Narrativa - Ha vinto Simona Lo Cascio, diciottenne, di Termini Imerese, con il racconto 23 secondi
Mirella Mascellino Lunedi, 24/01/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2011
Dal 2004 l'Associazione Progetto Mistretta, il giornale Il centro storico, l'Assessorato ai Beni Culturali della provincia Regionale di Messina e il Comune di Mistretta organizzano il premio letterario Maria Messina, un racconto per il centro storico, riservato alla narrativa. La scrittrice verista, non ha conosciuto, in vita, la fortuna che meritava. Vissuta in un periodo storico difficile, affetta da sclerosi multipla, ebbe tuttavia uno sguardo ampio, laico e indipendente sulla letteratura dell'epoca. Pubblicò a puntate su la Nuova Antologia quello che divenne La casa nel vicolo, per Treves, ristampato dalla Sellerio, grazie a Leonardo Sciascia a cui si deve la riscoperta. Nata nel 1887 a Palermo si spostò dalla Sicilia all'Italia, per via del lavoro del padre, Ispettore scolastico. Si stabilì a Pistoia, dove morì nel 1944. Pubblicò per editori autorevoli, fu recensita da Giuseppe Antonio Borgese e da Ada Negri. Fu ritenuta, da certa critica maschile, tra quelle che costituivano il cosiddetto pericolo roseo per la letteratura. Le scrittrici avanzavano nella Nuova Antologia e facevano paura al maschio che le voleva relegate al ruolo di madri e mogli. Mantenne un carteggio con Giovanni Verga, da lei chiamato il grande catanese, che ne incoraggiò la scrittura. Nel quinquennio trascorso a Mistretta, nel Parco dei Nebrodi, scrisse e ambientò alcune novelle, inserite nelle raccolte Pettini fini e Piccoli gorghi. Ad ottobre 2010 si è svolta la VII edizione del Premio. La sezione scuola ha premiato la studentessa Simona Lo Cascio*, diciottenne, di Termini Imerese, con il racconto 23 secondi (pubblicato qui di seguito), gli attimi che hanno cambiato L'Aquila. L'esperienza vissuta dalla giovane volontaria scout Agesci in una tendopoli diventa simbolo di speranza e amore passando dal dolore profondo di chi ha perso tutto. Altri premiati: Graziana Allegra, Roberto Terminelli, Lilli Blanco, Angela Mancuso, Francesco Cannatella e Luna Naytinghel. Premio speciale a Giuseppina Torregrossa.
* Motivazione per il racconto 23 secondi di Simona Lo Cascio, Prima classificata giovani:
Il racconto è ispirato a un'esperienza vissuta. La protagonista è stata realmente a L'Aquila. Scene plausibili e fatti veritieri caratterizzano la prosa, costruita con un buon italiano, che non fa mai ricorso ad eccessi, né a ricercatezze. Colpisce la sincerità del tratto che fa trasparire la ricchezza interiore della protagonista, che ha sperimentato un'intensa esperienza di solidarietà.
23 Secondi - di Simona Lo Cascio
Osservo attentamente il mare dal finestrino del treno in movimento, e guardo le infinite varietà di colori con cui il Sole si diverte a giocare. Scende lentamente e sembra che si immerga nell’orizzonte per poi non ritornare più. Il treno viaggia, e porta con sé i miei pensieri e i miei ricordi che si affollano mentre osservo questo meraviglioso tramonto.
Finalmente si ritorna a casa, dalla mia famiglia, i miei amici, la mia casa. Il pensiero che adesso tornerò alla mia vita di sempre mi rende serena, ma c’è qualcosa che invece mi impedisce di esserlo pienamente, non so come ma ho i loro volti impressi nella mia mente e non vogliono andarsene via, o forse non voglio farli andare. Sono i volti di tutte le persone che ho conosciuto, di quelli con cui ho condiviso tutto, ed i loro occhi non smettono di fissarmi. Troppe volte ho pensato alla fortuna che ho di poter ritornare tra i miei affetti e so bene che per loro non è così, perché la loro vita è insicurezza e paura di perdere ancora, da un momento all’altro, ciò che di più caro è rimasto loro. Nessuna certezza, nessun punto di riferimento, il loro sguardo si perde spesso nel vuoto, sognando una vita normale e sperando di riavere quella normalità che prima apparteneva loro.
