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Quaranta patrioti di Parma. V puntata aspettando il 25 aprile.

Quaranta patrioti di Parma. V puntata aspettando il 25 aprile.

Storie e immagini dall'archivio di Noidonne per celebrare la Liberazione dell'Italia dal fascismo.

Lunedi, 20/04/2015 - Mancano dieci giorni al 70esimo anniversario della Liberazione dal fascismo. La storia di Noidonne è strettamente connessa con la Resistenza e con le imprese delle tante partigiane dei Gruppi di Difesa della Donna che parteciparono attivamente e in mille modi in varie parti d'Italia. Fino al 25 aprile vi riproporremo storie e foto direttamente dai primi numeri di Noidonne. Qui trovate la prima, la seconda, la terza e la quarta puntata. A cura di Silvia Vaccaro.




Il racconto di un episodio accaduto proprio in questi giorni, ma nel 1944. Protagoniste un gruppo di donne parmensi. 



Quaranta patrioti di Parma. 



Dal 17 aprile, vigilia del processo di un gruppo di partigiani della Brigata Garibaldi "Parma", le donne parmigiane erano state mobilitate dai gruppi "Difesa della donna e assistenza ai combattenti". Esse si raccolsero a centinaia davanti al tribunale. "I nostri ragazzi non devono essere condannati, siamo qui noi per difenderli". Il 17 passó in vana attesa. Il 18 il passaggio dei partigiani che erano condotti al processo fu accolto da acclamazioni deliranti. Otto condanne a morte furono pronunciate dai giudici assassini. Gli eroi uscirono dall'aula cantando inni patriottici, sereni e spavaldi. Ma le donne, gettandosi contro il furgone che li portava, chiedevano a gran voce la liberazione. A sera si seppe che cinque dei condannati a morte erano stati graziati dai giudici intimoriti dall'agitazione femminile.



I tre caduti erano nel cuore di tutte le donne parmensi: era come se li avessero strappati dalle loro braccia vigilanti. Il 20 venne processato un secondo gruppo di partigiani della stessa brigata. Le donne, uscite dalle fabbriche e dalle case alle grida di giovani cicliste che avevano sparso la notizia dovunque, si ammassarono di nuovo, come la prima volta, dinanzi alle carceri e al tribunale. Questa volta i fascisti avevano predisposto un grosso servizio d'ordine. Ma all'arrivo dei furgoni su cui erano i partigiani, le donne sfondarono i cordoni. I militi cominciarono a sparare coi mitra e colle rivoltelle: le donne non mollarono. Passavano le ore: le donne ferme in attesa della sentenza. Senza mangiare dalla mattina, ora sotto una pioggia fastidiosa, le donne di Parma aspettavano, come guerrieri pronti a scattare.



Nei rioni popolari della città, altre donne e gruppi di giovani promuovevano manifestazioni e tumulti, chiedendo la liberazione dei partigiani. Così passo il pomeriggio. Alla sera, si seppe che trentacinque dei trentasette erano stati condannati a morte. Il tumulto si fece allora più intenso, un impotente corteo di donne e di giovani seguì di corsa il furgone degli eroi destinati al massacro. Allora, le cosiddette autorità repubblicane di Parma comunicarono al governo dei traditori che esse non rispondevano della città se le fucilazioni fossero state eseguite. Poco dopo, giungeva da Mussolini l'ordine di sospendere la condanna.



Le donne di Parma avevano vinto.




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