A tutto schermo - Torna Ken Loach con un film sulle donne, il lavoro, gli stranieri
Colla Elisabetta Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2007
Dopo alcune interessanti divagazioni cinematografiche dai suoi contesti preferiti, torna il Ken Loach che più ci piace, con l’aspro e complesso ‘In questo mondo libero’ (It’s a free world…), nell’inconfondibile cifra ruvida e poetica che da sempre caratterizza il regista nel mondo del cinema per l’impegno civile e sociale delle sue opere, rivolte al mondo del lavoro e della disoccupazione, ai problemi degli immigrati, delle donne, dei deboli e degli emarginati, agli ambienti degradati del vasto hinterland della società anglosassone. Il regista più a sinistra del Regno Unito (si può ancora usare questa espressione? “in un mondo libero” si dovrebbe…), noto ed amato per film-cult quali ‘Riff-Raff’, ‘La canzone di Carla’, ‘Bread and Roses’, ‘Terra e Libertà’, ‘Paul, Mick e gli altri’, descrive oggi i gravi problemi del mercato lavorativo del suo paese (sfruttamento del lavoro nero, disperate condizioni degli immigrati senza permesso di soggiorno, lavoro interinale e precariato) e lo fa attraverso la storia personale di una donna energica ed in cerca di riscatto, Angie. E non a caso Loach sceglie una donna come protagonista di questo film: licenziata dall’agenzia di collocamento dove lavora per non voler sottostare alle molestie dei suoi superiori, Angie, ragazza madre con un difficile passato alle spalle, decide di aprire una propria agenzia con l’aiuto di Rose, un’amica esperta di navigazione in Internet. Le due amiche reclutano stranieri disperati (spesso senza casa, oltre che senza documenti né lavoro) e li inserisce, dietro compenso, presso fabbriche o piccole imprese, con retribuzioni inferiori a quelle del mercato. Tutto sembra funzionare, sia pur nella difficoltà quotidiana di gestire fondi e personale, finché qualcosa andrà storto ed Angie, per mantenere fermi i suoi obiettivi esistenziali, dovrà vedersela con compromessi imprevisti e durissimi, che lacereranno rapporti e senso etico, segnandola profondamente. “Angie è il prodotto della controrivoluzione thatcheriana - afferma il regista - che ha posto l’accento sugli affari e sulle capacità imprenditoriali ed ha premiato l’atteggiamento in cui ci si fa strada e si cerca di avere successo sgomitando. E’ una donna accattivante, ma non la classica buona amica. E questo si capisce dal modo in cui la trattano gli uomini”. Vincitrice del premio Osella, la sceneggiatura originale è opera del fedele braccio destro di Loach, Paul Laverty: i caratteri dei protagonisti, in particolare delle due donne, sono descritti con abili sfaccettature. Non ci sono facili etichette di buoni e cattivi da attribuire, sembra dire il regista, ma piuttosto la critica è per la società capitalista ed i suoi scellerati bisogni-consumi, che determinano situazioni di guerra fra poveri estremamente complesse, frutto di profonde e ciniche speculazioni economiche di tipo neo-liberista, riducendo le persone a cieca forza lavoro, da sfruttare a fondo senza scrupoli, bandendo ogni autentico intento d’integrazione e solidarietà. “La cosa che ci interessava di più - aggiunge il regista - è sfidare la convinzione secondo cui la spregiudicatezza imprenditoriale è l’unico modo in cui la società può progredire, l’idea che tutto sia merce di scambio, che l’economia debba essere pura competizione, totalmente orientata al marketing e che questo è il modo in cui dovremmo vivere, ricorrendo allo sfruttamento e producendo mostri.”. Nonostante qualche sbavatura nello script, tutto viene facilmente perdonato a questo bel film a fronte del messaggio di forte impatto ed alla coraggiosa scelta di un argomento oltremodo scottante. Bravissime le due attrici, Kierston Wareing, nel ruolo di Angie, donna libera, vissuta e disposta a tutto per uscire dalla miseria e dall’anonimato, e Juliet Ellis, nel ruolo di Rose, l’amica posata e riflessiva. Intorno a loro si agita un mondo variegato di immigrati pakistani, polacchi, indiani, iraniani in cerca di una vita migliore: nella periferia londinese come nel mondo intero.
BOX
Festival Internazionale di Cinema e Donne
Si è conclusa a Firenze la 29a edizione del ‘Festival Internazionale di Cinema e Donne’, organizzato dal laboratorio Immagine Donna. E’ stato conferito il riconoscimento “Sigillo della pace” a due cineaste impegnate: Liana Badr (Palestina), per il documentario Le porte sono aperte. Qualche volta!, sul tema delle violazioni di diritti umani in Palestina e del muro eretto nei territori occupati, che divide le famiglie dai propri cari, i bambini dalle scuole, i contadini dai campi, e Djamila Saharaoui (Algeria), per il film Bakarat (Basta!) che, mettendo a confronto diverse generazioni, evidenzia la capacità combattiva e di resistenza che le donne in ogni circostanza della storia.
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