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Prostituzione: il chi, il perché

Prostituzione: il chi, il perché

Prostituzione - Dalla sociologia classica il contributo per un dibattito alternativo

Rosanna Galasso Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2009

Attingere agli scritti di Georg Simmel in tema di prostituzione può offrire interessanti spunti di dibattito al fine di collocare il fenomeno su una più ampia sfera di analisi, spingendosi oltre le derive semplicistiche che ne alterano la natura e finiscono con il liquidarlo nelle più banali e pretenziose soluzioni, di volta in volta auspicate dall’ipocrisia comune.



Straordinariamente attuale l’articolo di Simmel “Riflessioni sul fenomeno della prostituzione” pubblicato in anonimato a fine ‘800, ci fornisce dei punti fermi di conoscenza imprescindibili. Nella fortuna di poter disporre di una così preziosissima e autorevole eredità sociologica, l’analisi simmeliana è la base concettuale su cui poter elaborare una fattiva proposta di legge che, al di là dello schieramento politico di provenienza, si proponga di mettere mano su questo delicato, quanto bistrattato aspetto della nostra realtà sociale.

Muovendoci attraverso i punti nevralgici del trattato, in prima istanza Simmel ci rimanda alla trasformazione che l’epoca moderna ha apportato al sistema identitario dell’individuo, conclamando la polarizzazione della società sul valore del singolo, rispetto ai principi portanti del sistema socio-comunitario pre-moderno dove l’identità di ognuno, fortemente ancorata al valore esclusivo della comunità, esauriva il suo significato nella staticità di questa appartenenza: della comunità premoderna la prostituta costituiva forza lavoro e parte integrante. L’arrivo della modernità vede il progressivo affermarsi della famiglia nucleare come unica forma di amore e sessualità dell’ individuo, oltre al compimento di quel processo di mercificazione sociale per il quale il denaro diventa il media per eccellenza, valore di scambio per ogni cosa. E’ proprio rispetto a questo nuovo frame socio-culturale di riferimento che la prostituzione acquisisce una differente posizione sociale. La prostituta nella modernità diventa un soggetto umano svalutato su cui si proietta il rifiuto della morale dominante in quanto percepita in opposizione e come minaccia ai principi monogamici della famiglia nucleare borghese. A causa della mercificazione di cui è oggetto, la prostituta incarna nella visione comune il capro espiatorio del pericolo insito nella forza del denaro, la corruzione di ciò che c’è di più sacro: il valore dell’individuo. Il concedersi in vendita esautora la prostituta della propria umanità trascinandola allo stesso livello impersonale del denaro, di cui diventa merce di scambio. La svalutazione umana della prostituta è tanto più forte quanto più misere sono le sue condizioni di vita, infatti, ci ricorda Simmel quanto sia diverso il modo di considerare la prostituzione d’alto borgo: “…nei confronti di questa prostituzione più raffinata, che nel complesso comunque se la passa meglio, la società mostra sorprendentemente molta più indulgenza che non verso la prostituta di strada o di bordello che pure, posto che in tal caso esista il peccato, in realtà è già punita molto più duramente con la miseria della sua esistenza.” , ciò perché “La società vede proprio nello sventurato il suo nemico……essa pretende dal proletario affamato più rispetto per la proprietà altrui di quello che pretende dal barone di borsa e dal furfante nobile….”. Quindi se il valore sacro e inalienabile dell’individuo nella società moderna è anche il valore umano della donna, e da qui il rifiuto alla sua mercificazione, al tempo stesso però attraverso il potere ingannatorio del denaro le stesse cose vengono percepite con occhi e con giudizi diversi. Il benevolo pregiudizio classista veicolato dal potere del denaro, riesce a riscattare nel senso comune l’aberrazione tout court verso la prostituzione quando la stessa è appannaggio dell’alto rango più prezzolato. Nel contempo, concepire come liberatoria la non visibilità del fenomeno nelle sue espressioni più degradate corrisponde a voler credere che quella miseria e quel degrado non sia parte della nostra stessa identità sociale: “Le prostitute sono i capri espiatori.. la società spinge le vittime dei propri peccati sempre più radicalmente lontano da sé, gettandole in tal modo in una corruzione morale sempre più profonda: un peccato grazie al quale si procura il diritto di trattarle come criminali.” Se già Simmel mette in relazione la prostituzione con la condizione di inferiorità in cui è sottoposta la donna nella società, sarà più di mezzo secolo dopo, con Simone de Beauvoir che la denuncia arriverà aspra ed inequivocabile: “la prostituta non ha i diritti della persona umana e in lei si riassumono tutti i simboli della schiavitù femminile”.



