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Quando le madri smettono di stare in vetrina

Quando le madri smettono di stare in vetrina

Un gruppo di madri si uniscono per opporsi alla schiacciante banalità dell'apparire, scelgono di esistere e resistere all'Alcatraz quotidiana da un altrove reale, dove il tempo sembra sospeso.

Mercoledi, 05/09/2012 - Sono molti gli anni passati dal giorno in cui il fato – oppure il destino, oppure la volontà di qualche essere superiore, o meglio la ferrea volontà di una straordinaria "ragazza madre" – ha permesso ai miei occhi di osservare il mondo attraverso la lente rimpicciolente di un dimenticato borgo di montagna, adagiato in una valle, sovrastata da un gigante addormentato. Descritto così il paesaggio potrebbe richiamare alla memoria un esotico luogo della mente ortesiana, oppure una delle tante Fortezze Bastiani dell'Italia di provincia; eppure esso esiste realmente, nella sonnacchiosa Sabina che tanto diede alla Roma delle origini, il suo nome è Vallecupola.

Tuttavia non sembri che si stia scrivendo per narrare i fasti perduti di un abitato spopolato o di una natura incontaminata – neppure i cellulari hanno attaccato i sontuosi portoni testimoni di un tempo incrostato nel tufo – si sta cercando di narrare una storia piccola, di madri del ventunesimo secolo, che si son ritrovate – per scelta od opportunità lo vedremo – a prendere dimora presso l'antico borgo.

Ma partiamo dall'inizio.



Estate cocente

Si narra che da molti anni le temperature estive non avessero raggiunto tali livelli di massima, anche se sono ormai molti gli avvisi di desertificazione emanati dai geografi di turno per far conoscere la reale situazione climatica della Terra. Eppure, l'allarmismo e la capacità di presa sul pubblico di situazioni eccezionali hanno indotto i sapienti burattinai della carta stampata e della televisione-spettacolo ad inventare l'emergenza caldo, a tirare fuori dal cappello statistiche che inducono all'allarmismo millenarista e confortano i giocatori d'azzardo che nel chiuso delle Borse internazionali possono raziare il futuro degli uomini e delle donne comuni al suono di un click.

Dunque, estate cocente fu.

Le poche famiglie rimaste sul globo – poiché l'esistenza con prole aveva perso ogni qualsiasi attrattiva nella società del consumo – si adeguarono al barometro, alle notizie confezionate per stupire, al vuoto cronico delle tasche, seppure mascherato da una carta magnetica dai colori trendy e scelsero la meta per la fuga dalla città.



Decisioni, ovvero dell'autonomia

"Ho scelto dei figli, non ho scelto di stare in galera", questo il ritornello che aveva da anni una strofa punteggiata di conti assonanti a bollette, di trilli d'agende mai vuote, di pianti di bimbi che vogliono te: ma tu non ci sei, anche se stai ancora cercando un lavoro a dieci anni dalla laurea.

Allora decidi ed eserciti l'unico potere che ancora ti resta, la gestione della tua mente in autonomia; e scegli di andare, partire, fuggire. Ricordi che andavi, per estati intere, a passeggio tra i monti, a guardare le stelle su strade deserte, in pellegrinaggi goderecci a sentire il rumore del vento al mattino tra i faggi. Ricordi che riuscivi perfino ad assaporare il tuo essere bambina e creare dei giochi irreali che soltanto tu potevi sapere, tra piante di case costruite con sassi, su argentei ruscelli a impastare la creta, tra rovi di more a rubare dolcezza. Ricordi che vorresti tornare lì dove avevi vissuto, in libertà.



Fuga da Alcatraz

Nulla potrebbe descrivere al meglio la partenza dal luogo di residenza al luogo di villeggiatura se non la fuga da un carcere. La preparazione è lenta, a volte può durare alcuni mesi, itinerari di fuga, recensioni di case ed agriturismi su internet – il paradiso dei paradossi – segnali da lasciare per depistare i ladri, cumuli di crocchette per un gatto che non riuscirà comunque a salvarsi dal caldo, ricordarsi del vicino almeno quando serve "potrebbe ritirare la posta per noi?", anche perché i portieri esistono solamente per i ricchi.

Ma poi valige da riempire e vestiti da lasciare puliti per la partenza, la casa che geme al peso dei trolley, ma anche le buste, ma anche gli zaini, ma anche: "perché non portiamo la bici?", ma anche la scelta di qualche maglietta scollata – magari si riesce ad uscire – e poi trovi il trucco, rinsecchito dai mesi di stasi e ti guardi allo specchio: "uno zombie è più allegro di me!".

Le chiavi di casa si mutano in chiavistelli che chiudono sbarre da cui si esce, finalmente si esce.



Il tempo sospeso

Tra curve ed irti sentieri, tra "Mi sento male!" e "Mamma io ho fame!" ti scrolli di dosso l'angoscia e risali, ti sembra di andare a casa delle nuvole, ti muovi nelle onde del cielo e sai che è come se andassi in ritiro, è come se ancora riuscissi a respirare, senza altro da fare che concentrarti sull'aria che intorno dirada.

Sei una madre, è vero, ma puoi vivere e dimenticare di dover stare in vetrina: puoi uscire al suono assonnato delle tue vecchie ciabatte bambine, o mettere pantaloni che giacevano tristi in fondo all'armadio – "comprati a via Sannio e ancora mi stanno!" – o andare per strada all'indolente ritmo del corpo o correre a nascondino tra i vicoli che conosci fin da piccina, o salutare un uomo "cattivo" e sapere che al ritmo di Vallecupola perfino la morte sembra lontana.



Mia Madre che gioca

Non so se è speciale questo paese, credo di no, tuttavia questa estate le madri fin ora descritte sono tornate per mesi, erano anni che non lo facevano, si sono incontrate ogni giorno ed hanno sorriso, giocato, narrato ai propri figli di un mondo diverso: in cui il tempo non corre; in cui i sorrisi sembra non abbiano senso, se non per dimostrare felicità o complicità; in cui le età si incontrano e costruiscono un'unica storia insieme; in cui si può stare a leggere sugli scalini duri di una chiesa mentre i tuoi figli giocano con terra e fantasia; in cui la notte sembra danzare allegra sulle note delle stelle; in cui è più bello stare a parlare di un noi che è presente e non curarsi di un io appariscente.



Questa è dunque la storia di alcune donne, tutte madri, che hanno deciso di esistere, insieme a passato e futuro, e di non restare in vetrina, al languido suono dei gingle della pubblicità.

Esse hanno aperto finestre e respirato le stelle, hanno dipinto giardini ed incollato dei sogni, hanno animato le stanze di vuote cantine, ed hanno unito le forze per raccontare la storia delle persone, ed hanno aggiunto posti a tavola "che c'è un amico in più", ed hanno portato a letto figli come leonesse dolci, ed hanno narrato storie e paure di bimbi, ed hanno cantato allegre canzoni lontane, ed hanno danzato lievi al suono della fantasia.

Esse hanno spento il circo delle televisioni ed hanno visto ogni giorno il ritmo della natura ed hanno acquistato coraggio per affrontare la quotidiana Alcatraz che all'alba, fuori di qui, ricomincia.

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