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Quando il lavoro non è smart. Specie per le donne  -  di  Michela Aprea

Quando il lavoro non è smart. Specie per le donne - di Michela Aprea

Una ricerca CGIL- FDV mostra luci e ombre del lavoro da remoto, scelta obbligata durante il lockdown. Quali sono le prospettive future?

Lunedi, 17/08/2020 - Durante la fase di lockdown oltre 8 milioni di persone hanno sperimentato il lavoro su piattaforma da casa. Prima dell’emergenza COVID-19 le persone che avevano accesso al lavoro da remoto non superavano il mezzo milione.
Ma possiamo davvero chiamare quello sperimentato da quasi un terzo della forza lavoro italiana smartworking (ovvero la modalità di lavoro senza vincoli di spazio temporali ma organizzata per fasi, cicli, obiettivi regolata dall’ex legge n.81/2007)?
A questa domanda ha provato a rispondere la prima indagine CGIL sul tema, promossa dall’area politiche di genere CGIL nazionale e realizzata insieme alla fondazione Di Vittorio, a cura di Simona Marchi.
L’indagine è stata effettuata attraverso un questionario online – sottoposto tra il 20aprile e il 9 maggio - a cui hanno risposto 6170 partecipanti.
Cinquantatré domande per ricostruire il profilo del/la“smartworker”, - il 65% degli intervistati è donna, il 35% uomo, con un livello di istruzione medio alto (diploma 52%, laurea 45%) –rilevare le modalità di attivazione e gli aspetti organizzativi, informativi, condizioni, strumenti, competenza, aspetti psicologici (percezioni e atteggiamenti) e condizioni personali e domestiche.
Nel 94% dei casi hanno risposto lavoratrici/ori a tempo indeterminato dei quali il 73% svolge un lavoro impiegatizio, il 20% è un quadro o funzionario, il 2% dirigente. Il 66% degli intervistati lavora nel settore privato.Il 34% nel pubblico. Il 22% lavora nelle regioni dell’area nord ovest, il 28% in quelle nord est, il24% al centro, il 14% al sud, il 13% nelle isole. Il 64% degli intervistati ha un’età compresa tra i 35 e i 54 anni, Il 29% in quella tra i 55 e i 64 anni.
Rispetto alle modalità a ricerca rileva quanto segue: l’82% ha cominciato a lavorare da casa con l’emergenza, di questi il 31,5% avrebbe scelto tale modalità anche prima dell’emergenza.
Con le misure di contenimento emerge che l’obbligo allo smartworking ha riguardato prevalentemente le donne (10% in più) e il settore privato (più 15% rispetto al pubblico). Nel 37% dei casi è stato attivato in modo concordato con il datore di lavoro, nel 36% dei casi in modo unilaterale, solo nel 27% in modo negoziato dal sindacato. Una situazione, questa, che va regolata, con il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali.
È Maurizio Landini a porre l’attenzione sul tema, proprio durante la conferenza stampa di presentazione della ricerca: “Dobbiamo porci il problema – ha affermato - di fare in modo che nei nuovi contratti collettivi e aziendali ci siano elementi che permettano di affrontare i bisogni di chi lavora in smart working, e quindi discutere di temi come il diritto alla disconnessione e alla formazione. Lo smart working per essere un’esperienza positiva e soddisfacente per le lavoratrici e i lavoratori va organizzato e contrattato con le organizzazioni sindacali”.
Secondo gli ultimi dati disponibili dell’Osservatorio sullo Smartworking del Politecnico di Milano (ottobre 2019), prima della pandemia da Covid 19, solo il 7% delle pubbliche amministrazioni aveva attivato iniziative informali per illavoro agile, il 6% contava di avviarle nei dodici mesi successivi. Prima dell’emergenza sanitaria, secondo l’Osservatorio si poteva osservare nella Pubblica Amministrazione un "ritardo evidente", con quasi 4 P.A. su 10 che non hanno progetti di smart working e sono incerte (31%) o addirittura disinteressate (7%) rispetto alla sua introduzione”.
Dovranno cambiare idea alla luce dell'introduzione del Piano organizzativo del lavoro agile (Pola), attraverso il quale dal primo gennaio 2021 la percentuale di dipendenti in remoto dovrà salire ad almeno il 60% (per quei settori che consentono l'esercizio delle attività non in presenza).
