Mamme nel Terzo Millennio / 2 - “Nel 1952, a trentuno anni, avevo cinque figli. Non ero un’eccezione”. Oggi tutto è cambiato, ma…
e Marisa Rodano Domenica, 15/04/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2012
Ebbi il mio primo figlio a ventitré anni: era il 1944. Roma era stata liberata, ma la guerra partigiana continuava a nord della Capitale. A maggio del 1946, nel pieno della campagna elettorale per il referendum tra Repubblica e Monarchia e per la elezione dell’Assemblea Costituente, nacque il secondo, nel novembre del ’47 la terza. Nel 1952, a trentuno anni, avevo cinque figli. Non ero un’eccezione. Le donne si sposavano giovanissime (l’età legale era quattordici anni!) e le maternità erano immediate e ripetute. Furono, infatti, dopo la fine della guerra, gli anni del “baby boom”. Cera un motivo oggettivo: la pillola non era stata ancora inventata, i metodi anticoncezionali, (in generale il “coitus interruptus”) erano primitivi e poco affidabili; non a caso l’aborto clandestino, talora con esiti tragici per la vita o la salute delle madri, era tanto diffuso. Dominava inoltre la convinzione che agli uomini spettassero il lavoro, la vita pubblica, alle donne la famiglia e la maternità. C’era però nelle donne uscite dalla guerra e dalla Resistenza, una motivazione individuale più profonda: procreare era un desiderio connesso alla grande speranza, che connotava quegli anni, alla voglia di ricostruire il paese, di edificare un mondo di pace, di cambiare tutto.
Oggi - sono trascorsi più di sessanta anni - tutto è effettivamente mutato. Decenni di lotte per l’emancipazione femminile, l’introduzione del divorzio e la depenalizzazione dell’aborto, la scolarizzazione di massa, la diffusione del pensiero femminista, l’ingresso nelle università, nelle carriere, nelle professioni hanno trasformato radicalmente sia la situazione delle donne nella società sia la consapevolezza di sé e dei propri diritti. La maternità non è più né un destino né un obbligo sociale, è una scelta.
Non è però purtroppo una scelta libera. La durata degli studi, la precarietà del lavoro, la disoccupazione giovanile rendono difficile, talora impossibile, programmare una vita di coppia, meno che mai una maternità. La insufficienza dei nidi e degli altri servizi per l’infanzia, i tagli al welfare e alla spesa scolastica tendono a scaricare tutto il peso dell’allevamento e della tutela dei figli sulle donne che, se lavoratrici, sono gravate da un duplice impegno, anche se sta emergendo, sia pur in modo parziale, tra le generazioni più giovani, una novità positiva: un maggior coinvolgimento dei padri nella cura dei bambini. Ritmi, orari, modalità di lavoro rimangono, però, ancora quelli di una società fondata sulla divisione dei ruoli sociali secondo il sesso, in cui si presumeva che fossero solo i maschi a dedicarsi alla produzione del reddito e all’attività nella sfera pubblica, avendo alle spalle donne addette alla riproduzione e a garantire la quotidiana sopravvivenza. Il sistema sociale non si è adeguato al ruolo nuovo che viene esercitato dalle donne nell’economia, nella cultura, nelle professioni. È inoltre ancora diffusa, purtroppo, anche all’interno della famiglia, la pratica della violenza contro le donne e i minori, quasi una reazione contro la libertà femminile e un modo per riaffermare il potere maschile. Negli anni appena trascorsi, infine, una autentica dittatura telecratica ha teso a imporre nuovi stereotipi, un modello di donna sempre giovane, bella, disinibita, il modello della “velina”.
Non è casuale che oggi il primo figlio nasca in un’età avanzata, che sovente si debba ricorrere alla procreazione assistita, con tutte le difficoltà che a essa sono frapposte dalla pessima legge vigente. Ma anche questa circostanza prova che, nonostante tanti fattori ostili, il desiderio di maternità rimane, che essere madri è gratificante. La maternità è intrinseca alla differenza femminile, non è in contraddizione con la libertà e l’emancipazione: occorre però che a questa differenza la società finalmente si adegui.
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