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Quando l’arpa incontra il jazz

Quando l’arpa incontra il jazz

MusicalMente: Marcella Carboni e la sua arpa - Passione e carattere nella musica di Marcella Carboni, giovane e già affermata musicista che ha all’attivo tanti concerti e un disco da solista

Colla Elisabetta Venerdi, 14/09/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2012

Marcella Carboni sembra una ragazzina: capelli scuri ribelli, occhi brillanti, sorriso comunicativo. Giovane musicista, autrice ed interprete raffinata e talentuosa, Marcella suona uno strumento magnifico, voluminoso rispetto a lei, l’arpa, anzi l’arpa elettroacustica per la precisione. Lo fa con perizia, passione e generosità, ed il pubblico rimane ammaliato da questa piccola, grande donna che sembra accarezzare le corde mentre la sua musica emerge vibrante, virando dal classico al jazz con apparente, estrema facilità, energia, espressività. ‘noidonne’ l’ha intervistata presso il Circolo delle Quinte, uno spazio per concerti della Villa Urbani, nel quartiere Monte Verde di Roma, dove l’artista si è esibita in un’acclamata performance ‘da camera’.



Com'è nato il tuo amore per l'arpa e quale evoluzione c'è stata nella tua storia musicale che ti ha portato fino all'arpa elettrica ed al jazz?

Nella mia famiglia non ci sono musicisti, mia madre però è appassionata di musica e teatro. Fin da piccolissima mi portava con sé a concerti di tutti i generi, dalla classica al jazz, dai cantautori alla musica contemporanea. Un giorno durante l'intervallo di un'opera lirica, avevo quattro o cinque anni, ci siamo affacciate sulla buca dell'orchestra e io ho indicato l'arpa: "quella... voglio suonare". Dopo qualche tempo ho iniziato le lezioni in una scuola per bambini, poi il conservatorio è stata la scelta naturale. Ma anche durante gli anni di studio della musica classica non ho mai smesso di andare ai concerti di ogni genere. Ed era sicuramente con il jazz che mi sentivo più coinvolta ma, fino al diploma non avrei mai immaginato che l'arpa potesse avere uno spazio nella musica improvvisata, in conservatorio non c'era tempo e nessuna apertura per esplorare la Musica a 360 gradi. Diversi anni dopo il diploma ho avuto la fortuna di incontrare un arpista jazz americano, Park Stickney, e da lì in poi il mio percorso è cambiato. Ho studiato con pianisti e chitarristi che mi hanno insegnato il linguaggio jazzistico che ho sempre cercato di esprimere col mio strumento. Inoltre, ho letteralmente seguito Stickney nei vari spostamenti europei per studiare alcune sue tecniche arpistiche, come l'uso particolare dei pedali o la posizione delle dita per ottenere determinate sonorità.



Cosa significa per te suonare l'arpa? Cosa diresti a un/una giovane che ti chiedesse un consiglio sull'arpa?

Quando suono sto bene. Ma proprio bene. Spesso mi passa anche qualsiasi dolore (quando smetto però poi riprende). Suonare è il miglior modo che ho di comunicare. Io sono una gran chiacchierona, ma sono solo parole. Quando suono mi sembra di comunicare altro, ad un livello più profondo. L'arpa è sempre stata il mio strumento, quando studiavo musica classica odiavo suonare per gli altri, forse perché non era il linguaggio giusto per me per comunicare quello che avevo dentro. Oggi amo suonare per chi ascolta e la mia esecuzione cambia moltissimo a seconda dell'attenzione del pubblico. Ognuno deve trovare il proprio strumento, ma se trovo qualcuno/a interessato/a all'arpa divento una vera promoter. È uno strumento favoloso, suona subito dando grandi soddisfazioni ed è un falso storico che sia difficile! Tutti gli strumenti hanno le loro difficoltà e dipende sempre a che livello si vuole suonare. L'arpa è un ottimo strumento per iniziare a fare musica, per bambini/e e anche per gli adulti. È uno strumento un po' costoso, ma oggi con le arpe celtiche, le arpe da studio, gli affitti e gli strumenti di seconda mano ci sono arpe per tutte le tasche.



A quale repertorio attingi e quali sono i tuoi autori preferiti, italiani e stranieri? Quali sono i tuoi sodalizi musicali, colleghi/e con cui ami lavorare?

Scelgo quello che mi coinvolge. Non ho autori preferiti, mi faccio influenzare da quel che sento e interpreto i brani che mi piacciono. Certo, tra i miei punti di riferimento ci sono alcuni grandi, come Miles Davis o Bill Evans. Ma sono come i pilastri di un palazzo, non sempre si vedono. Inoltre mi piace scrivere la mia musica e come diceva appunto Miles, "vorrei diventare il mio musicista preferito". Per renderlo possibile devo fare quel che amo di più, suonare con gli altri. Gli incontri sono la cosa più bella del jazz e anche il motivo per cui mi sono innamorata di questa musica. Mi trovo a dividere il palco con ottimi musicisti e con alcuni di questi nascono dei progetti che durano nel tempo. Penso all'incontro con Elisabetta Antonini, cantante romana. Con il disco Nuance e tantissimi concerti negli ultimi quattro anni, abbiamo raggiunto una forte intesa sul palco e ci piace molto come la nostra musica sta crescendo di giorno in giorno. Penso anche al più recente incontro con Max De Aloe. Lui, come me, suona uno strumento non molto diffuso ma dalle grandi possibilità, l'armonica cromatica: è stimato dalla critica e amato dal pubblico, ma non ha ancora trovato lo spazio che meriterebbe nel panorama jazzistico. Suoniamo da poco insieme ma da subito c'è stata una forte intesa musicale.