Un obiettivo non realizzabile senza il pieno coinvolgimento delle organizzazioni sindacali avverte Serena Sorrentino, segretaria generale della FP CGIL, la categoria che organizza le lavoratrici e i lavoratori del comparto pubblico."Durante la pandemia tante lavoratrici e lavoratori hanno continuato a lavorare per garantire i servizi essenziali ai cittadini - sostiene la sindacalista -. Nel settore pubblico, al netto della legge ‘81 e dei decreti del governo, adesso è più che mai necessario disciplinare le parti normative e soprattutto alcuni diritti contrattuali: per primo il diritto alla disconnessione. Molti addetti hanno operato con fasce orarie autogestite, oppure attraverso accordi di implementazione dell'orario per garantire ogni servizio. È il momento di definire le regole sui tempi, le pause, lo stato psico-fisico del lavoratore. Bisogna affrontare la questione dei buoni pasto e del salario accessorio. In generale dobbiamo inaugurare un vero lavoro agile: una prestazione che non sia legata all'ambiente di lavoro ma consenta maggiore flessibilità, che non sia solo una misura di conciliazione ma anche uno strumento di benessere organizzativo". Per fare questo la Fp chiede un accordo quadro nazionale: "Pensiamo sia indispensabile per adattare la struttura contrattuale alle esigenze dello smart working", afferma ancora Sorrentino che sostiene la necessità di introdurre adeguati strumenti di valorizzazione economica e professionale. “Che deve avvenire con il rinnovo del contratto nazionale” conclude.
Tornando alla ricerca del Politecnico di Milano, prima della crisi da Covid, la diffusione dei progetti di smart working si attestava al 58% nelle grandi imprese, al 12% nelle PMI e al 16% nelle PA. Nelle grandi imprese, riporta ancora il dossier, i progetti di implementazione del lavoro agile erano per il 49% a regime e coinvolgevano mediamente il 48% della popolazione aziendale. Solo la metà dei progetti prevedeva anche una revisione degli spazi. Quello della postazione è un tema centrale come rivela l’indagine CGIL e FdV: il 50% delle/gli intervistate/i non è dotato di uno spazio ad hoc e ha dovuto ricavarlo. Rispetto ai dispositivi il campione intervistato ha utilizzato in prevalenza dispositivi forniti dal datore di lavoro, la percentuale è più bassa tra le donne. Riguardo alla consapevolezza il questionario rileva:
- Scarsa o nulla attenzione al diritto alla disconnessione (56%)
- Scarsa o nulla al controllo a distanza (55%, maggiore tra le donne)
- Alta attenzione al ricircolo d’aria (85%) e alla tutela privacy (73%, maggiore tra le donne);
- Il 66% (la percentuale cresce tra gli uomini) degli intervistati presta attenzione alla correttezza della postazione di lavoro; il 54% (maggioranza tra gli uomini) alle pause lavorative.
Il rapporto elaborato da CGIL in collaborazione con FdV evidenzia come nessuna delle modalità rilevate è ascrivibile allo smartworking, piuttosto quello emerso può essere definito “home working” cioè un mero trasferimento a casa delle mansioni lavorative effettuate in ufficio.
Nel 45% dei casi il lavoro è cambiato nella misura in cui il rapporto con il responsabile è diventato più complicato (+15%) o sono aumentati i carichi di lavoro (+23%). Il cambiamento non è percepito nel caso in cui nella medesima azienda tutte o quasi tutti i dipendenti hanno effettuato lavoro da casa.
I cambiamenti sono stati sentiti in maggioranza dalle donne che hanno trovato il lavoro da casa più pesante (66%), complicato (69%), alienante (64%), stressante (65%).
Del resto, come ha affermato Susanna Camusso, “non si è trattato di uno strumento di conciliazione”.
Riguardo alle competenze, la quasi totalità degli intervistati ha rilevato la necessità di competenze specifiche per il ricorso al lavoro da remoto. In particolare rispetto a strumenti e tecnologie (69%); piattaforme e software (52%); organizzazione del lavoro (66%), gestione stress emotivo, ansia (40%). La formazione aziendale è intervenuta nello sviluppo di tali competenze in un ordine che potremmo definire residuale (tra il 2 e l’8%). Competenze che la lavoratrice e il lavoratore ha sviluppato autonomamente nell’ordine del 15% (donne) e 39% (uomini).
Dello smartworking fa paura il fatto che si riducono sensibilmente le occasioni di confronto e scambio con i colleghi e l’aumento dei carichi familiari (71%).
D'altro canto il 94% delle lavoratrici e dei lavoratori intervistati rileva aspetti positivi e afferma che la modalità di lavoro da casa:
- Fa risparmiare tempi di pendolarismo casa- lavoro;
- Consente flessibilità
- Rende efficace lavoro per obiettivi
- Permette bilanciamento dei tempi di lavoro, cura e tempo libero
- consente di stare al passo con i tempi (58%)
- riduce lo stress lavoro-correlato (55%)
- consente di organizzare al meglio diversi aspetti della vita e di avere tempo per la cura della casa, dei cari, per sé.
Tra gli uomini e le donne risulta più propensa all’ homeworking la platea maschile. Complessivamente il 60% degli intervistati vorrebbe proseguire l’esperienza di home working anche dopo l’emergenza.
La ricerca ha inoltre individuato le caratteristiche tali da rendere il lavoro da remoto davvero smart e quattro profili di home working:

