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Quando l’omicidio scardina il potere maschile

Quando l’omicidio scardina il potere maschile

Medea - Rappresentata al Teatro Italia di Roma, la tragedia di Euripide mantiene inalterata la propria forza

Colla Elisabetta Lunedi, 13/02/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2012

Il celeberrimo testo di Euripide ispirato al mito di Medea, tragedia greca e planetaria per eccellenza, è attualizzato con cura da Michele Di Martino e Maurizio Panici, quest’ultimo anche regista, nella convincente messa in scena dello spettacolo al Teatro Italia di Roma: orgoglio, passione, sacrificio, potere, libero arbitrio, scaturiscono come un flusso inarrestabile dal proscenio allo spettatore, caricandolo dell’intero peso delle drammatiche scelte della protagonista, fino al gesto estremo, l’uccisione dei suoi stessi figli, come atto simbolico e rivendicativo volto a punire l’infedele ed arrogante marito Giasone, privandolo della discendenza. Medea è uno dei primi personaggi femminili a voler sovvertire, con un piano preciso elaborato nella lucida determinazione di un dolore intollerabile - in primis per l’ingiustizia sociale subita - le regole uomo-donna-società vigenti ai suoi tempi, non accettando di piegarsi ad un presente e ad un futuro decisi per lei da altri, da una manovra di stampo maschilista, ma costruendo da se medesima il suo destino, anche al prezzo di uccidere e sterminare la sua progenie (peraltro già socialmente morta, poiché esiliata, e probabile vittima designata dei Corinzi). Spietata o disperata, vendicativa o straziata, Medea - nella rappresentazione di Euripide - rimane nel teatro di tutti i tempi una delle figure più carismatiche e contemporanee, la cui furia ribelle ed i cui gesti estremi vanno interpretati più profondamente nella loro valenza simbolica che non per il rapporto causa-effetto legato alla diade tradimento-vendetta. Medea dice no alla ‘pace sociale’ costruita da Creonte e Giasone sulla sua pelle con un atto d’ingiustizia supremo, lei stessa ed i suoi figli messi al bando per un matrimonio d’interesse, dopo che lei ha lasciato tutto dietro di sé per seguire il marito: dunque sarà lei a decidere, per sé e per i suoi figli, nessun altro. Fra le tante attrici che nel tempo hanno rivestito il ruolo di Medea, si distingue in questa occasione Pamela Villoresi (in un abito rosso fuoco tutt’altro che casto, bella scelta di scene e costumi di Michele Ciacciofera), la cui carica drammatica e furente, ben dosata e densa di pathos, e la cui capacità di riempire l’intero spazio di movimenti, parole e pensieri concitati, confermano il raggiungimento di doti attoriali elevate e sofisticate come poche. Non da meno la magnifica attrice e cantante Evelina Meghnagi, coro e nutrice, coscienza ed interlocutrice privilegiata di Medea, sorregge con grazia e fierezza il contraddittorio, cercando di posticipare l’inevitabile e cantando stupende, dolcissime melodie antiche (perfino in aramaico) che sottolineano i momenti topici del dramma. Fra gli altri interpreti, tutti bravi, Renato Campese, Maurizio Panici, Silvia Budri Da Maren, Andrea Bacci e David Sebasti, nel ruolo di Giasone. Le musiche di Luciano Vavolo ed i canti di Evelina Meghnagi accompagnano il pubblico fino all’apice della tragedia ed alla catarsi, quando il silenzio può ormai essere rotto solo da cantilene e lamenti, poiché nulla più possono le parole.

Elisabetta Colla

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