercita i “poteri sostitutivi”.
Della vicenda si parla e si scrive molto da quando il Consiglio dei ministri aveva accolto l’appello di Noi rete donne e di un nutrito gruppo di costituzionaliste che denunciava a più riprese il mancato adeguamento delle leggi elettorali alla legge statale n.20 del 2016 sulla parità di genere, che stabilisce l’equilibrio tra i generi nelle candidature delle liste e doppia preferenza, l’alternanza tra i generi nelle candidature delle liste bloccate ed equilibrio di genere nelle candidature presentate con il medesimo simbolo nei collegi uninominali. Il premier Conte aveva diffidato – invano - la regione Puglia e il ministro per gli Affari Regionali Boccia scritto di suo pugno una lettera in risposta a Noi rete donne. Insomma, l’impegno del governo c’è stato – va detto - ed è un segnale di civiltà, verrebbe da dire, considerando che in Italia solo il 34% delle parlamentari è donna, che le leader di partito sono solo due, che forse solo il 10% è nella direzione dei partiti. E che come sappiamo solo la metà della popolazione femminile - ahimè - vota.
Oggi però non vorrei parlarvi della cronaca di questi giorni, ma di un libro che getta un ponte tra i fatti di questi giorni e il nostro passato e che racconta ai ragazzi e alle ragazze perché la cronaca di questi giorni ci appartiene. Edito dalla casa editrice Settenove, il libro si intitola «Libere e Sovrane» e ci restituisce le storie delle 21 donne elette nell’ambito della Assemblea costituente che, successivamente alla Seconda guerra mondiale e al referendum per scegliere tra repubblica e monarchia, si incaricò di redigere la Costituzione.
Complessivamente l’Assemblea era formata da 535 uomini e, appunto, 21 donne, che furono le prime a influire sulle decisioni politiche del Paese e che, pur con radici e appartenenze politiche diverse, contribuirono a fissare alcuni capisaldi nel senso della parità di genere e dei diritti fondamentali. Uno su tutti è riflesso nell’articolo 3 della nostra Costituzione nel quale si proclama che «tutti i cittadini e tutte le cittadine hanno pari diritti e che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che causano le disuguaglianze».
A dare un contributo fondamentale alla scrittura di questo articolo fu Teresa Mattei, eletta il 2 giugno 1946 nelle liste del Partito comunista italiano e anche la più giovane di tutta l’Assemblea costituente. Fu poi Angela Merlin a battersi affinché l’articolo 3 affermasse in modo esplicito la pari dignità sociale e l’uguaglianza di fronte alla legge «senza distinzione di sesso». E Maria Nicotera si schierò a fianco delle colleghe che chiesero di modificare l’articolo 51 della nascente Costituzione che, con l’espressione «conformemente alle loro attitudini», limitava l’accesso delle donne ai pubblici uffici. Ecco, la battaglia per l’equa rappresentanza di genere in politica ha la stessa età della nostra Costituzione e a distanza di 72 anni è ancora necessario battersi continuamente per vedere rispettato questo diritto.
E non è il solo. Le 21 donne che contribuirono a scrivere la Costituzione evidenziarono anche altri importanti diritti, tuttora disattesi. Teresa Noce, ad esempio, sostenne con forza la parità di retribuzione tra donne e uomini, quel “gender pay gap” di cui parliamo ancora oggi. Maria Agamben Federici, con le colleghe Angela Gotelli e Nilde Iotti, affermò con tenacia il diritto delle donne a diventare magistrato, una conquista ottenuta solo successivamente nel 1963 con la legge n.66, che riconosce alle donne il diritto di accedere a tutti i pubblici uffici senza distinzione né limitazione di sorta, ma su cui è necessario tenere ancora i riflettori accesi. Infatti, non si riesce a ottenere la doppia preferenza di genere nella legge elettorale del Csm (Consiglio superiore magistratura) nonostante il disegno di legge n. 4512 del 2017, cui sono seguite in questa legislatura altre proposte che ne riprendono le tematiche: la n. 976 del 2019 on. Rossello e la n. 2233 del 2019 on. Pollastrini. In particolare, la riforma delle nomine per la magistratura con abbattimento delle discriminazioni di genere promossa da Cristina Rossello è attualmente sulla scrivania del presidente della Repubblica, ma tutto tace. Ad Adele Bei dobbiamo un’intensa attività parlamentare per il miglioramento delle donne in carcere, anche questa battaglia ancora molto attuale.
Proprio nell’ambito della emergenza Covid-19, infatti, la lettera appello di Cittadinanzattiva ai ministri della Giustizia, dell’Economia e delle Finanze, ai presidenti di Camera e delle commissioni Giustizia e Bilancio della Camera, poneva l’accento sulle condizioni delle mamme in carcere (sono 30 attualmente le detenute con bambini e bambine al seguito) ma l’emendamento per consentire la realizzazione di case famiglia protette dove far trascorrere il periodo di differimento di queste mamme è stato trasformato in ordine del giorno: un nulla di fatto, insomma. Angela Merlin diede il nome alla legge per l’abolizione, nel 1958, dello sfruttamento della prostituzione. E a Nilde Iotti, che resterà alla Camera dei deputati per ben tredici legislature, dobbiamo importanti battaglie che porteranno alla riforma del diritto di famiglia (1975), alla legge sul divorzio (1970), e alla legge che regola l’aborto (1978). Tutte conquiste che richiedono un presidio costante di fronte ai tentativi di renderle vane, nei fatti: pensiamo al ddl Pillon e al tentativo di rendere impossibili le separazioni, o alla obiezione di coscienza per l’aborto. Eppure, queste conquiste – sul piano legale – ci sono. Sono scritte nella nostra Costituzione e sono seguite normative precise, grazie all’impegno e al coraggio di 21 donne unite nel ripudio della guerra, e favore della pace e della libertà.
Il libro «Libere e Sovrane» apre anche uno spiraglio su alcuni aspetti della loro vita privata, in alcuni casi compagne di uomini militanti più noti di loro, che pagarono il prezzo del loro essere donna proprio quando interruppero le loro relazioni: come Teresa Noce, il cui marito Luigi Longo falsificò la sua firma per fare annullare il loro matrimonio (il Pci difese Longo di fatto emarginando Teresa) o Rita Montagnana, allontanata anche lei dal Pci dopo la fine del suo matrimonio con Palmiro Togliatti, o Nilde Iotti, la cui relazione con lo stesso Togliatti fu sempre osteggiata dal partito. Eppure, non si arresero mai. Ad alcune di loro dobbiamo, accanto alle conquiste legali, anche le prime intuizioni sull’ideale europeista – Elisabetta Conci contribuì a fondare l’Unione femminile europea – l’accento sull’importanza del voto grazie a Filomena Delli Castelli, e l’attenzione alla sperimentazione didattica, che tanto ci servirebbe oggi, con Bianca Bianchi. Nadia Gallico Spano, poi, diresse dal 1944 la rivista Noi Donne, importante punto di riferimento per il femminismo, a cui collaborarono anche altre colleghe come Elettra Pollastrini e Angiola Minella. Quella rivista che oggi è anche una rete per la democrazia paritaria – Noi rete donne – la stessa che è in prima linea per l’ottenimento della doppia preferenza di genere nelle regioni inadempienti. La Storia si ripete.
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