POSITION PAPER / 1. Sviluppo inclusivo, crescita condivisa e lavoro dignitoso. Il cambiamento che vo
Un approfondimento del documento “Il cambiamento che vogliamo. Proposte femministe a 25 anni da Pechino” (pubblicato il 9 luglio)
Lunedi, 27/07/2020 - 1. Sviluppo inclusivo, crescita condivisa e lavoro dignitoso. Il cambiamento che vogliamo
“Il futuro passa dai nidi” titolava domenica 26 agosto il proprio editoriale su la Repubblica Linda Laura Sabatini, dirigente ISTAT e tra le promotrici in Italia delle statistiche di genere, un modo per leggere la società disaggregando sistematicamente i dati per sesso e inserendo nelle indagini statistiche aspetti della vita – quali le ore spese per il lavoro di cura – che fotografano plasticamente aspetti della vita delle donne che la politica si ostina a non considerare, lasciando invariato il divario di genere, o gender gap, al di là degli occasionali proclami in chiave 8 marzo.
“Sessanta per cento di bimbi al nido nei prossimi 5 anni. O ora o mai più”, chiede Sabbadini.“È un obiettivo necessario. E dobbiamo perseguirlo adesso quando arriveranno i fondi per la ripartenza. Crescerebbe l’occupazione femminile di più di 100 mila unità solo per la cura e l’educazione dei bimbi, senza considerare l’effetto che si otterrebbe nella diminuzione del tasso di interruzione del lavoro da parte delle donne e dell’incentivo all’ingresso nel mercato del lavoro”.
E proprio con una affermazione lapidaria e difficilmente contestabile si apre il primo capitolo del Position Paper “Il cambiamento che vogliamo. Proposte femministe a 25 anni da Pechino”, dedicato a Sviluppo inclusivo, crescita condivisa e lavoro dignitoso: “In Italia la situazione del mercato del lavoro per le donne è estremamente critica”. Lo era fin dalla crisi del 2008, i cui effetti a 12 anni di distanza non sono stati ancora recuperati. Lo è tanto più oggi, con la pandemia che continua a mietere vittime costringendo interi paesi – mercati di riferimento anche per l’Italia – al lockdown e comprimendo drasticamente i consumi, al punto tale che per la prima volta la Banca d’Italia nota una nuova propensione al risparmio delle famiglie.
Il Position Paper utilizza i dati ISTAT per individuare i nodi chiave sui quali intervenire avviare un cambiamento che le donne, le femministe, non hanno mai smesso di chiedere a gran voce: “Sono oggi ancor più evidenti i problemi strutturali che affliggono da sempre il lavoro femminile il cui tasso di occupazione sfiora il 50%, mentre il tasso medio dei paesi UE è 64,3%, e con forti differenze territoriali: al Nord tassi di occupazione anche al di sopra del 70% mentre al Sud sfiorano il 30% (ISTAT 2019). Nella popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni è occupato solo il 31,3% di coloro che soffrono di gravi limitazioni (26,7% tra le donne, 36,3% tra gli uomini) contro il 57,8% delle persone del resto della popolazione (Istat 2019)”.
È un mercato del lavoro “bloccato”, scrivono le esperte, “strozzato da diversi fattori di disuguaglianza sociali e discriminazione di genere non risolti da politiche parziali e frammentarie sul piano legislativo, non supportate da investimenti sufficienti”, perché le politiche pubbliche hanno sempre considerato “il lavoro per il mercato delle donne complementare a quello maschile”, ovvero“marginalenell’economia del Paese”.
“Questa impostazione va cambiata”, afferma il Position Paper. Come?
Innanzitutto passando attraverso “una rivisitazione degli assetti organizzativi, non vincolati alla presenza” – ovvero al numero di ore, ordinarie e straordinarie, passate sul posto di lavoro –“ma alla capacità di sapersi adattare a nuove esigenze e condizioni”, cosa nella quale le donne d’altronde sono maestre da sempre e che il mercato aveva già capito benissimo: basta dare un’occhiata a I racconti del lavoro invisibile, progetto multidisciplinare realizzato nel 2015 alla Casa internazionale delle donne di Roma, che indagava “in chiave crossmediale le trasformazioni del lavoro contemporaneo a partire dalle donne, dalla natura gratuita, flessibile, affettiva e relazionale del loro operare: dimensioni di cura trasformate in pratiche produttive che hanno riformulato l’intera struttura del mondo del lavoro, coinvolgendo allo stesso tempo donne e uomini”.
Il problema principale restano “gli stereotipi sessisti che continuano a essere l’ostacolo principale alla valorizzazione delle competenze delle donne che nella realtà sono attive in tutti i campi con risultati di eccellenza”, ha evidenziato nella conferenza stampa di lancio del Position Paper Stefania Pizzonia, presidente de Le Nove, associazione di ricercatrici che da sempre si occupa di tematiche legate all’occupazione femminile.