L’ipocrisia comune che sottende l’attuale dibattito sulla prostituzione va ritrovata pertanto nella negazione, attraverso la repressione e l’occultamento di quella parte di realtà sociale che, pur appartenendoci non vogliamo vedere, ma che inevitabilmente la prostituzione di strada, visibile nella sua disgrazia e povertà, riflette come uno specchio. Raccogliendo il suggerimento di Simmel la prostituzione va considerata in rapporto alle condizioni sociali e culturali di riferimento, proprio per non cadere nel rischio di una morale assoluta che porti verso dei giudizi superficiali e ingiusti, ciò necessita la rimozione della cortina di ipocrisia persistente e la presa d’atto che la prostituzione risponde ad un bisogno di libertà sessuale che nella nostra società è, nonostante le spinte liberatorie in itinere, ancora largamente represso. In poche parole l’offerta di prostituzione esiste perché esiste una domanda di prostituzione, come tutte le forme di mercato copre capillarmente l’intera realtà sociale collocandosi su diverse modalità di esercizio e differenti livelli di prezzo, questo mercato è in larghissima parte sotto il controllo della malavita.

Da questa fondamentale considerazione derivano però anche i tre punti nevralgici dell’intero fenomeno:

• lo sfruttamento della prostituzione colpisce non a caso le categorie più deboli, appartenenti agli strati più bassi della scala sociale e non tutelati dalla forza del diritto: donne spesso con disagi socioeconimici, immigratie, minori.

• la svalutazione della persona insita nell’esercizio della prostituzione riversa su chi si prostituisce il rifiuto sociale. La prostituta, pur rispondendo ad un bisogno collettivo, incarna il capro espiatorio di una “colpa” comune: i clienti delle prostitute sono sempre la collettività, la stessa che condanna e ostracizza.

• tutti i tentativi di repressione e occultamento della prostituzione servono soltanto ad alimentare una pericolosa spirale di clandestinità e di violenza, dando nuovo vigore alle forme più estreme di schiavizzazione e sfruttamento.





