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Procreazione in vitro, scienza e morale

Procreazione in vitro, scienza e morale

Parliamo di bioetica - Assegnato il Nobel per la fisiologia e medicina a Robert G. Edwards per lo sviluppo della fertilizzazione in vitro, passo monumentale in campo medico e grande beneficio all’umanità

Giustiniani Pasquale Domenica, 19/12/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2010

“Un premio Nobel non muta né i fatti né la valutazione etica, ma può essere forse l’occasione per riaprire una seria riflessione sul significato umano della procreazione e sul dovere di tutelare la vita di tutti i figli, anche allo stato embrionale”. È quanto si legge in una nota del Centro di bioetica dell’Università Cattolica, diretto da Adriano Pessina, a seguito del conferimento del premio Nobel 2010 per la fisiologia e medicina a Robert G. Edwards (nato il 1925 a Manchester), premiato appunto “per lo sviluppo della fertilizzazione in vitro” (in sigla, IVF). È il centonovantaseiesimo Nobel assegnato in questa branca dalla Fondazione di Stoccolma dal 1901. Dopo penicillina, ingegneria genetica e gruppi sanguigni, è venuto dunque il momento di segnalare l’IVF che, secondo gli esperti del Karolinske Institutet, rappresenta un vero e proprio cambiamento di paradigma nel trattamento di vari tipi d’infertilità umana, anche se almeno il 70% delle donne che ricorre a questo tipo di procedure non riesce ad avere un figlio in braccio. Notevoli gli sviluppi della ricerca nel campo delle tecniche di fecondazione extra-corporea, accolte ormai anche dalla Legge italiana (la 40/2004). Nella motivazione del premio, il biologo cellulare Christer Höög scrive che la scoperta di Edwards rappresenta un passo monumentale in campo medico in quanto ha arrecato un grande beneficio all’umanità. Grazie a questo pioniere, già il 2-3% di tutti i neonati del mondo viene oggi concepito con l’aiuto della fecondazione in vitro, mentre si sono aperte nuove vie per il trattamento dell’infertilità maschile.

Dopo le prime osservazioni sulla penetrazione dello spermatozoo in un ovocita, riportate da Nelson nel 1851, il dr. Edwards mise a punto un efficace metodo per attenuare la sterilità. Nel 1969, inoltre, egli dimostrò che, attivando spermatozoi, potrebbe essere favorita la fecondazione extracorporea di un ovocita maturo (in quegli anni prelevato con metodo laparoscopico). Insomma, onore e merito al primo che è riuscito a dimostrare la fecondazione e la maturazione in vitro di ovociti materni, che si sviluppano inizialmente fuori del corpo femminile e, successivamente, vi sono innestati con la possibilità di dar luogo ad una normale gravidanza, come avvenne il 25 luglio 1978 per Louise Joy Brown, oggi felicemente mamma a sua volta. Anche il Presidente dell’Accademia vaticana per la Vita ha dovuto riconoscere come lo scienziato britannico non sia un personaggio da sottovalutare, avendo appunto inaugurato un capitolo nuovo e importante nel campo della riproduzione umana.

Come mai, allora, tante polemiche, soprattutto da parte dei Movimenti pro life e di alcuni teologi? Tecniche che, provando e riprovando, possano comunque comportare la distruzione di ovociti fecondati, e quindi la morte di concepiti, sono giudicate illecite. Anche il legislatore italiano, del resto, tutela tutti i “concepiti” prodotti con le diverse tecniche di procreazione assistita, al punto da disporne la criopreservazione in caso di mancato innesto in utero. Del resto, a riprova di polemiche mai sopite in Italia dove il governo inserisce un’Agenda bioetica nel suo programma, una Commissione ad hoc ha da poco concluso i suoi lavori sulla sorte dei circa 30.000 embrioni crioconservati, essendovi qui da noi l’obbligo di criopreservare gli embrioni vitali generati in provetta e non più destinabili all’impianto. Per alcuni, sarebbe non rispettosa della dignità umana la stessa generazione extracorporea. Per altri, che rappresentano differenti prospettive morali, non lo sarebbe una crioconservazione di durata imprevedibile dell’embrione (com’è stato stabilito nel 2009 proprio nel Regno Unito, la patria del nuovo Nobel). Per altri ancora, non lo sarebbe un’intenzionale e programmata distruzione di embrioni “congelati”. Per altri, infine, non lo sarebbe neppure la donazione di questi alla ricerca scientifica che, si sostiene, li degraderebbe comunque a generico materiale cellulare.

Lo spreco eventuale di embrioni nelle tecniche di procreazione, anzi la manipolazione stessa di materiali bioumani viene perciò criticata da alcune parti morali, anche a motivo del mercato di ovociti che ne potrebbe derivare, nonché di eventuali pratiche di “selezione” tra embrioni, ma soprattutto a motivo dei tanti embrioni soprannumerari, alcuni dei quali dichiarati “orfani” dai genitori biologici. Il fine buono, insomma, non giustificherebbe i mezzi. Soprattutto si temono indebite commistioni tra la finalità procreativa, in funzione della quale il corpo della donna viene sottoposto ai disagi delle tecniche e dei farmaci, e le possibili finalità esteriori alla coppia, determinate per esempio dagli interessi allo sfruttamento degli embrioni per la ricerca. Si lamenta, in sostanza, che lo scienziato inglese abbia sì inaugurato una casa, ma aprendo una porta sbagliata.

Il lavoro di Edwards su cellule embrionali e blastocisti ha costituito, in ogni caso, il punto di avvio per ulteriori studi sulle cellule staminali derivate da embrioni e per la cosiddetta diagnosi pre-impianto. D’altra parte, le valutazioni etiche non sono estranee allo scienziato. Edwards anzi è convinto che non si tratti di questioni meramente scientifiche, al punto che, insieme con l’avvocato David Sharpe, ha discusso le implicazioni morali della sua ricerca e relative applicazioni, anche con il Comitato etico creato per la IVF nella Bourn Hall Clinic.



Pasquale Giustiniani

Istituto Italiano di Bioetica

www.istitutobioetica.org





(20 dicembre 2010)

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