Lunedi, 20/06/2011 - Queste ultime erano adolescenti reclutate in campagna e destinate a rimanere a servizio per il resto della loro vita (…). Queste fanciulle (…) crescevano, avvizzivano e morivano nella casa, dormivano in stanze lerce e prive di finestre e mangiavano gli avanzi dei pranzi dei padroni…
Isabel Allende, Ritratto in seppia
Sono le ‘rumene’ nel nostro paese, le indiane negli Stati del Golfo, le latinoamericane negli Stati Uniti. Sono le lavoratrici domestiche, ennesimo aspetto della globalizzazione, dell’economia di cura in questo caso, e della divisione internazionale del lavoro domestico. 53 milioni di persone secondo le stime più recenti dell’ILO - Organizzazione Internazionale del Lavoro -, addirittura il doppio però secondo gli esperti che sottolineano l’impossibilità di quantificare il fenomeno dato che questo tipo di lavoro è spesso nascosto e non registrato. Circa l’83 per cento di questi lavoratori sono donne o ragazze e numerosissimi sono i/le migranti. Questo dicono le ricerche ma anche la nostra diretta esperienza. Sono lavoratrici che si spostano, o rimangono nel loro paese, con un preciso compito nella struttura economica: liberare altre donne dalle incombenze domestiche per permettergli di accedere al mercato del lavoro salariato e di partecipare così alla ‘crescita’ del paese. Sono lavoratrici che delegano altre donne, nei paesi di origine, al lavoro di cura perché le donne sono responsabili del lavoro di cura su tutto il pianeta.
Ciò che permette che si realizzi il circolo ‘invirtuoso’ è l’enorme differenza salariale che esiste tra occidente e resto del mondo, tra aree rurali e urbane.
Ma mentre lo sfruttamento feroce delle lavoratrici domestiche nel Nord del mondo è un fenomeno limitato, nel Sud è la normalità. Situazioni estreme legate all’orario, alle mansioni, alle condizioni di lavoro, al salario corrisposto.
Di questo fenomeno assai diffuso si sono rese conto anche le Nazioni Unite che lo scorso 16 giugno hanno preso la decisione di adottare un insieme di norme internazionali nel tentativo di migliorare le condizioni di lavoro di decine di milioni di lavoratori domestici in tutto il mondo.
Con 396 voti favorevoli, 16 contrari e 63 astensioni i delegati alla 100 ª Conferenza annuale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), hanno adottato la Convenzione sulle lavoratrici e i lavoratori domestici, mentre la Raccomandazione che l’accompagna ha ottenuto 434 voti favorevoli, 8 contrari e 42 astensioni. L’ILO è l’unica Organizzazione, all’interno del sistema delle Nazioni Unite, con una struttura tripartita e ognuno dei suoi 183 Stati membri è rappresentato da due delegati governativi, un delegato delle organizzazioni dei datori di lavoro e un delegato sindacale, che votano in maniera indipendente.
Nel testo introduttivo, la nuova Convenzione stabilisce che “il lavoro domestico continua ad essere sottovalutato e invisibile e che tale lavoro viene svolto principalmente da donne e ragazze, di cui molte sono migranti o appartengono alle comunità svantaggiate e sono particolarmente esposte alla discriminazione legata alle condizioni di impiego e di lavoro e alle altre violazioni dei diritti umani”. Le nuove norme dell’ILO stabiliscono che i lavoratori domestici di tutto il mondo, che si prendono cura delle famiglie e delle loro abitazioni, sono titolari degli stessi diritti fondamentali nel lavoro riconosciuti agli altri lavoratori: orari di lavoro ragionevoli, riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive, un limite ai pagamenti in natura, informazioni chiare sui termini e le condizioni di impiego, nonché il rispetto dei principi e dei diritti fondamentali nel lavoro, fra cui la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva. La Convenzione definisce lavoro domestico quel lavoro svolto in o per una famiglia o più famiglie. I due nuovi strumenti normativi, nonostante coprano la totalità dei lavoratori domestici, prevedono delle misure speciali volte a proteggere i lavoratori che, a causa della giovane età, della nazionalità o delle condizioni di alloggio, possono essere esposti a rischi aggiuntivi rispetto ai loro pari.
Stando alle procedure dell’ILO, la nuova Convenzione entrerà in vigore dopo che due Paesi l’avranno ratificata. Certamente un passo avanti, se non altro nel riconoscimento dell’invisibilità delle tante persone che svolgono il lavoro domestico e dei loro diritti. Malgrado le buone intenzioni resta aperta la questione dei controlli e della possibilità di imporre sanzioni a chi non ratifica, predispone e mette in azione le norme in essa contenute.
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