Questi ultimi dieci giorni sono stati abbastanza pesanti, non ho mai lavorato così tanto, e soprattutto non l’ho mai fatto così spontaneamente per gli altri, senza ricevere nulla in cambio: può sembrare strano ma mi bastava solo veder spuntare un minimo accenno di sorriso sui loro volti.
Uno in particolare mi ha colpito, non dimenticherò più il sorrisino sdentato di chi mi ha accolto al mio arrivo, e neanche ciò che indossava: un costumino a pantaloncino blu da maschietto. Solo dopo ho scoperto fosse una bambina, una dolcissima bambina di 6 anni con due occhi enormi da cerbiatto che mi seguivano ovunque. Mi immergo in quel ricordo, esattamente dieci giorni fa.
-“Vieni a giocare con me?”
La vedo davanti a me, o meglio sempre dietro di me, non mi molla per un attimo, chiede sempre la mia mano, vuole giocare, non si stanca mai e mi abbraccia e mi stringe come se mi conoscesse da tempo, come se non volesse più lasciarmi andare. Io in realtà non la conosco, non so niente di lei, solo il suo nome: Alessia.
E’ la bambina più strana che abbia mai incontrato, i capelli corti biondi e i suoi pantaloni grandi la fanno sembrare davvero un maschietto e più volte qualcuno l’ha chiamata inavvertitamente:” bel bambino”, ma lei non se la prende perché non è come le altre, non si arrabbia mai, non fa i capricci, non piange, al contrario ha sempre voglia di giocare, ma anche di seguirmi e di stare pazientemente a guardarmi lavorare. Non so davvero come faccia, di solito quando si è piccoli si vuole ottenere sempre tutto e subito, ma non lei. Non avevo mai visto una bambina che non reagisce ai dispetti degli altri bambini, forse è per questo che preferisce stare con quelli più grandi di lei, ma non si lamenta mai, anzi, mostra sempre quel suo sorrisino che inevitabilmente trasmette allegria a chi lo guarda. Il suo vero e unico amore è la sua cara sorellina di appena 5 mesi che abbraccia, coccola e stritola ogni volta che la vede. Si sente responsabile di lei, sa che deve darle l’esempio ed è per questo che le parla tanto. Sente tanto la mancanza del cuginetto, ormai scomparso, e ogni volta che le chiedo qualcosa di lui, prontamente mi risponde: “Non sono triste, lo so che e’ lassù che mi guarda!”
Giro e rigiro tra le mani il suo braccialetto colorato, quello che mi ha donato il giorno prima che partissi, il giorno più triste, ma neanche una lacrima è scesa dal suo visino. Non doveva piangere perché: “solo i bambini piangono” e lei invece “è grande”, anche se ha le sembianze di una bambina. Le mie lacrime, invece, da vera bambina, non si sono arrestate, nonostante il suo sorriso mi abbia accompagnato fino ai saluti.
Sta per calare la sera ed una lieve pioggerellina picchia sui vetri del treno. Osservo le goccioline che scivolano, ad un tratto un lampo improvviso le illumina e poco dopo un tuono fragoroso.
Proprio come quel tuono che sentii una delle tante sere trascorse in compagnia. Ed è proprio tra le allegre chiacchiere di chi si riunisce a fine giornata che si sentì forte un urlo. E’ come se lo sentissi ancora nella mia mente. Ricordo che mi girai spaventata non capendo da chi provenisse. Poi in un angolo la vidi, tremante e in singhiozzi la piccola Giorgia. “Piccola” per così dire, poiché a tredici anni non si è più tanto piccoli. Si è già grandi per capire certe cose, e forse è per questo che la trovai in lacrime: aveva percepito il pericolo e la paura proprio come quella notte. Il ricordo di quel boato simile al tuono che aveva appena sentito, le faceva ritornare in mente l’angoscia che già da due mesi cercava di nascondere.
