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Quando l’emancipazione non è ‘mercato’

Quando l’emancipazione non è ‘mercato’

Mondo/ Viaggio in Russia/1 - L’attenta analisi della presenza delle donne russe nei movimenti e nella politica di Cristina Carpinelli, in un libro ricco di dati poco conosciuti

Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2005

La nuova Costituzione varata nel 1993 sanciva per le donne parità di diritti. I principi sono rimasti delle enunciazioni e le donne stanno pagando un duro prezzo nel cammino di quell’immensa regione verso l’economia di mercato.
Lontane dal potere, espulse dal mondo del lavoro, sottopagate e senza protezioni sociali le donne stanno provando ad organizzarsi in associazioni e movimenti per ricostruire una rete di solidarietà che almeno argini il dilagare delle violenze fisiche in incredibile aumento. “Forse la pesantissima povertà delle donne russe non è senza speranza, perché più degli altri cittadini hanno perso soldi, meno profondamente di altri hanno perso libertà e valori”.
L’osservazione è di Marina Piazza nella prefazione del volume di Cristina Carpinelli, studiosa ed esperta della società russa e della transizione verso un nuovo sistema politico ed economico. Il suo libro recentemente pubblicato (Donne e povertà nella Russia di El’cin. L’era della transizione liberale, edito da Franco Angeli) è un attento studio che fornisce informazioni utili non facilmente reperibili.
Questa è la prima delle conversazioni di Noidonne con l’autrice, che ci aiuta a conoscere le attuali condizioni di vita di milioni di donne, anche in rapporto alla Russia degli anni ’80. Nei prossimi numeri parleremo con lei del lavoro e delle discriminazioni, del welfare e delle povertà.

Nella politica e nelle assemblee elettive le donne russe sono diminuite. Perché?
La drastica caduta della rappresentanza femminile nella vita politica ha luogo prima dell’implosione dell’Unione sovietica, e precisamente con il rinnovo dei Soviet repubblicani e locali del 1990 (un crollo di circa il 30%). Il fatto che il processo di esclusione dal potere politico delle donne russe sia cominciato sotto il sistema sovietico non deve stupire. Alla fine degli anni Ottanta, in Urss era già stato introdotto il pieno calcolo economico e avviata una parziale liberalizzazione dell’economia di piano. Il clima di pesante stagnazione nel paese aveva indotto la dirigenza politica ad introdurre alcuni primi elementi di capitalismo con effetti destabilizzanti sul mercato del lavoro, regolamentato ancora in via amministrativa, e sul piano della sicurezza sociale, dal momento che l’unico ammortizzatore introdotto era stato il sussidio di disoccupazione. Saltato il principio della piena occupazione e della natura obbligatoria del lavoro, le donne incominciavano per prime ad essere considerate forze di lavoro addizionali da liquidare in qualsiasi momento e all’occorrenza dal mercato del lavoro. Le prime forme di esclusione dal lavoro hanno significato per le donne sovietiche una perdita di terreno anche sul fronte del potere e del riconoscimento politico e, più in generale, del loro valore nella società. Le politiche liberiste degli anni Novanta hanno poi esasperato la situazione con la liquidazione, in Russia, nel periodo più drammatico della transizione (1990-1995), di 7,6 milioni di posti di lavoro occupati da donne. Ciò ha inevitabilmente prodotto un riflusso femminile di massa. Esso, tuttavia, fa parte di un regresso più generale che ha investito anche il clima culturale nel paese, e che ha sollecitato la rinascita della conservazione e dello spirito nazionale, il ritorno alle fedi religiose e a valori tradizionali, cancellando in breve tempo un percorso di emancipazione femminile che, seppure pervaso da una moltitudine di contraddizioni, aveva permesso alla donna sovietica di competere con l’uomo in ogni sfera del “decision making”, compresa quella politica. Va detto che questo riflusso femminile può essere stato in parte condizionato da una certa “allergia al femminismo”, retaggio dell’esperienza sovietica, quando era il partito che stabiliva quote fisse di rappresentanza femminile. Di solito percentuali altisonanti, rispetto a quelle occidentali, ma il cui prezzo della superiorità era l’assoluta fedeltà delle donne elette alla linea del partito. Tuttavia, non credo che questa sia la ragione più importante della perdita di potere politico da parte delle donne russe.

