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Quali sono le nostre vertenze?

Quali sono le nostre vertenze?

Femminismi e bilanci - È giunto il tempo di una vera "arte politica" femminista per elaborare proposte ‘intriganti’. E che sarebbero copiate

Giancarla Codrignani Domenica, 24/11/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2013

Ne sono successe di cose in quest'anno! ma che fatiche... Il bilancio femminile non è gran cosa e certamente non abbiamo trovato valide leadership. Forse dovremmo dire "fortunatamente", se vediamo quelle maschili. Ma il timore più grande è che veniamo risospinte a guardare il contesto con gli occhi neutri, di chi vede il bicchiere mezzo vuoto per donne e uomini insieme, come cittadini senza genere. La violenza intanto cresce: i femminicidi sono l'orrore, ma le proteste, forse strumentalizzate, e gli sballi dei più giovani preoccupano. Tuttavia, come bisogna cercare di trovare coraggio e vedere il bicchiere mezzo pieno, così non sarà male fare il punto della situazione senza perdere il senso (e i diritti) della soggettività femminile. Paradossalmente le crisi sarebbero il periodo favorevole per inserire innovazioni. Chi mai ci proverà?

Siamo da sempre "soggetti desideranti" e sappiamo intuitivamente che cosa significa. Ma, in senso concreto, che cosa desideriamo? di "cambiare il mondo" o, come dicono alcune di noi, di "fare mondo". D'accordo; ma come? essendo sempre più radicali in un tempo che apre a tutto fuorché alle rivoluzioni e perfino alle dialettiche? contrapponendo la nostra forza (realisticamente platonica), oppure abdicando?

Il mondo non è immodificabile - i poteri forti sono senza pietà, ma anche suicidi -, ma anche lui ha bisogno di aiuto per non correre senza controllo: gran parte del fallimento della politica democratica internazionale è che nessuno ha il coraggio di dire: "gente, non sappiamo che cosa fare e non abbiamo idee: ci date una mano?". Il futuro come paura non è una prospettiva: forse in questo siamo più coraggiose noi, che, anche se percepiamo più forte l'estraneità di un sistema di cui troppe di noi sono perfino involontariamente complici, continuiamo ad avere una gran voglia di "esserci".

Alcune cose molte di noi le hanno maturate: che i conflitti non si fronteggiano, ma si attraversano anche tornando sui passi compiuti; che non avevamo bisogno di Papa Francesco per capire che è meglio aspirare alla libertà che al potere; che la vita diventa "buona vita" solo se i rapporti con gli altri, a tutti i livelli, sono "relazione". E che, in ogni caso, quando ci sono degli sgarri, si denuncia argomentando.

Forse l'intellighenzia femminista ha troppo seguito la metodologia dei filosofi, partendo dalle teorie: non abbiamo costruito nessuna vera "arte politica" per aprire vertenze. Le amiche che si domandano se dobbiamo ammettere o no gli uomini alle nostre iniziative dovrebbero aver intuito che, se avessimo avanzato proposte davvero intriganti, avremmo avuto la fila dei postulanti alla porta, quanto meno per far rapina, come è sempre accaduto in tutti i laboratori, dove le idee le mettono le donne e i Nobel vanno ai maschi.

È certo molto interessante se anche noi critichiamo l'economia capitalistica e ci aggiungiamo la denuncia che il profitto e la competitività sono effetti del patriarcato. Ma se poi ci sfuggono i servizi (che nella nostra visione sono diritti), bisognerà riposizionare le priorità politiche presentando adeguate proposte. D'altra parte la politica non sarà mai "nostra" se non coinvolgiamo le donne che più subiscono questo mercato e questo falso welfare di cui loro sono l'ammortizzatore. Il lavoro non sarà mai più quello conosciuto fino a vent'anni fa e il precariato condiziona stabilmente proprio quella maternità esaltata come ruolo e oggi sempre più desiderata dalle dirette interessate; che, però, rischiano - dato che non si è mai chiarito quanto i valori della sessualità stiano dentro la dignità della vita - di essere rimandate alla casa.

Non è più possibile fermarsi al nostro limitato orizzonte: se l'ONU discute le misure per porre fine alle "Mutilazioni Genitali Femminili" nel mondo, noi ci confrontiamo con le migranti e la tratta. Lampedusa è certamente la pietra di paragone di un bilancio critico del 2013. Ma, anche se non si sa se il sistema sia solo ammalato o già morto, la differenza di genere non finisce. Gli uomini hanno detto che siamo "una risorsa": la parola non è felice, ma al riconoscimento non corrisponde l'esser tornate a dover contare su noi stesse. Non molliamo la presa, per carità, e tentiamo - a partire dalla sempre sfuggente ricerca di unità - di fare un passo avanti: la proposta dello sciopero di genere del 25 novembre potrebbe essere un auspicio.



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