Mercoledi, 25/08/2010 - La mani di una bambina dovrebbero conoscere la consistenza di un giocattolo, sentire il vento tra le dita mentre si corre a perdifiato giocando all’aria aperta, o essere racchiuse nella mano protettiva di un genitore, finché non imparino, nel tempo, a saggiare la consistenza del mondo.
Non dovrebbero conoscere l’impugnatura degli strumenti da lavoro, in casa e nei campi, né sapere come preparare una cena per un marito, già, un marito, perché in Afghanistan, e non solo, le bambine si sposano a soli 10 anni.
È per cercare di porre rimedio, o quantomeno di arginare, tutto ciò che, nel 2005, è nata ad Herat, Afghanistan, una casa rifugio per bambine/donne dai 10 ai 30 anni. Suraya Pakzad è la fondatrice del centro e direttrice della Voice of Women Organization, una ong creata nel 1998 con lo scopo di tutelare i diritti delle donne in Afghanistan. La casa è ulteriormente sostenuta dalle truppe italiane del 1mo Reggimento Artiglieria da Montagna della Brigata Alpina Taurinense che vengono qui periodicamente a portare sacchi di cibo e tanti giocattoli.
Il centro accoglie le bambine che riescono a scappare dai mariti e si occupa anche dei loro divorzi, poiché, secondo la legge, i mariti avrebbero il diritto di riprendersele e di ricominciare a rubare altre gocce della loro preziosa infanzia. Questo furto avviene in maniera costante, quotidiana, e lascia tracce invisibili e tracce evidenti, come nel caso di Nafisa, 15 anni, che è stata scambiata a 10 anni per pecore e mucche, venduta come schiava, non come sposa. Le sue mani hanno lavorato per fare mattoni di fango, per cucinare e per lavorare nei campi ed ora sono talmente forti, nodose, che sembrano quasi non appartenerle, non essere mani di una giovane donna di 15 anni.
Il centro lavora per casi come questi, per restituire a ragazze come Nafisa la dignità, l’orgoglio di essere donna, senza dover più nascondere delle mani che non dovrebbero essere le sue.
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