Bulgaria al bivio - Prevalenti nella scuola e nella sanità, le donne sono sottopagate ma rappresentano la maggioranza della popolazione. Decisivo il ruolo delle donne per il rilancio dell’economia verso il sistema comunitario
Cristina Carpinelli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2007
Le trasformazioni radicali nell’economia bulgara hanno prodotto un drammatico impatto sul fattore umano con alti costi sociali. Durante la transizione vi è stato un immiserimento di massa che ha acuito le ineguaglianze. Contrariamente alla vulgata popolare, secondo cui la diffusione su larga scala della povertà riduce la forbice delle differenze (in un paese dove tutti stanno male i distingui perdono di senso), la Bulgaria, insieme con altri paesi dove la povertà è un problema a “rilevanza nazionale”, dimostra che tra le varie cause del rallentamento della crescita vi sono l’adozione di modelli di sviluppo che non promuovono l’inclusione sociale, l’integrazione nel mercato del lavoro e adeguati livelli sanitari e d’istruzione, generando di conseguenza miseria e disparità. In Bulgaria, le persone con i più alti tassi d’indigenza sono le donne sole o divorziate con minori a carico, le famiglie numerose o con membri disabili, disoccupati o in pensione. La povertà è presente soprattutto tra le famiglie monoparentali con la donna capofamiglia (21,4% delle famiglie). Questa tipologia di famiglia è in crescita, a causa della speranza di vita che è più alta tra le donne (costituiscono il 63% della popolazione anziana), dei tassi di divorzio in aumento e del decremento dei matrimoni.
Il modello di crescita, adottato dal governo bulgaro durante la transizione, su sollecitazione degli istituti finanziari internazionali, è tuttavia un ostacolo alla piena integrazione di questo paese nell’Unione Europea (la cui adesione formale ha avuto luogo il 1/1/2007). Le nuove riforme non potranno più ignorare il fattore umano, che è indispensabile per uno sviluppo sostenibile. La crescita economica senza coesione sociale non crea benessere. Negli ultimi sette anni la Bulgaria ha fatto progressi impressionanti in direzione della crescita e della stabilità a lungo termine. Ciononostante, rimane un paese povero rispetto ad altri paesi dell’Europa centro-orientale, con un tasso di sviluppo e un reddito pro capite molto al di sotto della media europea. Tale gap va colmato con l’avvio di una serie di misure nel mercato del lavoro e nel settore pubblico, tenendo conto delle peculiarità di questo paese. Una di queste è il declino del tasso naturale di crescita della popolazione, con l’effetto che la popolazione in età di lavoro è in calo mentre la popolazione totale sta invecchiando. La Bulgaria ha un tasso d’occupazione e di partecipazione al mercato del lavoro basso rispetto agli altri paesi dell’Europa centro-orientale. Secondo gli obiettivi dell’Agenda di Lisbona (e Rapporti successivi sulla coesione economica e sociale), essa dovrà portare il suo tasso d’occupazione al 70% entro il 2010, che è una delle condizioni verso la convergenza di reddito con i paesi dell’UE, e investire in produttività, pur nella consapevolezza che quest’ultima da sola non può compensare la bassa partecipazione al mercato del lavoro.
La Bulgaria potrà soddisfare gli obiettivi posti dalla strategia di Lisbona puntando, innanzi tutto, sull’equa partecipazione delle donne nel mondo del lavoro e sulla loro promozione ad alti livelli d’istruzione e di training. Il primo passo è ridurre la disoccupazione femminile più alta di quella maschile (rispettivamente 9,3% e 8,6%) e le disparità di genere presenti sul lavoro. Le donne prevalgono nei settori con minore qualificazione e peggio retribuiti: 56,1% nelle agenzie immobiliari e nelle banche (come personale amministrativo); 64,1% nei servizi e nel commercio al minuto; 75,5% nel settore pubblico (scuola, sanità, pubblica amministrazione). Una quota in forte sviluppo è quella delle donne che lavorano nelle ICT, ma per ora si tratta solo di giovani maestranze. Inoltre i differenziali retributivi di genere sono tali per cui le donne percepiscono il 67% dei compensi maschili.
