Parità/ Le immigrate - Una ricerca sulle donne immigrate nella provincia di Pescara E’ stata promossa dalla Consigliera provinciale di parità, ‘noidonne’ ne pubblica una sintesi
Maristella Lippolis Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2005
Le incontriamo per strada, o alla fermata dell’autobus, sempre più numerose, da sole o a piccoli gruppi; parlano tra loro in lingue dai suoni misteriosi, che non capiamo; a volte le vediamo sedute insieme, in tante, sulle panchine di un giardino pubblico, assorte, in attesa di chissà cosa; vivono nelle nostre case, allevano i nostri figli e li accompagnano a scuola; preparano il nostro cibo e accudiscono i nostri anziani. Senza di loro, quelle che definiamo come “strategie di conciliazione” tra i molti lavori fuori e dentro casa, per molte di noi non sarebbero possibili, o comunque diventerebbero molto più faticose da gestire. Abbiamo luoghi in cui ascoltarle? Di cosa parliamo con loro?
Ancora troppo poche le narrazioni che le raccontino; perlopiù sostituite dalle notizie di cronaca, quando si colora di nero. Il resto è silenzio. Per questo abbiamo voluto definirle protagoniste invisibili: che siano protagoniste non c’è dubbio, lo confermano i dati della ricerca qui presentata; e la loro invisibilità è testimoniata dal fatto che sappiamo ancora così poco di loro, e che troppo poco ci preoccupiamo di guardarle e conoscerle davvero.
Da qualche tempo in Italia la narrazione dell’emigrazione sta iniziando ad emergere. Mentre il nostro cinema, con la capacità che gli è propria di leggere in anticipo una realtà ancora sotto traccia, si sta occupando da più tempo del tema dell’immigrazione, la scrittura invece ha bisogno di una maggiore o comunque diversa sedimentazione, e affronta ancora prevalentemente l’esperienza migratoria maturata all’estero dalle generazioni che ci hanno preceduto; e se raccontare significa portare alla luce, dare oggettività ad esperienze singole e farle diventare storia collettiva, è molto importante che ciò avvenga perché la nostra ancora recente memoria di emigrazione tende perlopiù a venire rimossa senza lasciarci insegnamenti su quello che ha rappresentato e sulla sua valenza universale nell’esperienza umana. Penso che tra poco tempo anche qui, come nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti, gli immigrati e le immigrate romperanno il silenzio e inizieranno a raccontarsi in prima persona. Ma per ora non abbiamo che l’indagine. La ricerca, che qui posso solo accennare, è stato uno dei primi lavori che ho realizzato come Consigliera di parità. Mi sono avvalsa della collaborazione di Marianna Di Vito e di Silvia Palladini, dell’Ufficio Politiche migratorie della Provincia, e di Brigitte Kaneza, che ha realizzato le interviste. E’ nata dalla curiosità, dal desiderio di interrogare le differenze e dal bisogno di capire il mondo delle donne migranti; una realtà che pur tra le innumerevoli specificità appare più comprensibile se operiamo una lettura di genere. Sebbene, infatti, le donne vivano come tutti i soggetti migranti le contraddizioni ed i conflitti dell’esodo dai propri paesi di origine e dell’adattamento ad una nuova realtà, elaborano progetti migratori e percorsi di cambiamento e di gestione dei conflitti in maniera differente rispetto agli uomini. E’ evidente quindi come la diversa composizione per genere comporti una differenziazione dei progetti migratori, delle aspirazioni e delle esigenze personali e familiari. E si tratta di specificità che se pure si manifestano con i caratteri della problematicità, spesso rappresentano anche risorse impensate, come evidenzia bene la ricerca che appare ricca di spunti nuovi e sorprese, capaci di ribaltare i consueti stereotipi e la superficialità con cui troppo spesso guardiamo al mondo dell’immigrazione. Conoscere la realtà delle donne immigrate significa entrare nel cuore di progetti migratori che sono cambiati nel tempo, e si sono ridefiniti seguendo rotte nuove. E così scoprire che sono tante nella nostra provincia le donne che hanno