Libri - Clara Sereni - L'ultimo libro di Clara Sereni "Una storia chiusa" (ed Rizzoli), al centro le donne e la loro capacità di reagire
Tommasina Soraci Mercoledi, 19/09/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2012
Anche storie di donne nell’ultimo romanzo di Clara Sereni "Una storia chiusa" (ed Rizzoli), romanzo corale in cui il lettore può scegliere il percorso che sente più vicino alla sua sensibilità e alla sua esperienza di vita. In un affresco umanissimo di una casa di riposo per anziani, si intrecciano storie personali con la Storia che “marchia” vite già vissute, ma non per questo meno ricche e problematiche, e vite ancora in mezzo al guado della quotidianità. Come già ne Le merendanze, le protagoniste femminili sono quelle che di fronte alla vita che sta per chiuderti la porta in faccia e che te la chiude, comunque, tutti i giorni, riescono attraverso minuscoli spiragli, a ricostruire il senso di una semplice, ritrovata solidarietà di fronte alle disillusioni della Storia recente, che tenta di ridurci a monadi. Ancora una volta, le donne sono portatrici di progettualità, di cultura di vita, costruita senza clamori, nel quotidiano. Sereni, con la sua squisitezza stilistica, con il suo carico di esperienze e umanità, presenta, fra i tanti personaggi, una galleria di donne, ciascuna col suo fardello di vita passata e presente, che le rende diverse in un caleidoscopio di differenti età ed esperienze e pur sempre con un “quid” di genere che le accomuna. Ma eccone alcune, attraverso le loro parole e i loro pensieri. C’è Giovanna che può essere considerata la voce narrante, il filo invisibile che collega tutti i personaggi, è un po’ la voce dell’autrice. Giovanna è un ex magistrato, costretta a vivere come una clandestina nella casa di riposo, perché a rischio: “la paura sempre, e poi quel senso tremendo di una guerra infinita, una guerra che mai nessuno vincerà, e dunque una battaglia vinta non serve a niente…Forse è così in tutto il mondo, comunque da noi non c’è consolazione possibile perché la trama fitta del malaffare, della malavita, della corruzione e della sopraffazione è un Male assoluto che ci portiamo dentro…Mi è capitato di pensare, certe volte, che condannare i capi sia perfino uno sbaglio, perché così ne vengono fuori assolti o perfino ringraziati i responsabili veri”. L’analisi della nostra odierna condizione non potrebbe essere più lucida, ma l’impegno non si ferma alla razionalità della propria professione, è peculiarità femminile coinvolgere testa e cuore, organizzazione e attenzione: “È che io ero convinta di poter fare il Bene, anzi me ne ero innamorata: e dunque gelosa, mai soddisfatta, come capita per ogni innamoramento…Ho dato le dimissioni dopo aver ottenuto certe condanne importanti…Me ne sono andata per la delusione d’amore. E me ne sono stata zitta, perché chi continua a fare il mio mestiere non perda ogni speranza”. Olga ha perduto il figlio in una delle tanta stragi che hanno costellato la nostra Storia, si è costruita un suo personale calendario in cui i giorni non sono scanditi dai santi ma dagli attentati e dalle stragi. Se l’ufficialità li ricorda retoricamente con corone e discorsi di circostanza, Olga si limita ad accendere candele e “moccoletti”: per la strage di Bologna otto candele e cinque moccoletti. “A lungo guardo la cera che si scioglie piano in lacrime lente. Quando tutto finisce mi accorgo di averne io una di lacrima sulla guancia”. Olga che “scopre”, grazie all’ex partigiano Carlo, che anche il Vajont è una strage di stato: “Prima hanno nascosto i rischi poi hanno insabbiato le indagini, come al solito”. È casuale che proprio a Olga e all’ex partigiano Carlo, nel giorno in cui si sposano, sia affidato il compito di contribuire ad abbattere le pareti delle monadi, a far rinascere un sia pur timido senso di speranza solidale? C’è poi la “vandaosiris” del gruppo, Virginia, che trascorre i suoi ultimi anni con la testa volta all’indietro, al tempo in cui è stata corteggiata e amata da uomini importanti. Ha creduto che per una donna contasse solo la bellezza, il successo nel mondo dei lustrini. Ora, perduta in questi suoi ricordi, non osa confessare neanche a se stessa, fra un bicchiere di champagne e un gioiello, di essere stata semplicemente usata. E Margherita, Eugenia, Quintilia: ciascuna a suo modo donna segnata dalla Storia, come la giovane Marta che si riscopre donna nel momento in cui riscopre la solidarietà.
C’è Claudia, l’assistente sociale, che la sua vita la vive dentro e fuori, ma dove sta la differenza? Con parole che davvero sono “pietre” esprime il suo essere donna: “Mi toccherà dare un’occhiata, vedere quello che posso fare. Come lo posso aiutare. Già, perché questo è il mio compito, con tutti: aiutare. Facilitare, mediare. Farmi carico. Prendermi cura. Essere sorgente, acquedotto, rubinetto, e certe volte perfino bicchiere. Inesauribile per definizione. Qui ma poi a casa, col marito, coi figli. Con mio padre che invecchia anche lui e si sente solo. Ma a me chi mi aiuta?” In questo mondo disincantato di donne giovani e di quelle che non lo sono più, suona emblematica la riflessione conclusiva di Giovanna, durante la festa per il matrimonio di Olga e Carlo: “Un’armonia che non reggerà, è fatta di niente. Ma intanto decido di starci dentro, di essere parte anch’io, per adesso, finché ce la faccio, con la disperata speranza che tempi migliori possano arrivare. Prima o poi”.
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