Lo spirito che ha animato la lunga battaglia politica della parlamentare socialista Lina Merlin e che ha portato il 20 febbraio del1958 al varo della legge 75 ha rappresentato la prima grande sterzata nel pensiero politico a favore del primo punto: l’illegalità del doppio sfruttamento esercitato sul corpo della donna sia dallo Stato che dai lenoni, l’accesso ad una democratica identità sociale, potenzialmente libera dal ricatto del maschio, istituzionalizzato di fatto nei controlli della polizia previsti dalla regolamentazione allora vigente. Libertà inoltre dalla ghettizzazione e dal marchio indelebile che la tessera sanitaria rappresentava. La legge Merlin è stato il primo step verso il recupero della dignità e della libertà individuale delle donne in quanto macrocategoria sociale soggetta al lenocinio. Il merito della legge è stato quello di introdurre nella morale collettiva un fondamentale principio per i futuri riconoscimenti di uguaglianza e di diritto: il corpo della donna non può essere in alcun modo oggetto di sfruttamento sessuale. L’istituzione del reato di sfruttamento ha segnato un grande passo di civiltà per il nostro paese, conformemente alla dichiarazione dei diritti umani sanciti dall’ONU, la chiusura delle case di meretricio ha dichiarato il chiaro rifiuto che la nostra democrazia ha avuto nei confronti della schiavizzazione, dello sfruttamento e della ghettizzazione istituzionalizzata, dell’esercizio del dominio androcentrico e delle perversioni che ne derivavano le quali, occultate dal favore della casa chiusa, si consumavano a danno di chi non aveva nè voce né diritto per difendersi, né, tanto meno, opportunità di riscatto sociale. Il problema ora è un altro, la legge 75 non ha avuto seguito, ha cancellato una vergogna sociale, ma oltre a non essere stata adeguatamente applicata non è stata oggetto di rielaborazioni sulla base dell’ evoluzione del fenomeno e dei cambiamenti culturali, politici, sociali che nell’arco di 50 anni hanno trasformato il nostro paese. L’uscita dalla casa di meritricio, la cancellazione del marchio indelebile di meritrice e l’istituzione del reato di sfruttamento non si sono poi concretizzati nella progressiva applicazione di serie politiche di intervento, controllo, sostegno, integrazione delle categorie sociali più esposte. Il racket dello sfruttamento della prostituzione è cresciuto nell’illegalità grazie alle connivenze politiche e il fenomeno della schiavizzazione, lungi dall’essere risolto, si è ingigantito, favorito dalle sacche di degrado e povertà urbana e dal facile accesso alle nuove risorse di immigrati facilmente ricattabili, troppo spesso donne e minori, entrati o caduti in clandestinità senza accesso ad alcun riconoscimento di diritto. L’importazione delle schiave del sesso è uno dei tanti risvolti della globalizzazione e delle grandi opportunità economiche ad essa legate. Il fenomeno di strada, favorito dall’attuazione di disomogenee quanto insufficienti politiche di territorio, nonché dalla mancata attuazione delle leggi già esistenti, ha raggiunto progressivamente livelli di degenerazione indicibili, alimentando sprezzo e scontento sociale. Questi stati d’animo collettivi sono facilmente sfruttabili da politicanti da strapazzo che, sulla base di argomentazioni vaghe e contraddittorie, prive di qualsiasi concreta strategia di intervento, ripropongono, cavalcando l’onda dell’ignoranza, oltre che dell’insofferenza comune, un ritorno al passato attraverso la repressione e l’occultamento del fenomeno, intervenendo con la forza là dove è ovviamente più facile, paradossalmente proprio su coloro che sono le prime vittime della prostituzione: i soggetti che vengono costretti a prostituirsi.



Il disegno di legge presentato dalla ministra Mara Carfagna nella presunzione di colmare i 50 anni di indifferenza che lo separano dall’autorevolezza della legge Merlin, oltre al polverone mediatico sollevato si limita nella sostanza a introdurre il reato di prostituzione in strada o nei luoghi aperti al pubblico, attraverso l’introduzione di pene nei confronti di chi si prostituisce e di chi contratta le prestazioni ( i clienti…). “….per eliminare la prostituzione di strada, come fenomeno di maggiore allarme sociale” recita la relazione illustrativa della ministra, nella convinzione di riuscire a “contrastare lo sfruttamento della stessa in quanto è soprattutto nel luogo pubblico che si perpetrano le più gravi fattispecie criminose finalizzate allo sfruttamento sessuale”. Aggiungendo poi le doverose riserve: “Resta naturalmente esclusa la punibilità della persona che abbia esercitato la prostituzione perché costretta mediante violenza o minaccia” ….non si può pertanto che riscattare la non colpevolezza di tutte, considerate le premesse di cui sopra! L’unica novità è quindi che ora la prostituta, già soggiogata e reticente per paura di ritorsioni, dovrà adesso, peraltro in stato di colpevolezza, fornire pure le prove di essere soggetta a sfruttamento, salvo altrimenti il suo ritorno in “libertà” dopo l’espiazione di una pena che va da 5 a 15 giorni di arresto e un’ammenda da 200 a 3.000 euro. Nessun intervento è indicato per il sostegno sociale e la tutela di chi è soggetto allo sfruttamento di cui sopra(eccezion fatta per i minori immigrati per i quali è previsto il rimpatrio ricongiungimento familiare). Nessun intervento ulteriore, escludendo una maggiorazione della pena, è indicato per contrastare lo sfruttamento e sostenere la denuncia degli sfruttatori da parte delle vittime. Vige totale anarchia su ogni altro forma del fenomeno dal momento che nessuna regolamentazione è prevista sulla prostituzione esercitata fuori dai luoghi pubblici, la quale peraltro, in quanto non visibile, sembra sorprendentemente non ricadere nelle forme di sfruttamento da contrastare!