un proprio nucleo familiare, ci aiuta a capire che esiste un progetto migratorio che da temporaneo tende a diventare di lunga durata. In questo caso cambia notevolmente l’interazione tra l’immigrato e il contesto sociale in cui E’ inserito, e cambiano le politiche che occorre dispiegare: infatti, quando si tratta non più solo di immigrazione temporanea e solo legata al lavoro, che è quasi sempre a prevalenza maschile, ma di nuclei familiari, entrano in scena nuovi soggetti sociali che condivideranno con noi non soltanto l’ambiente di lavoro, ma anche quello di vita, la scuola dei figli, l’utilizzo dei servizi sociali e delle strutture sanitarie. Emergono quindi nuovi bisogni e nuove richieste, e si crea una maggiore interazione con il contesto, con il sistema delle risorse e dei servizi. E’ innegabile però che con l’aumento delle forme di immigrazione stabile o definitiva si producono i primi conflitti di identità, le prime reazioni da parte della società ospitante, i primi veri problemi di stabilità e di mutamento, di integrazione e dialogo tra culture diverse. In questo contesto un aspetto particolarmente ricco di potenzialità è rappresentato proprio dal ruolo molto delicato che le donne ricoprono, un ruolo di mediazione sapiente, istintiva, non appresa con lo studio ma maturata sulla propria esperienza: “mediatrici” tra tradizione e modernità, tra chiusura e apertura, tra ripiegamento identitario ed integrazione sociale; ruolo che andrebbe valorizzato e potenziato, creando le condizioni per la sua emersione, anche contro i pregiudizi esistenti nella comunità di appartenenza e nell’ambiente esterno. Anche nel mondo dell’emigrazione infatti le donne ricoprono ruoli diversi e molteplici: sono loro a fare il più delle volte da elemento regolatore del processo di integrazione, restituendo senso a gesti e riti (si pensi all’importanza del cibo, che insieme ai ritmi di vita diversi, rappresenta la mancanza più grande rispetto al proprio paese di origine, più ancora della lingua ), e reinterpretando tradizioni e norme alla luce dei valori e dei comportamenti del presente; le donne diventano così custodi della tradizione e della continuità da una parte e protagoniste del cambiamento dall’altra, ponte e cerniera, una faticosa “doppia presenza”, particolarmente delicata e fragile, che dovrebbe essere sostenuta da politiche attente; significativa è nelle loro risposte alla domanda su cosa potrebbero fare le amministrazioni locali per migliorare le loro condizioni di vita, l’importanza data alla mediazione tra culture diverse, al dialogo, al confronto senza pregiudizi. Anche e soprattutto attraverso le donne, quindi, si giocherà la riuscita di una integrazione tra culture, in cui ognuno cresca e si arricchisca attraverso le differenze dell’altro.
La ricerca si compone di due parti: nella prima si analizzano il contesto, le varie tipologie migratorie e le dinamiche sociali, attraverso la lettura e rielaborazione dei dati quantitativi e qualitativi. Nella seconda si riportano i dati di una ricerca sul campo condotta attraverso un campione mirato, in collaborazione con le associazioni dei diversi gruppi di immigrati. In questa parte emergono i temi legati alla soggettività, alla memoria e alla narrazione di sé, anche attraverso la raccolta di alcune storie narrate in forma libera. Nella parte conclusiva vengono infine suggeriti alcuni spunti operativi per l’individuazione di percorsi di promozione personale e sociale, di formazione e orientamento.
Mi piace ricordare infine che una mediatrice culturale che è stata particolarmente utile nello svolgimento della ricerca, Sofia Belkacem, di origine marocchina, è stata successivamente eletta come rappresentante degli immigrati nel Consiglio Comunale di Pescara.
La ricerca è disponibile in volume per chi fosse interessata a leggerla integralmente, o in abstract in formato elettronico, e sul sito internet della Consigliera di Parità (home page in basso a sinistra www.provincia.pescara.it)
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