“Aiuto”- gridava -“ Il terremoto!”
Corsi verso di lei, rassicurandola in un abbraccio, le sue lacrime bagnavano la mia maglietta, e io non sapendo cosa dirle le accarezzai dolcemente i capelli e le sussurrai:
“Non c’è nessun terremoto, Giorgia, è solo un tuono, sta tranquilla.”
Lei non smetteva e continuando a piangere mi disse:
“Non è vero, è il terremoto, il rumore è lo stesso!”
“Guarda fuori, sta piovendo a dirotto, è solo un temporale, vedrai che adesso smette.”
Solo allora mi guardò e rispose:
“Ogni volta che c’è un temporale c’è un terremoto, ed io ho paura”.
Ero davvero incredula:
“Questo non è vero! Ma chi ti dice queste cose?”
“Asef me lo ha detto, dice che ogni volta che si sente un tuono subito dopo c’è una scossa fortissima.”
Adesso mi era tutto più chiaro:
”E tu come al solito gli dai retta. Non capisci che lo dice per farti spaventare, stupidina?”
Asciugai le sue lacrime e finalmente la vidi tranquillizzarsi. La sua reazione mi aveva intenerito a tal punto che le stampai un bacio sulla fronte, senza nemmeno pensarci. Poi la aiutai a rialzarsi e come se non fosse successo niente ritornò la dolce e spensierata Giorgia di prima, quella sorridente che non litigava con nessuno, neanche con Asef, il dispettoso bambino albanese che si divertiva a urlare parolacce e a spaventare gli altri ragazzi. Accettava anche i dispetti perché d’altronde si era abituata, aveva imparato a conviverci, la mamma le aveva spiegato che doveva accettare tutti lì, anche chi era diverso da lei, perché vivevano tutti insieme adesso e dovevano imparare a rispettarsi.
Una signora bussa alla porta dello scompartimento e subito ritorno alla realtà.
“Posso?”
“Si, prego.” le rispondo con gentilezza.
“ L’altro vagone è pieno, non disturbo vero?”
Con un sorriso le dico di no. La signora sconosciuta sistema la sua valigia con delicatezza. E’ molto elegante, quasi raffinata, non sembra neanche tanto anziana. Si sente un po’ in imbarazzo a condividere lo spazio con qualcuno che non conosce. Ha qualcosa di familiare, non tanto l’aspetto, ma il suo atteggiamento, il suo sentirsi fuori luogo mi fa ricordare qualcuno, assomiglia proprio alla signora Anna: una tipa davvero strana.
Ho un immagine impressa di lei sempre vestita per bene, mai un capello fuori posto, aveva un’aria altezzosa e quasi di sfida. Al campo nessuno poteva sopportarla e tutti non ne potevano più delle sue continue lamentele, per non parlare delle sue risposte sempre poco gentili, anche con chi, invece, si dimostrava molto disponibile nei suoi confronti. Il suo comportamento l’aveva portata ad isolarsi completamente, durante il giorno non la si vedeva mai in giro, e quelle poche volte era sempre scontrosa ed irascibile. Litigava persino con i bambini, li sgridava soltanto perché ridevano troppo forte e sembrava proprio una di loro quando per rabbia nascondeva loro i giocattoli. Il motivo di quest’atteggiamento sembrava inspiegabile, poi però, un giorno tentai ad avvicinarmi a lei, con la scusa di portarle un bel tè fresco e, non so bene come, cominciò a parlarmi e a raccontarmi tutto di sé senza averglielo chiesto:
“Lo prendevo spesso il tè a casa mia, mi piaceva berlo fresco all’ombra della mia terrazza, quella piena di piante di tutti i tipi che ogni mattina innaffiavo e curavo, e il profumo dei miei gelsomini, poi, lo adoravo quando si sentiva per tutta la casa. Qui invece non c’è niente, solo questa terra orribile che si infila ovunque e ti fa sentire sporca. Il tè non è nemmeno buono, non sanno farlo. So che anziché lamentarmi dovrei ringraziare il cielo perché sono viva e ho un posto dove stare, ma non ci riesco. Non mi trovo bene qui, non mi piace niente e tutti sono antipatici. Dove abitavo io, invece, era un bel quartiere, molto curato. Ogni sera mi piaceva uscire per una serata al teatro con le mie vicine o a vedere un film.
