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Quando un Papa è ‘progressista’

Quando un Papa è ‘progressista’

Vaticano - Francesco vede la soluzione dei problemi sociali nella collaborazione e rifiuta il conflitto

Stefania Friggeri Domenica, 20/10/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2013

Non passa giorno che Papa Francesco non guadagni le pagine dei giornali con un gesto o una parola che testimoniano la sua volontà di cambiamento: paga il conto all’albergo e porta da sé la valigetta, rifiuta la pompa degli abiti, dei gioielli e il fasto dell’appartamento papale, non si presenta al concerto in suo onore (“non sono un principe rinascimentale”) e fin da subito dice chiaro che la via tracciata da Cristo è quella della povertà. Sono parole che, accompagnate da un linguaggio diretto e da modi informali, hanno restituito ai fedeli la speranza nel rinnovamento della Chiesa dopo gli scandali e gli intrighi che ne hanno minato la credibilità e compromesso la missione pedagogica. Papa Francesco sembra promettere un miracolo non meno straordinario di quelli attribuiti ai suoi predecessori, cioè di guarire la Chiesa dai mali cronici che l’hanno sclerotizzata in un centro di potere secolare e mondano: non osiamo sperare nella cancellazione dei Patti Lateranensi, ma sarebbe già rivoluzionario se la Roma vaticana non fosse speculare alla Roma italiana e venisse neutralizzata l’influenza dei tanti personaggi che vivono a metà fra il Vaticano e l’Italia, in un intreccio inconfessabile tra fra la sfera religiosa e quella politica (Letta zio, per il Cardinal Bertone, “è il nostro ambasciatore presso lo Stato italiano”). Ma se, caduta la DC, le istituzioni religiose erano riuscite prodigiosamente a separare la loro responsabilità da quella delle forze cattoliche impegnate in politica, oggi l’impresa è più difficile sia perché la crisi economica rende inaccettabili certi scandali, sia perché i protagonisti di quegli scandali, vedi Formigoni, sono cattolici che ostentano la loro appartenenza alla Chiesa.

Che ormai appare un’organizzazione ingessata, incapace di entrare in sintonia coi tempi nuovi “nel momento in cui il peso delle nazioni sta declinando, svuotato dalla globalizzazione…(e) i veri processi decisionali avvengono altrove, su base sovranazionale”, così Massimo Franco che continua: “il disorientamento della Chiesa nasce da questo ritardo di analisi sul tema dei nuovi paradigmi e dei nuovi rapporti di forza mondiali”. Se insomma la Chiesa continua a “riporre la fiducia nella diplomazia, nei Concordati, nello scambio di ambasciatori, nelle indebite pressioni sui governi” (così padre Sorge, ivi citato) le difficoltà della Chiesa trovano origine nella “debolezza culturale” di un organismo nato in altri tempi, in altri contesti geopolitici e georeligiosi, cioè nel mondo bipolare est-ovest quando la Chiesa trionfava con l’elezione del cattolico Kennedy a presidente degli USA, il paese leader mondiale. Potrà Papa Francesco rispondere alla sfida della modernità? alla crisi della sovranità dello Stato all’interno di una logica policentrica del potere, che nei prossimi anni non sarà più degli stati nazionali? che vuol dire, ad esempio abbandonare la prassi di fare dell’Italia un paese cattolico attraverso la legge, non attraverso l’evangelizzazione; e inoltre delegando allo Stato la prescrizione di rispettare le norme religiose, non solo la Chiesa testimonia la sfiducia della nella sua Parola ma, alleandosi con un governo impresentabile, ha subito un grave danno d’immagine. E non solo per il bunga bunga ma per la politica criminale verso gli immigrati da parte di un partito razzista e apertamente pagano, anche se la Lega Nord difende per opportunismo i “valori non negoziabili”. Grandi speranze infatti ha sollevato il papato quando, con una cerimonia sobria e senza presenze istituzionali, è andato a Lampedusa a piangere i morti: un rito universale che ha sottratto quegli infelici all’insignificanza e all’oblio, restituendo loro dignità. Un atto simbolico che dovrebbe risvegliare le coscienze di coloro che “nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi” che nascono dalla “globalizzazione dell’indifferenza”. Anche in Brasile il Papa ha dedicato la sua attenzione agli ultimi visitando una delle 760 favelas di Rio, dove ha cercato di infondere coraggio e speranza ai giovani. Del resto nella vita politica dell’Argentina (vedi il populismo peronista che aveva posto a suo fondamento l’emancipazione dalla povertà) i poveri sono stati storicamente l’elemento sociale preminente anche nell’azione pastorale: dopo Medellin (1968) e Puebla (1979) ad Aparecida (2007) la Conferenza episcopale latino-americana, pur formulando la frattura definitiva della Chiesa con la Teologia della Liberazione, si è espressa all’insegna della scelta preferenziale per i poveri. E infatti Papa Francesco, in sintonia con le posizioni espresse ad Aparecida, ha chiamato le autorità pubbliche alla “cultura della solidarietà”. Questo il valore invocato dal Papa che, ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa, vede la soluzione dei problemi sociali nella collaborazione e rifiuta il conflitto come frutto dell’analisi marxista, anche se questo esame, promuovendo l’autoconsapevolezza negli ultimi, potrebbe sottrarli alla demagogia e al populismo. Oggi come oggi, insomma, il Papa, pur ancorato comprensibilmente alla dottrina sociale della Chiesa, appare progressista in campo sociale e, quanto al campo della dottrina, forse più aperto dei predecessori. Infatti in Brasile oltre le manifestazioni di giubilo Francesco è stato accolto dalla protesta dei gay e delle “femministe”, cui ha risposto senza la rigidità inflessibile del testimone della Verità. Vedremo.



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