Hai mai avuto problemi come donna, giovane e anticonvenzionale, nell'affermarti in un mondo musicale talvolta duro, difficile e dominato spesso da logiche maschili? Ti sei mai sentita non rispettata?

I numeri del mondo del jazz non sono a favore delle donne, questo è sicuro. Si guardi un qualsiasi programma di Festival per capire che le "quote rosa" non sono minimamente considerate. E questo non certo perché non ci sono valide musiciste in giro. Basti pensare solo in Italia a Rita Marcotulli, Maria Pia De Vito, Stefania Tallini, Danielle Di Majo, Silvia Bolognesi, Caterina Palazzi e tante altre. E questi nomi sono solo quelli delle donne che non si sono scoraggiate delle logiche maschili e hanno guardato avanti alla loro musica. Per quanto mi riguarda più che non rispettata mi sono spesso sentita ignorata, non presa in considerazione. La cosa più difficile in tutti questi anni è sempre il far riconoscere il mio lavoro come musicista, come jazzista. E sicuramente pesa sia l'essere donna sia l'essere arpista. Poi ci sono le piccole discriminazioni quotidiane che una donna deve affrontare e a cui tristemente ci siamo tutte abituate.



Secondo te è possibile, attraverso la musica e l'arte in genere, portare avanti battaglie per la parità dei diritti e per l'uguaglianza di persone, popoli e generi, promuovendo un messaggio universale?

Non è possibile, è doveroso. Almeno dovrebbe esserlo. Purtroppo non c'è più molto spazio per l'arte e la cultura e spesso si ha la sensazione di dover usare gli spazi riservati in maniera cauta, senza disturbare troppo. Non è stato sempre così, mi viene in mente Duke Ellington e il suo Black, Brown and Beige. Ellington non era uno "molto politicizzato" come Mingus o altri jazzisti attivisti. Ma quando ha avuto l'opportunità di un concerto prestigioso alla Carnegie Hall ha voluto mandare un messaggio ben chiaro e di largo respiro politico. Una suite sulla storia della cultura afroamericana in pieno tempo di oppressione. Quanti oggi si trovano nella stessa condizione e preferiscono non esporsi troppo?



Parlaci dei tuoi dischi, in particolare dell'ultimo, e dei tuoi progetti futuri......

Il primo disco è stato con il NAT trio, formazione ancora esistente (dal 2003) con Elisabetta Lacorte al basso e Simone Dionigi Pala ai sassofoni. Poi dopo qualche anno è stato il momento di Trame in arpa sola, un mio personalissimo percorso tra brani originali miei e di grandi jazzisti italiani come Bruno Tommaso, Enrico Pieranunzi, Roberto Cipelli. Altro passaggio importante è stato Nuance con Elisabetta Antonini, disco che ci ha dato molte soddisfazioni e che esplora le composizioni del jazz europeo di Kenny Wheeler, Ralph Towner e della musica brasiliana come Jobim e Guinga. L'ultimo disco è stato un piacevole incontro con il batterista Massimo Barbiero e il chitarrista Maurizio Brunod, si chiama Kandinsky. Undici tracce con una forte componente di improvvisazione totale. Un esperimento ben riuscito fortemente voluto da Massimo Barbiero. Nel futuro ci sono tanti progetti. Il prossimo è sicuramente la registrazione del duo con l'armonica cromatica di Max De Aloe, i nostri due strumenti "atipici" sono una vera forza. Ci piace suonare insieme, ci divertiamo e questo si sente nella nostra musica. Attingiamo da diversi repertori, principalmente jazz e nostri brani originali, ma anche pop e classica. Suoniamo quel che ci piace, senza troppi intellettualismi o vincoli estetici, lasciando libera espressione alla nostra musicalità.





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Marcella Carboni esplora da diversi anni, con tenacia e passione, un universo di suoni che raramente ha visto protagonista l’arpa. Dopo il diploma, nel 1995, e un folgorante incontro con l’arpista newyorchese Park Stickney, la musicista e compositrice cagliaritana ha partecipato con la sua arpa elettroacustica a corsi di perfezionamento in Italia e all’estero, alla ricerca di una sintesi musicale. Il risultato è un “equilibrio fra il jazz e la musica europea, fra scrittura e improvvisazione, tecnica impeccabile e suono affascinante” (Il Foglio, 18 agosto 2007). Ha collaborato con nomi quali Bruno Tommaso, Enrico Pieranunzi, Paolo Fresu, Riccardo Zegna e Roberto Cipelli ed è impegnata in repertori che spaziano dal soul alla musica elettronica, oltre che in progetti cinematografici e teatrali. Trame è il suo primo disco da solista, ma la critica l’aveva notata grazie al cd d’esordio del Nat Trio (Splasc(h) Records). Nel 2008 è stata l’unica arpista nel Top Jazz della rivista Musica Jazz (“strumentista dell’anno” e “miglior nuovo talento”).

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