Avevo i miei spazi, le mie amiche e anche la mia famiglia, se volevo rimanere a casa a dormire potevo farlo e nessuno me lo vietava. Qui manca tutto, questi bambini pestiferi non hanno il senso del rispetto e la notte non riesco nemmeno a dormire. Come faccio a vivere come se niente fosse se non posso nemmeno vedere i miei di figli? Questo posto non fa per me, non sono abituata a questo. Qui tutti fanno finta di niente e io non lo sopporto. Continuano a ripetere alla signora Giovina che la sua casa è perfetta e che potrà ritornarci presto, ma tutti sanno anche che non è così perché è ridotta ad un cumulo di macerie. Però si conoscono qui e ogni mattina si salutano, scambiano due chiacchiere, io invece è come se non esistessi. Non conosco questa gente e so che loro non vogliono conoscere me. In questa situazione, per la prima volta, mi sto accorgendo che tutti i soldi, gli agi, le comodità che avevo e che mi ero creata nel mio piccolo mondo in cui esistevo solo io, adesso mi servono a ben poco. Anzi se potessi tornare indietro cercherei di aprire gli occhi e guardarmi intorno perché ci sono anche altri che vivono in condizioni peggiori delle mie, non esisto soltanto io, anche se qui sembra proprio di si.”
Così dicendo cominciò a piangere, come solo un una donna stanca poteva fare, e non osava guardarmi negli occhi, per timore di essere giudicata. Tutti dicevano fosse “un’anziana superficiale”, ma quel giorno vidi una profonda solitudine in lei ed una fragilità che non avrei mai immaginato.
Affacciata al finestrino del treno sento sbattere il vento sul mio viso e asciugare le mie lacrime che invano ho cercato di trattenere, adesso le lascio scorrere così come i miei pensieri.
“Ti senti bene tesoro?” la signora adesso mi fissa con occhi sospetti.
“Si, grazie, tutto bene, non si preoccupi”
Non è vero, non c’è niente che va bene. Sento salire la rabbia per una tragedia che ha distrutto tutto in soli 23 secondi. Già perché 23 secondi sono pochissimi, ma 23 secondi di terremoto sono anche un‘eternità per chi in quegli attimi vede tutta la vita scorrere davanti a sé, insieme ai ricordi che non si riescono ad afferrare perché vanno via come il tempo.
Quei 23 secondi che spezzano sogni, uccidono e seppelliscono, spargono sangue e lacrime e svuotano di tutto. In un attimo riesco a capire le famiglie che si trovano senza niente, solo un enorme peso su di loro: quello di ricominciare a vivere, ed è un peso addosso simile a quello dei calcinacci, dei muri, delle macerie che si sono abbattuti e schiacciando hanno lasciato lì centinaia di sfollati tra la vita e la morte, tra l’oblio e la speranza. Forse solo in questi momenti ci si rende conto delle cose realmente importanti della vita, ed io con quest’esperienza le ho capite: la speranza è una di queste.
“Come mai ritorni da L’Aquila? C’è una situazione così brutta lì?” la signora aveva sbirciato il mio biglietto, che curiosa!
“Si, ho fatto volontariato presso una tendopoli.”
“Sarà stato sicuramente difficile. E cosa farai adesso?”
Guardando il cielo tornato nuovamente sereno e libero da ogni nuvola le rispondo:
“Non lo so ancora, intanto torno a casa!”
E dicendolo capii veramente la fortuna che avevo nel poterlo dire.
Lascia un Commento