Sabato, 25/07/2015 - In questo giorni, mentre i più sono in viaggio verso paradisi last minute comprati dai tour operator, c'è un uomo nella mia città che proprio non riesce a partire.
Non conosco il suo nome, ma ogni mattina, puntuale come un orologio svizzero, arriva trafelato al solito bar, ordina un caffè e si lamenta ad alta voce d’aver perso l'aereo. Una volta era il volo per New York, un'altra per Mosca, un'altra ancora per Vostok, in Antartide. Veste come “viene viene”, e il suo bagaglio è un marsupio a tracolla. Gli avventori sorridono di lui, lo trattano con benevolenza; è “fuori come un balcone” ma la sua bizzarria suscita simpatia. Quando ha finito il caffè, una tazza di lava incandescente ingollata d'un fiato, come Tom Cruise in “Mission Impossible” si lancia verso l'uscita annunciando: «forse riesco a prendere il prossimo volo, al volo!».
Riflettevo, allora, sulla sua strana malattia, su questo ossessivo bisogno di “andare” e su queste sue straordinarie “partenze mancate”.
Ecco che mi è venuta in mente una frase di Goethe: «In ogni separazione, c'è un germe latente di follia». Gli antichi ne erano consapevoli, poiché in ogni viaggio, non vi era la certezza del ritorno e ogni viaggiatore si trasformava in eroe, o in tragica figura. Ma dal momento che il nostro Mister X è inchiodato ancora qui, incapace di separarsi dai luoghi, stando alla teoria del poeta tedesco dovremmo considerarlo perfettamente assennato.
Allora, capovolgendo il punto di vista, mi sono ricordata anche di una cosa scritta da Albert Camus: «Ciò che dà valore al viaggio è la paura. (...) È il fatto che, in un certo momento, siamo tanto lontani dal nostro paese, che siamo colti da una paura vaga e dal desiderio istintivo di tornare indietro. Questo è il più ovvio beneficio del viaggio, in quel momento siamo ansiosi, ma anche porosi, e anche un tocco lievissimo ci fa fremere fino nelle profondità dell'essere». Viaggiatori di questo calibro, purtroppo, sono razza estinta. O quasi. Ed è per questo che mi piace pensare che quello di Mister X non sia un tentativo di partenza, ma di ritorno.
E' possibile che questo turista in visita nella nostra realtà, da fin troppo tempo sia nel bel mezzo della sua odissea, iniziata chissà quando e chissà da dove. E durante questa avventura potrebbe aver visto tante e tali nefandezze, corruzioni, intimidazioni, violenze, processi farsa e “partiti di Dio”, da esaurire la sua capacità di sopportazione e la giusta dose di pazzia nel bagaglio. Ed è rimasto così, con pochi spicci in tasca e il marsupio pieno di lucidità.
Non resta che domandarci, a questo punto, dove stia davvero il germe di follia accennato da Goethe: in noi che aspettiamo un aereo per sculettare in bikini con un mojito in mano, o in Mister X, che oppone ogni giorno un rifiuto, aspettando un volo che lo riconduca verso la casa del senno, sulla luna.
Io mi gioco tutto su Mister X, poiché il vero viaggio è come una “scienza più grande e grave”, che ci riporta a noi stessi.
E ogni mattina al bar guardo la porta. Nella speranza di non vederlo entrare più.
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