CARATTERISTICHE
- DIMENSIONE ORGANIZZATIVA DEL LAVORO DA CASA GESTIBILE E SOSTENIBILE (condizioni, spazi, strumenti/tecnologie, accesso documenti e modalità di comunicazione)
- CONCILIAZIONE DEI TEMPI DI LAVORO, CURA, TEMPO LIBERO È DAVVERO POSSIBILE (bilanciamento, separazione ambiti)
- IL LAVORO NON CAMBIA (negli aspetti organizzativi, relazionali interni ed esterni, nei contenuti)
- NELL’ATTIVAZIONE E INFORMAZIONE È INTERVENUTO IL SINDACATO
- ATTIVITÀ DI FORMAZIONE, INFORMAZIONE, AGGIORNAMENTO ALLA NUOVA MODALITÀ PROGRAMMATA E REALIZZATA
- DIMENSIONE COLLETTIVA E RELAZIONE DEL LAVORO PRESERVATA

PROFILI
- SW IMPROVVISATO
La modalità attivata si è dimostrata un DISASTRO: lavoratrici e lavoratori non organzizzati, scarsamente equipaggiati, competenze acquisite con difficoltà quando acquisite, scarsa consapevolezza sulle specificità del lavoro, spazi poco sostenibili, ambiti della vita che si mischiano, scarsa quando non cattiva gestione del tempo. Aumento dei carichi familiari. Orientamento alla conciliazione poco condiviso. Esperienza risultata alienante, stressante. Percezione di ansia, tristezza, abbrutimento. Sono in prevalenza le donne ad aver fatto esperienza di questa modalità.
- SW DESIDERATO
Un successo: lavoro organizzato, dotazione tecnologica adeguata ed efficace e competenze di pari livello, come gli spazi a disposizione del resto. L’esperienza è percepita come soddisfacente e produttiva oltre che stimolante perché innovativa. Sono soprattutto gli uomini a percepire così il lavoro svolto da casa
- SW OCCASIONALE
Ci hanno provato, sono lavoratori e lavoratrici dotati di medie capacità tecnologiche, sono lavoratrici e lavoratori che hanno gestito autonomamente il proprio lavoro da casa, in spazi poco sostenibili e non distinti dagli altri ambiti di vita. Il carico lavorativo risulta significativamente aumentato, l’esperienza è percepita come pesante e complicata, con un’elevata sensazione di solitudine nel lavoro, il rapporto con i capi è complicato. Hanno orientamento alla flessibilità e al lavoro per obiettivi. Hanno titoli di studio alti, sono uomini e donne.
- SW GOVERNATO
Sono organizzati, mediamente dotati delle tecnologie adeguate, con competenze in acquisizione, spazi disponibili e distinti dagli altri ambiti di vita. I tempi e i carichi di lavoro non si sono modificati, né sono percepiti come tali. L’esperienza del lavoro da remoto è stata vissuta con indifferenza, seppure lo stress lavoro correlato è meno percepito.

Il testo completo qui: https://img-prod.collettiva.it/images/2020/05/18/123405173-946b698d-e841-4329-9a4c-1561929819ca.pdf

Michela Aprea

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