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Quarantenni, oggi

Quarantenni, oggi

VERSIONE SANTIPPE - Le donne sanno essere le migliori nemiche delle donne...

Camilla Ghedini Venerdi, 27/06/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2014

 Nel 2007 ho scritto un pamphlet, Io cattiva? No, io precaria, sottotitolato Il manuale del lavoratore flessibile (Edizioni Edimond) cui anche NOIDONNE dedicò molto spazio con un’intervista firmata da Donatella Orioli. Erano gli anni in cui si abusava dell’aggettivo precario, trasformato in sostantivo ad indicare una condizione professionale - quindi esistenziale - di assoluta incertezza. Ero abbastanza giovane e arrabbiata. Abbastanza giovane da riuscire ancora ad indignarmi, abbastanza arrabbiata da avere fiducia che le cose potessero cambiare. Costruito sotto forma di dialogo tra un dipendente a tempo determinato e un datore di lavoro, evidenziavo come il vero cancro del precariato, per i giovani, non fosse tanto l’instabilità economica o l’impossibilità di accendersi un mutuo per comprare casa, quanto il mobbing - oggi anche bossing - che ne sarebbe derivato. Che il ricatto sia oggi una strategia ‘selettiva’ che andrebbe ufficializzata sotto la voce ‘ristrutturazione’ o ‘riorganizzazione’ aziendale, è conclamato. Orioli mi chiese perché avessi titolato al femminile. Risposi che era giusto così, perché il maschile sarebbe stato universale ma io volevo dare la mia prospettiva di donna, senza alibi. E ancora, alla domanda se avevo rimarcato che le donne, sul lavoro, hanno più difficoltà degli uomini, risposi che le donne, spesso, fanno mobbing alle donne, indipendentemente dalle gerarchie, quindi colleghe tra colleghe, dirigenti a sottoposte. La penso ancora così. Le donne sanno essere le migliori nemiche delle donne, perché sanno utilizzare il patrimonio di confidenze per trasformalo in debolezze e vulnerabilità. Una donna può distruggerti. Anche un uomo, per carità, ma una donna sa e può essere più subdola, più scientifica. Ce l’ho con il mio stesso genere? No, assolutamente. Anzi, le mie più grandi amiche le ho incontrate sul lavoro. Caterina è un’assessora comunale di indiscusse capacità conosciuta proprio nei rispettivi ruoli. Per un po’ ci siamo squadrate, con circospezione, per verificare se quell’istintiva empatia era fondata. Le ho rivelato le mie più grandi fragilità certa che saprà custodirle. Isa, che è addirittura una collega, mi prende in giro perché ai messaggi in cui mi scrive ‘ti voglio bene’ io rispondo ‘a presto’. Mi ha ‘educata’ ad essere un po’ meno fredda e ha capito che mi serviva tempo per sintonizzarmi su frequenze di confidenza. Facciamo lo stesso mestiere, entrambe libere professioniste, eppure ogni volta che possiamo ci aiutiamo con genuino slancio e sincero entusiasmo. Maria Rosa, psicoterapeuta, era relatrice ad un dibattito di cui io ero moderatrice. Ho scoperto con lei un mondo, quello legato alla genitorialità e alla maternità, che ci ha portato a scrivere un libro insieme. Questo per dire che la differenza, alla fine, la fanno gli individui e il loro senso della libertà. Non solo ‘libero professionale’, ma interiore. E io credo che ci sia una generazione, la mia, quella delle quarantenni, che è perlopiù sana. Che ha potuto credere solo nelle proprie capacità e oggi si permette il lusso di vivere sì nelle incertezze - di cui era a conoscenza fin dai banchi di scuola - , ma con la volontà di non abdicare a una propria idea di moralità. Che nella crisi sopravvive senza fare lo sgambetto a nessuno, che aborre il principio vita mea mors tua, che cerca di imparare da chi ha più esperienza, senza ‘fottere’ nessuno. Non sarà così per tutti, lo so, ma se lo è per tanti, se lo sarà ancora di più per chi è più giovane, allora forse certe preconizzazioni si potranno evitare. E il lavoro tornerà ad essere un luogo di relazioni e umanità.

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