Lei fa riferimento alla nascita di movimenti femminili. Di cosa si occupano prevalentemente?
La nascita della democrazia politica rappresentativa e, più in generale, la liberalizzazione dell’espressione politica aveva favorito l’istituzione di organizzazioni non governative, di movimenti sociali e di gruppi di base. Nel 1994, a soli due anni dalla riforma economica, esistevano già in Russia più di trecento movimenti e associazioni femminili. Le finalità di questi gruppi erano molte e diverse, ma quasi tutte avevano un comune denominatore: quello di portare più equità ed equilibrio tra i sessi. Tali movimenti possono oggi essere convenzionalmente suddivisi in due grandi categorie: quelli focalizzati a ridistribuire le risorse economiche e i ruoli politici, a rimuovere la discriminazione sistematica e istituzionalizzata esercitata nei confronti della donna e a promuovere soprattutto le libertà, i diritti e l’empowerment delle donne (movimenti donna per la democrazia sociale, lega delle donne, gruppi femminili di consapevolezza); quelli, invece, impegnati a trovare soluzioni per arginare il collasso del sistema di welfare e la disoccupazione femminile (centri per la riconversione professionale, centri di addestramento e riqualificazione professionale per le donne, centri per l’impiego). Altri movimenti minoritari, del tutto inediti in Russia, sono concentrati sul problema della definizione di una nuova identità al di là del linguaggio e del contesto tradizionale. Oltre all’immagine della donna, costruita in epoca sovietica da un sistema ideologico ossificato nei suoi concetti portanti e ritualizzato nelle sue procedure e nei suoi programmi, esiste anche una donna che può esprimere sé stessa fuori dei ruoli stereotipati per elaborare e affermare valori e modi d’espressione nuovi. Esistono, poi, associazioni femminili di volontariato tese alla solidarietà e alla filantropia sociale (centri caritatevoli e di mutuo soccorso, associazioni di madri russe, unione delle donne di Russia), il cui scopo prioritario è quello di aiutare madri sole con figli a carico e anziani con redditi sotto il livello di sussistenza, bambini in stato d’abbandono (200.000 abbandoni di minori tra il 1992 e il 1995). Particolarmente importante è il contributo dato dall’associazione femminile “Angeli”, il cui scopo è quello di aiutare le donne vittime del racket della prostituzione (almeno mezzo milione di donne russe emigrate negli anni Novanta in 50 paesi stranieri diversi ha “scelto” la strada della prostituzione, e ogni anno circa 50.000 donne sono intrappolate nel giro della prostituzione. Molte di loro diventano vittime in modo permanente della schiavitù sessuale). Dalla metà degli anni Novanta sono nati, in quasi tutte le più grandi città della Russia, diversi centri di crisi per le donne, con lo scopo di tutelare le vittime di stupro e di violenza domestica (le statistiche ufficiali russe affermano che gli stupri e le violenze contro le donne costituiscono circa l’11,5% di tutti i crimini contro la persona denunciati in Russia, di cui circa l’80% sono violenze domestiche). Sono stati, inoltre, creati diversi network femminili (il più importante è il Forum indipendente delle donne), con lo scopo di sviluppare un sistema di comunicazione e di scambio costante di esperienze con l’estero sulla dimensione di genere. Altri gruppi femminili tendono a coalizzare le donne sulla base della professione svolta (avvocate, giornaliste, registe). Piuttosto famose sono l’Associazione delle donne imprenditrici e quella delle donne della Marina militare.

E’ vero che in Russia sta nascendo una nuova classe imprenditoriale, di cui una parte è rappresentata da donne?
Se le donne hanno difficoltà ad essere rappresentate nella sfera politica, è vero, invece, che la new economy ha dato ad un gruppo di esse, in genere giovani e intraprendenti, l’opportunità di affermarsi come imprenditrici. Un quarto delle nuove attività commerciali in Russia sono state create da donne. In questi ultimi anni, con i primi cenni di ripresa economica, è comparso uno strato sociale composto per lo più da persone di istruzione medio-alta o di tipo specialistico e con un livello di reddito medio: manager e dirigenti di livello medio-basso, commercianti e impiegati nel settore dell’import-export, persone che lavorano nel settore finanziario e dei servizi, liberi professionisti, tecnici. Si tratta per il momento di uno strato esiguo di persone - intorno al 7% della popolazione - che si colloca tra un gruppo persistente di indigenti e svantaggiati. Una quota parte di questo strato - circa il 2% - è costituito da donne, che rappresentano la nuova imprenditorialità femminile russa.

A cura di Tiziana Bartolini

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