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Precarie over 50 e pensioni da fame

Precarie over 50 e pensioni da fame

D COME DIFFERENTI / 2 - Care Susanna Camusso, Elsa Fornero, Emma Marcegaglia, lo sapete che alle tante mamme lavoratrici precarie over 50 “spetteranno” pensioni da fame?

Scarsi Paola Lunedi, 12/03/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2012

“Amano lavorare, ma preferiscono lasciare il posto di lavoro per badare alla famiglia. Tra i motivi di abbandono del posto di lavoro da parte delle donne al primo posto, per il 40% c'è la volontà di curare la famiglia. E ancora: nelle donne tra i 25 e i 45 anni, dopo la nascita di un bambino il tasso di occupazione femminile passa bruscamente dal 63% al 50%, e crolla ulteriormente dopo la nascita del secondo”. Questi sono alcuni dei dati presentati dal Cnel (Roma, 2 febbraio 2012) in occasione degli Stati Generali sul Lavoro delle donne.

E tutte le donne che non fanno una scelta drastica – o il lavoro o la famiglia – e cercano di mediare come ho fatto io e come me migliaia di altre donne?

Mi presento: 54 anni, separata, due figli. Ho sempre lavorato: dai lavoretti pagati mille lire l’ora brevi manu all’approdo a ciò che pomposamente viene definita libera professione, ovvero Partita IVA “suggerita” dai datori di lavoro che si sono succeduti nel tempo, prestazioni occasionali (negli anni in cui non erano previsti contributi previdenziali), co.co.co., co.co.pro. In una parola: precaria. Diventare madre per me non ha significato essere una mera fattrice disposta a far crescere i miei figli dai nonni vivendo con l’occhio fisso sull’orologio. Non ha fatto figli “per far piacere a Dio”, ma (anche) per piacere mio, per godere della gioia di essere madre pronta ad assumerne il ruolo con tutta la responsabilità necessaria.

Di conseguenza ho ritenuto non solo un diritto ma anche un dovere non rinunciare ad assistere alle recite natalizie quando erano all’asilo, partecipare alle feste di fine anno scolastico, giocare con loro, fare merenda insieme, preparare una torta, cucire il vestito di Carnevale, ma anche educarli, insegnare a leggere con discernimento un giornale, spiegare i principi dell’etica, aiutarli a distinguere i programmi televisivi, dare loro educazione civica ed educazione sessuale, tante cose peraltro non previste da alcun programma scolastico. Non ho mai fatto i compiti con loro - ed è stata una mia precisa scelta per la loro autonomia - ma li ho seguiti con occhio vigile ed ho voluto essergli accanto in caso di febbre o - come accaduto – di piccoli interventi.

Perché non è affatto vero che nella crescita dei figli conta la qualità del tempo: anche la quantità gioca un ruolo essenziale. Ed è profondamente ingiusto che le donne lavoratrici con il posto fisso siano piene di sensi di colpa perche non riescono a stare con i figli quanto vorrebbero.

Insieme a questo essere mamma a “tempo quasi pieno” ho voluto e dovuto non abbandonare il mondo del lavoro per contribuire quando e quanto possibile al bilancio familiare. Mi sono ammazzata di fatica per far convivere i due ruoli. Libro e film “Ma come fa a fare tutto?” ne sono stati una simpatica parodia che ha solo sfiorato impegno e problemi delle donne che hanno fatto la mia scelta.

E ora? In quanto lavoratrice seppure a mezzo servizio non ho avuto diritto ad assegni in fase di separazione. Confidavo almeno nella futura (futurissima?) pensione. Che assurda speranza. Ad oggi, con circa 23 anni di contributi nelle gestioni separate, riuscirò a raggranellare più o meno 5000 euro lordi all’anno, che saliranno di qualche migliaio se continuerò a versare i contributi come previsto dalla legge per quasi altri 20 anni. Ne è valsa e ne vale la pena? Non mi converrebbe spendere quei soldi in profumi e balocchi? O impegnarli in altra maniera?

Care Susanna Camusso, Elsa Fornero, Emma Marcegaglia, non ritenete che mi dovrebbe essere in qualche modo riconosciuto e compensato l’impegno profuso per far crescere dei cittadini supplendo alle carenze del welfare e dei programmi educativi o scolastici?

Dovrò invece morire lavorando? Io sono davvero stufa di essere penalizzata. Per concludere una battuta (che quando si andrà in stampa sarà ormai stantia) nei confronti del Presidente del Consiglio Mario Monti e della sua affermazione “Posto fisso che monotonia”. Ha ragione: io ho fatto molti lavori diversi tra loro e molti mi hanno dato tanta soddisfazione, ma non nessuna tutela.





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