Gli investimenti stranieri (dall’UE) e i contributi statali sono orientati in gran parte verso quei rami della produzione dove, a causa della competitività con il mercato globale, i livelli di produttività del lavoro, e di conseguenza quelli salariali, sono alti (energia, industria meccanica e chimica, turismo e trasporti), e dove è notevole la presenza di occupati maschi. La quota femminile della forza lavoro totale nell’industria è del 39%. La concentrazione massima di manodopera femminile è di fatto “relegata” nei segmenti marginali dell’economia a bassa produttività. Tuttavia, se l’incremento di quest’ultima, attraverso l’uso più razionale di tutte le risorse produttive, è uno degli elementi chiave per la ripresa dell’economia bulgara, la questione del riproporzionamento tra i settori, ossia dell’investimento anche nella sfera “improduttiva”, con il rilancio dell’efficienza e di salari competitivi, diventa improrogabile. Così come risulta improrogabile la riallocazione dei fondi di bilancio statale e la ristrutturazione della spesa pubblica a favore di questa sfera dell’economia caratterizzata da impiego prevalente di risorse femminili.
Favorire l’accesso universale all’istruzione, consolidare il legame tra scuola e mondo del lavoro significa migliorare il potenziale del capitale umano e valorizzare le risorse inespresse. La riforma scolastica deve puntare sulla modernizzazione del sistema e su salari che rispondano a criteri di qualità nell’insegnamento. Al momento il salario medio di un’insegnante in Bulgaria è di 280 leva (144 euro), una vera elemosina. In molte aree del paese, questa professione si trova al gradino più basso, cioè all’ultimo stadio prima della disoccupazione, mentre il salario è appena più alto del sussidio di disoccupazione o della pensione minima. Questa situazione grava in particolare sulle donne che costituiscono circa il 70% del corpo insegnante (scuola primaria e secondaria). Altrettanto sconfortante è lo scenario che si presenta nel settore della sanità, dequalificato e male retribuito. Anche qui a pagarne il prezzo sono soprattutto le donne, poiché la professione di medico e para-medico, insieme con quella d’insegnante, è in Bulgaria tradizionalmente esercitata quasi esclusivamente da personale femminile (71%).
La società bulgara è convinta che sia tempo di riforme radicali, soprattutto ora che il paese è entrato a far parte dell’UE. Ma queste riforme non dovranno più corrispondere alle direttive del FMI, che aveva a suo tempo scoraggiato la spesa pubblica nel settore statale, raccomandando “migliori outputs agli stessi costi” e favorendo l’espansione dei servizi privati. Contrariamente ai paesi dell’Europa centro-orientale, le cui riforme verso il libero mercato erano state realizzate mantenendo in vita i servizi pubblici e la rete di sicurezza sociale (quest’ultima proprio come leva per una rapida riconversione dell’economia), la Bulgaria aveva paralizzato i servizi e distrutto il suo sistema di protezione sociale, generando una recessione economica senza precedenti con tassi elevati di disoccupazione e una forte flessibilità verso il basso dei salari.
Nel 2004 la spesa bulgara per l’istruzione era stata del 4,3% contro una media di circa il 6% di altri paesi transizionali come Ungheria, Slovenia, Polonia e Stati baltici. Questi paesi avevano, a suo tempo, adottato le misure necessarie per soddisfare i requisiti richiesti dall’Agenda di Lisbona per il loro ingresso nell’UE. Ora tocca alla Bulgaria. Tra i suoi compiti per l’allineamento con l’acquis comunitario vi sono la crescita dell’occupazione e forti investimenti nella politica sociale, puntando congiuntamente su fattore umano, produttività e competitività. Intanto, il governo ha già stanziato un fondo a favore del “Programma nazionale per la qualificazione e l’occupazione”, i cui partecipanti sono per oltre il 60% di sesso femminile, e poiché di tutti i programmi di bilancio la quota dei fondi destinata alle donne è meno del 20%, ha costituito un gruppo di esperti per costruire le prime analisi di gender budgeting nell’ambito delle iniziative del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Infine, affinché questi processi siano monitorati, ha avviato una campagna per accrescere la partecipazione politica delle donne ai vari livelli (nel 2001 la rappresentanza femminile al parlamento era il 26,3%; nel 2005 era scesa al 21.3%), anche in applicazione della neo-legge sulla protezione contro la discriminazione.
(22 maggio 2007)
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