“L’investimento sulle donne potrebbe – secondo alcune stime dello stesso Ministero del lavoro – generare un incremento di 1 o 1,5 punti percentuali del PIL”, ha aggiunto Pizzonia, ma per questo occorre affrontare alla radice la spirale di bassi salari, precariato, part-time involontario, dimissioni volontarie dopo le gravidanze, che impedisce di valorizzare il contributo economico delle donne.
“C’è un divario percentuale di oltre 20 punti in meno fra il tasso di occupazione delle donne con figli/e – un quarto delle madri abbandona il lavoro per difficoltà sul luogo di lavoro, servizi carenti, impossibile conciliazione, ecc. – rispetto alle donne senza figli/e, il cui tasso di occupazione si avvicina a quello degli uomini”, sottolineano le esperte. La parola chiave per “affrontare questa asimmetria strutturale e culturale insieme, contrastando gli stereotipi che ne sono alla base” è condivisione. Occorre, cioè,“che legislazione e contrattazione collettiva passino da politiche di conciliazione a politiche di condivisione, in modo che gli uomini condividano il lavoro di cura non retribuito”, valorizzando in tal senso la contrattazione sindacale, che rimane “uno strumento decisivo per contrastare e ridurre le diseguaglianze di genere sul luogo di lavoro”.
Tra le azioni di sviluppo dell’occupazione femminile, in cui deve esserci il “coinvolgimento prioritario del ministero del Lavoro”, le promotrici del documento includono dunque una revisione generale in materia di congedi e sostegni, con un’estensione “universale dei diritti legati alla maternità”, l’aumento del congedo obbligatorio di paternità e il potenziamento di quelli facoltativi. E poi una revisione dei servizi per l’educazione e la cura dei minori, dedicati alle persone con disabilità e anziane “in un’ottica di quantità” e “soprattutto di flessibilità temporale e organizzativa”.
Le organizzazioni femminili chiedono, inoltre, come ha già fatto il GREVIO, Il Gruppo di esperte sulla violenza contro le donne del Consiglio d’Europa, nel suo Rapporto sull’applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia pubblicato a gennaio scorso, un maggiore impegno nella prevenzione e nel contrasto delle molestie sui luoghi di lavoro, ratificando la Convenzione Ilo n. 190.
Nell’ambito delle politiche attive del lavoro, per aumentare la presenza delle donne in tutti i livelli della gerarchia professionale e dell’organizzazione della produzione, come degli altri gruppi svantaggiati, si chiedono Piani di azione positiva, che vadano oltre il sistema delle quote, stabilendo obiettivi e scadenze e prevedendo misure specifiche, dalla formazione al mentoring, dai servizi di sostegno all’orario flessibili, potenziandone la diffusione e l’applicazione nel settore pubblico e favorendone l’adozione nel settore privato.
I Piani di azione positiva devono essere redatti a partire da linee guida elaborate dal ministero del Lavoro, in collaborazione con le parti sindacali e datoriali. Infine, l’attenzione delle esperte si è concentrata sul Comitato Nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici e sulle Consigliere di Parità “il cui ruolo negli ultimi anni è stato depotenziato”. Per questo la proposta è di dare incarico a un istituto indipendente di effettuare un’analisi valutativa del funzionamento e capire come il sistema dovrebbe essere riformato, come già previsto dalla Direttiva europea 2006/54CE3 e raccomandato anche dall’ultimo rapporto del CEDAW, il Comitato per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne delle Nazioni Unite.
Il Position Paper inoltre ricorda, come già il rapporto delle Donne per un nuovo rinascimento del Dipartimento pari opportunità, l’importanza di affrontare il Digital Gender Gap,perché “in Italia persiste un differenziale di circa 10 punti nell’uso di Internet da parte dei maschi rispetto alle femmine, dovuto sia ai percorsi scolastici che a quelli formativi successivi nella vita adulta”, con particolare riferimento al numero ancora limitato di donne che si formano nelle materie STEM, l’acronimo inglese che indica scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Al punto che, secondo il World Economic Forum “il rapporto tra lavori persi e nuovi lavori per gli uomini sarà di 5 a 1, per le donne di 20 a 1”, perché “il Digital Gender Gap avrà un effetto moltiplicatore rispetto al gender gap in termini di accesso e permanenza nel mercato del lavoro e accrescerà il divario retributivo”.
Un esito che le proposte del Position Paper “Il cambiamento che vogliamo. Proposte femministe a 25 anni da Pechino” intendono evitare a tutti i costi, senza mai dimenticare che, quando si parla di donne e lavoro in Italia, occorre tenere conto della composizione della forza lavoro femminile, che conta anche decine di migliaia di lavoratrici migranti. Imperativo dunque “andare oltre l’attuale legislazione sulle migrazioni per superare le specifiche condizioni di precarietà e invisibilità delle donne con background migratorio che le rende particolarmente soggette a forme di sfruttamento, discriminazione e violenza sui luoghi di lavoro”.
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