Lunedi, 07/09/2015 - PRIMA PAGINA DONNE 21 (31 agosto - 6 settembre 2015)
Un noto detto latino dice: “Ubi maior minor cessat”; ovvero quando c’è qualcosa di più importante ovvero di ”maggiore“ qualunque cosa minore viene meno. Ho citato questo concetto facendone una traduzione semplicistica ma spero comprensibile per chi non ha praticato il latino, perché questa settimana quell’abitudine che contraddistingue le mie note di fare un po’ l’elenco degli avvenimenti seppure con qualche breve aggettivo di commento sento di doverla “tradire“ per scegliere di soffermarmi solo sulle donne in tante che con i loro bambini in braccio che marciano verso il cuore dell’Europa.
Sono mesi che le vediamo, nere, bianche, chiare scure senza o con fazzoletti in testa, scendere dai barconi, dopo avere attraversato il mare, che veniamo a sapere che sono morte o sono riuscite a salvarsi, che con l’aiuto di marinai, di medici militari, di donne e uomini coraggiosi sono riuscite a dare alla luce dei bambini, delle bambine a cui sempre è stato dato un nome di speranza; perché è la speranza che guida davvero chiunque lotti e non si ferma davanti a nulla, come loro. Ne abbiamo letto o rapidamente visto e ascoltato in televisioni le storie drammatiche e rocambolesche. Ci siamo chieste come tante di loro abbiano potuta affrontare la promiscuità, la raccontata violenza di quei viaggi, ed anche l’orrore di cadere in mare senza neanche sapere lontanamente nuotare. Le abbiamo guardate semplicemente come donne, e poi come mogli e come madri con le creature avvinghiate a loro. Ci siamo anche interrogate sulle donne rimaste a casa, su quelle che hanno visto partire, mariti, fratelli, figli e che in tanti casi non avranno più alcuna notizia. Per quel che mi riguarda “ho ringraziato“ l’Italia per tutte le persone che è riuscita a salvare che non può sbiadire mai come valore, per le ragioni che sono alla base, per il costante richiamo alla responsabilità dell’Europa.
Ed è a questa umanità che ci accompagna, non da mesi ma da anni che con un crescendo inesauribile proprio in queste settimane di fine agosto si sono affiancate le immagini di chi,in particolare siriani in fuga dalla guerra, sceso dalle barche o senza mai avere solcato il mare ma la terra come in un esodo biblico si è in camminato verso il Nord Europa con un traguardo privilegiato la Germania.
Tutte/i conosciamo le drammatiche vicende di questi ultimi giorni, guardando anche alla violenza del governo ungherese, che non c’è credo bisogno di ripeterle, ma conosciamo anche la speranza che è nata da quando la Cancelliera tedesca Angela Merkel, col peso del suo paese nell’Unione Europa ha dichiarato, proprio in questa settimana l’apertura delle frontiere della Germania, creando una tale spinta da dare il coraggio ai profughi in marcia, di affrontare senza fermarsi il muro di filo spinato dell’Ungheria.
Contemporaneamente è crescita la voglia, la disponibilità di tanti cittadini europei di darsi da fare ovunque per aiutare, e direi anche la speranza che l’Europa possa riprendere il suo cammino; forse non è un'utopia oggi arrivare a decisioni, seppur difficili, che coinvolgano tutti i paesi del’UE. Ed è in questo esodo a piedi e con ogni mezzo possibile fatto in gran parte di siriani che il volto delle donne con i loro fazzoletti, a fianco dei mariti e con i loro bambini per mano, in braccio, sulle spalle hanno occupato ogni immagine. Volti di dolore, stanchezza, sfiducia, pur sapendo che le difficoltà rimangono immense anche per chi è arrivato, senza dimenticare chi continua a provarci in migliaia, li abbiamo visti trasformarsi in sorrisi e immagini di ottimismo, accolti da un umanità pronta ad alleviare seppur momentaneamente le loro diff icoltà e a fargli sentire il piacere di accoglierli con tutti i mezzi, materiali e immateriali compreso l’inno europeo alla gioia.
Persino In Islanda, l’isola di ghiaccio con solo 350mila abitanti, un appello su fb della proff dal difficile nome di Bryndis Bjorgvinsdottir con lo slogan : “ Solo perché non sta accadendo qui non significa che non stia accadendo”; ha prodotta la disponibilità di ben 12.000 famiglie ad ospitare profughi.
In quella dunque che è una tragedia segnata dall’esodo di intere popolazioni e secondo gli esperti destinata a durare anni, in questa fine d’estate, sembrano aprirsi sprazzi di una nuova speranza che partendo in questa difficile Europa dall’accettazione della realtà si muove e tenta una via organizzata e programmata di gestione della situazione.
Certo senza troppi commenti, che da giorni tanti di noi stanno facendo, che al culmine di episodi terribili come, fra gli ultimi, un camion di morti sull’autostrada austriaca a far svoltare pagina in modo incredibile sia stata l’immagine tenerissima del piccolo Alan, accoccolato sulla spiaggia nel suo sonno eterno, ha dell’incredibile. Quanti orrori e morti non abbiamo guardato riuscendo davvero a vederli? Alan in fuga da Kobane morto con il suo fratellino Galip e la sua mamma Rehan, che il papà inutilmente ha tentato di salvare; una famiglia come tante di cui però oggi conosciamo la storia e il terribile finale evitabile, si è imposto ed è divenuta il simbolo di ciò che non vorremmo succeda più e anche della certezza che ragione e cuore degli esseri pensanti possono decidere di prendere in mano i destini, per quanto difficili, del proprio tempo.
Nel fine settimana una nuova creatura, dal mare è venuta alla luce su un gommone ed è ora a Lampedusa. Non è la prima e non sarà l’ultima ma per tutte/i noi è una ragione in più per impegnarci per un'Europa consapevole della propria responsabilità e orgogliosa di poter agire senza la paura di perdere forza, ma esattamente al contrario sapendo di avere una forza da spendere anche in questa direzione.
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