TABU’ - Nel 1896 era semplicemente una donna che voleva correre per lavorare, partecipando alle prime Olimpiadi del’età moderna che si tennero ad Atene
Emanuela Irace Lunedi, 30/07/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2012
Si chiamava Stamati Revithi. Di lei sappiamo poco. Conosciamo il soprannome che le affibbiarono: Melpomene, ossia: “la dea che canta”. Nel mito greco, era una delle nove muse che presiedeva alla tragedia. Nel 1896 era semplicemente una donna che voleva correre per lavorare, partecipando alle prime Olimpiadi del’età moderna che si tennero ad Atene. Un concetto sempre valido. Ieri come oggi. Usare il corpo per diventare visibili, ottenere un lavoro e guadagnare soldi. Le cronache sportive ce la descrivono come un’esile trent’enne, bionda e alta. Era vedova e madre di due figli da sfamare. In un’epoca in cui per spostarsi da un paese a un’altro si andava anche a piedi, Stamati correva. Lo aveva sempre fatto, fin da ragazza, macinando chilometri a forza di volontà. E lo fece anche quel giorno quando decise di andare ad Atene per partecipare alla maratona, diventare famosa e guadagnarsi da vivere. Un colpo di genio. Un atto di disperazione. O l’unica possibilità di essere notata per una donna veloce e con un corpo da atleta. Più grandi sono le difficoltà e più a infrangerle la comunicazione passa. In breve Samathi diventa un caso. Davide contro Golia. La donna che sfida l’apartheid di genere voluto dall’inventore dei moderni Giochi. Come nella Grecia antica le prime Olimpiadi dell’età moderna dovevano essere di esclusiva pertinenza maschile. Per il barone de Coubertin, in linea con gli atout dell’epoca, le donne erano per natura inferiori ai maschi e, tutt’al più, per loro si sarebbero potute organizzare competizioni separate. In data da destinarsi. Ma Samathi non ci sta e partecipa lo stesso. Contro tutto e tutti. Corre fino al villaggio di Maratona e da sola, in 4 h e 30’, copre il percorso regolamentare. Un successo, presto interrotto dalla beffa di vedersi impedito l’ingresso allo stadio. A nulla servono i tentativi di convincere l’esercito di ufficiali che la ferma, di testimoniare almeno regolarità e tempi della gara. Nel medagliere olimpico il suo nome non compare e dell’impresa di Melpomene, la dea che canta, se ne occuperanno solo le cronache dei giornali.
Lascia un Commento