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Protagoniste della liberazione

Protagoniste della liberazione

Storia/Resistenza - La vedovanza, la solidarietà, l’evoluzione delle conoscenze; come hanno vissuto le partigiane o semplicemente vittime di guerra dopo gli eventi bellici? Come si è espresso tutto ciò, e quali sviluppi ha porta

Giuseppe Febbraro Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2005

La partecipazione femminile agli avvenimenti del biennio 1943-1945, e più in generale alla storia dell’antifascismo durante il Ventennio e a quella della politica interna fino al ‘48, non è finora stata oggetto dell’attenzione meritata. La donna combattente, e più che mai quella “pensante”, della Resistenza e della Liberazione, è passata sempre in secondo piano rispetto alla figura omologa maschile. Ciò che è trascurato è, in particolare, la “percezione femminile” del conflitto, della Resistenza, dell’attivismo politico. L’impegno è un dato acquisito. Ma da dove esso scaturisse è meno indagato. La vedovanza, l’elaborazione del lutto, la solidarietà, la solitudine, la sessualità, l’evoluzione dei desideri e delle conoscenze; quanto abbia significato essere donna antifascista o partigiana o semplicemente vittima di guerra dopo, negli anni successivi al fascismo e agli eventi bellici. Come si è espresso tutto ciò, e quali sviluppi ha portato con sé?
Il convegno di Reggio Emilia prendeva le mosse da tali assunti e tali domande. Con forti motivazioni e interessanti ipotesi da discutere, una quarantina tra docenti universitarie e ricercatrici, con alcuni studiosi, provenienti da tutta Italia si sono confrontate su temi miranti a restituire la giusta importanza al fenomeno, colmare i vuoti di memoria apertisi negli ultimi anni, reinquadrare il protagonismo femminile dei decenni tra il Trenta e il Cinquanta nella giusta ottica. Quella di un tessuto sociale e culturale fondamentale per l’apertura, nel dopoguerra, del “varco alla democrazia e al nuovo assetto costituzionale”.
Dedicato alla memoria di Genoeffa Cocconi, moglie di Alcide Cervi e madre dei sette fratelli martiri, in occasione del sessantesimo anniversario dalla sua scomparsa, il convegno si è articolato in tre giornate. La prima, che ha funto da prologo ai lavori, si è svolta al Museo Cervi di Gattatico, presieduta, tra gli altri, dal senatore Ugo Benassi e da Raffaella Baritono (presidente della Società Italiana delle Storiche). La mia Resistenza il tema affrontato, un confronto tra testimonianze di donne protagoniste della lotta di liberazione dal nazifascismo e dell’impegno politico degli anni successivi. Tra le intervenute Maria Cervi, l’ex vicepresidente della Camera (1958-1963) Marisa Cinciari Rodano e la senatrice Albertina Soliani.
I lavori sono entrati nel vivo venerdì 8 ottobre nel capoluogo, nell’aula magna dell’università, sul tema della sessione mattutina Guerra e violenza e su quello pomeridiano Resistenze. Dianella Gagliani, docente di Storia moderna a Bologna, nella sua introduzione ha affermato: “[la seconda guerra mondiale] è un’esperienza nella quale sono prevalsi corpi astratti, quali il concetto di nazione, sulle vite dei singoli individui”. Così, tra gli altri, Vito Antonio Leuzzi ha presentato uno studio documentario sulle violenze subite dalle donne baresi da parte delle truppe di occupazione; Elena Cortesi ha illustrato la sua ricerca sulle lettere dei soldati dal fronte alle “madrine di guerra”; Valentina Greco ha ricordato la figura di Lidia Beccaria Rolfi, deportata ad Auschwitz che ha lasciato un’importante opera di memorialistica; Maria Teresa Sega si è soffermata sull’impegno attivo, in chiave progressista, delle donne cattoliche durante e dopo il conflitto, traendo spunto in particolare dalla situazione del Veneto; Maria Rosaria Porcaro, con una relazione di taglio quantitativo e statistico, ha preso in esame la questione dei riconoscimenti partigiani, beneficio dal quale spesso le donne rimasero escluse per non averne effettuato richiesta in qualità di combattenti (spia, questa, di una partecipazione femminile alla Resistenza che ci fu e fu determinante, ma alle cui categorie rigidamente politico-militari le protagoniste sovente si sentirono estranee). A tale proposito l’intervento di Delfina Tromboni ha, di seguito, preso in esame la lotta di liberazione come lotta di emancipazione, e dunque la realtà di “più resistenze” contrapposta alla tesi storica dei “vari livelli” di una sola.
La sessione di lavori del sabato era incentrata sull’argomento Patria/patrie, forse il più interessante e originale, dal punto di vista storiografico, dell’intero programma, concedendo l’occasione di discutere della percezione dell’amore di patria – e dell’impegno per essa – dal punto di vista, femminile, dell’una e dell’altra parte in conflitto nella guerra di liberazione. Se Graziella Gabello, ad esempio, con Patriottismo, fede fascista, militanza politica ha ricostruito – partendo dalla biografia della fascista alessandrina Angela Maria Guerra - le vicende di una “generazione di donne che, volontariamente e consapevolmente, ha aderito al regime e che vi ha trovato la possibilità di ritagliarsi uno spazio pubblico, in cui valorizzare le proprie attitudini e capacità”, Maura Firmani a sua volta, analizzando le carte di quarantasei torturatrici fasciste ancora fedeli detenute nel dopoguerra nel carcere di Perugia, ha tuttavia messo in luce che “quelli che appaiono ancora indizi in attesa di approfondimento sembrano abbattere il modello monolitico e ideale della fascista repubblicana incarnato dall’ausiliaria del Saf e tramandato dalla memorialistica saloina, maschile e femminile, come espressione della virtuosa donna fascista che sa servire il regime anche in tempo di guerra senza perdere i tratti peculiari alla femminilità, primo tra tutti l’estraneità all’uso delle armi e alla pratica della violenza”. Dibattito, dunque, aperto e di grande interesse.
Delle tre parole simbolo, guerra, Resistenza, politica, scelte dagli ideatori del convegno per designare il contesto, la pratica e le motivazioni dell’azione femminile dall’antifascismo al dopoguerra, forse quella carica di maggiori significati resta la terza. E’ interessante, a tal proposito, quanto descritto da Sara Galli, la quale ha incentrato il suo intervento sulla stampa clandestina prodotta e distribuita nei territori occupati dai Gruppi di Difesa della Donna e da alcune organizzazioni femminili interne ai partiti aderenti al Cln, tra il 1944 e il 1945: da tale analisi emerge come “in vista di quella che sarebbe stata la futura democrazia di massa, le diverse componenti politiche intendessero contribuire alla formazione di un soggetto collettivo femminile, portatore di specificità ed interessi propri”.
Se, dunque, torniamo ad intendere il termine “politica” nell’accezione originaria di ciò che è inerente alla comunità e alla attività di ogni suo appartenente per il suo sviluppo e il suo progresso, ecco che questo termine – nel titolo del convegno – va a comprendere gli altri due. Il primo, elemento da superare nei rapporti sociali e tra i popoli. Il secondo, come forma di intervento e punto di ripartenza.
Le tre giornate organizzate dall’Istituto Cervi hanno dato un contributo importante a questa visione del ruolo, primario, delle donne nello sviluppo dell’antifascismo e della Resistenza.


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