Il ddl Carfagna si preoccupa di abrogare l’articolo 5 della legge 75 senza di fatto emancipare il contenuto della legislazione. Tale articolo oltre all’ammenda economica prevedeva l’arresto fino ad 8 giorni di chi “invitasse in luogo aperto al pubblico al libertinaggio in modo scandaloso e molesto”, tali persone però se in possesso di regolari documenti di riconoscimento non potevano essere accompagnate all’ufficio di pubblica sicurezza e in ogni caso non potevano essere sottoposte a visita sanitaria. E’ in questo ultimo passaggio che emerge con tutta la sua forza il rifiuto che legge Merlin sancisce verso gli interventi forzati di controllo, in nome della salute pubblica, sul corpo delle donne, con le conseguenti violenze fisiche e psichiche che comportarono.

Nella sostanza l’unico elemento saliente del ddl Carfagna, e forse l’unico vero motivo che ne ha determinato l’iniziativa, è la completa riscrittura dell’art.600 bis del codice penale, con una stretta sulle pene in materia di prostituzione minorile, al fine di ottemperare, giustamente, agli obblighi assunti con la Convenzione del Consiglio d’Europa del 25 ottobre 2007.



Nella prospettiva analitica di G.Simmel, soltanto se ci sarà un amore pienamente libero dalle restrizioni istituzionali della società borghese, e verrà meno l’antitesi tra il legittimo e l’illegittimo non ci sarà più bisogno della prostituzione, ma intanto: “la premessa necessaria e indispensabile affinché in una società veramente umana possa esistere la prostituzione è che si elevi la posizione delle prostitute”. Ci fornisce delle indicazioni Simmel, nella piena consapevolezza che: “La posizione della prostituta dipende dai sentimenti sociali che suscita” quindi nel perpetuarsi dei presupposti fondanti della società borghese si dovrà “eliminare quanto c’è di venefico nel fenomeno”.



Una società civile può lavorare al fine di sostenere lo sviluppo e la crescita individuale di chi appartiene alle fasce sociali più esposte allo sfruttamento sessuale, dar modo a chi non ha nome né identità di diventare un soggetto di diritto in grado di difendersi. Sono questi gli interventi di base che genererebbero una spinta propulsiva all’evoluzione del fenomeno. Riconoscere poi la libertà di esercizio di soggetti giuridicamente autodeterminati, può favorire un progressivo sviluppo verso una nuova identità sociale di chi vuole per scelta propria prostituirsi, facendo emergere il fenomeno dalla clandestinità. Di fronte ai nuovi scenari che rivela il lento moto in itinere dell’emancipazione sociale, anche la prostituzione libera e autogestita può diventare, alla stregua delle altre forme di libertà in materia sessuale ormai riconosciute nella società, un’attività esercitabile nel pieno rispetto dei presupposti fondanti della dignità umana.

E’ forse così utopistico auspicare che le prostitute raggiungano mai la forza contrattuale di esigere dai propri clienti il certificato medico, di data non anteriore a 3 mesi, pena l’impossibilità di accedere alla prestazione?





Bibliografia:

Georg Simmel, Filosofia e sociologia dei sessi, Edizioni Cronopio, Napoli 2004

Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, il Saggiatore, Milano 2008

(20 gennaio 2009)

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