IL MEGLIO DI NOI/1 - Una china oligarchica e donne assenti in nome di una inesistente parità. Intervista a Lidia Menapace
Bartolini Tiziana Mercoledi, 28/12/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2012
Con Lidia Menapace, riferimento storico del femminismo italiano e figura solida del movimento pacifista oggi impegnata nell’ANCI, vogliamo leggere da un punto di vista di genere la realtà dei movimenti di opinione che in questi anni si sono via via organizzati su specifiche problematiche. Da quanto è accaduto in Veneto con il No Dal Molin alle valli piemontesi della NoTav, dalle mamme vulcaniche organizzate in Campania contro l’apertura di nuove discariche fino al possente movimento per l’acqua pubblica, che ha centrato l’obiettivo storico del quorum ai referendum nello scorso mese di giugno, cosa che non accadeva da diciassette anni, i movimenti di base sono accomunati da forti presenze di donne. Sono movimenti più o meno organizzati e che non sempre riescono a raggiungere gli obiettivi intorno ai quali si sono formati, ma che diventano interlocutori per la politica e per le istituzioni e i partiti. Talvolta si caratterizzano per rappresentare emblematicamente ‘l’antipolitica’, altre volte diventano autorevoli punti di riferimento per le competenze che coagulano e per la capacità di penetrazione nei territori. In ogni caso riescono ad essere pungolo per l’opinione pubblica, facendo leva sulle coscienze e sul livello di consapevolezza diffuso. In questi movimenti le donne sono presenti in modo significativo, se non addirittura predominante, ma uno specifico ‘femminile’ non emerge, non è rivendicato. È un silenzio che preoccupa e che, comunque, vogliamo indagare e cercare di comprendere.
Ecco, Lidia, prima di tutto parliamo dell'importanza di questi movimenti, che solitamente si organizzano per la difesa del territorio o dei cosiddetti beni comuni. Non sempre riescono ad incidere nelle scelte amministrative e politiche oppure, come è avvenuto per il movimento per l'acqua pubblica con i referemdum, ad un importante traguardo raggiunto non corrispondono, necessariamente, dei provvedimenti normativi adeguati nel medio e lungo periodo. In generale quale è la tua opinione?
In generale mi pare che gioverebbe avere un po’ più di conoscenza del significato istituzionale e dell’impatto possibile delle azioni che si fanno, evitando di scadere nella demagogia oppure di suscitare aspettative che, nella realtà, sono prive di fondamento normativo e democratico. Ad esempio, poiché il referendum è solo abrogativo, non può essere considerato una forma di democrazia diretta. L’unica forma di iniziativa popolare, diretta e concreta, è la legge di iniziativa popolare. Come fu per la legge sulla violenza sessuale: ci sono volute due legislature e la capacità di affrontare un percorso lungo e complicato sia sul piano della tenuta del movimento sia sul terreno delle competenze giuridiche e di tenuta dei rapporti politici. È necessario specificare bene questo aspetto dell’agire sulla scena pubblica perché sono tempi in cui l’antipolitica galoppante rischia di farci fare grandi errori non cogliendo l’essenza delle questioni in campo. Quello che mi pare emergere con questi movimenti è che siamo su una china che porta verso forme oligarchiche di gestione di grandi questioni, che sono aperte da vasti movimenti di base ma che poi - come in un collo di bottiglia - sono filtrati dalla possibilità e capacità di scelta di pochi soggetti. La democrazia autentica e la partecipazione con tutto questo ha poco a che vedere. Lo dico per spezzare una lancia verso chi si occupa di cose istituzionali, sempre molto complicate se bisogna tenere conto dei passaggi e dei bilanciamenti che la democrazia chiede. C’è un po’ di superficialità nel celebrare il coinvolgimento di questi movimenti e questo non gioca a loro favore, toglie loro il potenziale innovativo e desertifica la crescita sociale.
In queste aggregazioni ci sono tante donne, spesso ne sono le promotrici sulla base di un qualche problema concreto, su un diritto negato in quel momento e in quel luogo. Ma non abbiamo mai sentito queste donne, così impegnate ed essenziali per la crescita e l’affermazione dei vari movimenti, dire il loro esserci con uno specifico femminile. Perché, secondo te, non lo fanno? Forse non ne sentono il bisogno?
Intanto vorrei dire a queste donne che io sento il bisogno di sapere, se ci sono, chi sono, quante e perché sono nei movimenti. Sarebbe logico che tutte le notizie fossero date in forma di genere, con una chiave di lettura di genere. Credo di avere il diritto di saperlo. Può darsi che alle donne che sono dentro alle varie aggregazioni non interessi, ma a chi è fuori interessa. E queste donne dovrebbero avere questa attenzione. Inoltre non devono mai dimenticare che le elettrici sono due milioni più degli elettori. Hanno presente, queste donne, questo non trascurabile particolare? Il fatto che anche in questi movimenti il femminile, in quanto non nominato, sia negato non è un fatto nuovo. È sempre stato così, infatti chi ha scritto la storia non nominando le donne, ne ha negato l’esistenza. Penso, ad esempio, al ruolo determinante che hanno avuto le maestre ma che non è mai stato raccontato. La negazione è il primo passo verso una serie di altre negazioni. Allo studio, per esempio. E con la crisi in atto e con i tagli, le donne sono le prime a cui chiedere di farsi da parte…. c’è tanto da fare in famiglia per accudire bambini e anziani visto che non ci sono soldi per il welfare… Queste donne devono sapere che fino a quando siamo state analfabete siamo rimaste fuori dalla storia. Dopo tante lotte, oggi abbiamo sorpassato gli uomini nello studio e otteniamo risultati migliori. Senza lo strumento della cultura le donne ricadrebbero nell’oscurità.
Però, in fondo, queste donne lottano insieme agli uomini per migliorare le condizioni di vita nei loro territori o per questioni di principio che riguardano tutti e tutte, come ad esempio l’acqua pubblica. Forse è un modo ‘moderno’ di essere ‘femministe’. O no?
Proviamo a chiederci perché non si fanno i servizi. La mia risposta è che finché a decidere è il patriarcato e il capitalismo - che sono alleati - i servizi non ci saranno. È un elemento che sfugge loro, visto che non vedono la necessità di manifestarsi con una presenza sessuata e definita, diversa e non opposta a quella maschile. Se si sentono pari dentro ai movimenti, fanno un errore perché in realtà agiscono in una società che si muove dentro ad un’idea di dominio maschile che non può che annullarle come donne. Rinunciare a questa visione significa rinunciare a modificare i meccanismi di potere e, quindi, di equilibrio. Ma certo la presa di coscienza non si può imporre, avviene quando avviene. Dovrebbero conoscere e riconoscere un po’ la storia del movimento delle donne, per poi anche rifiutarlo, ma con cognizione di causa. Come si fa a dimenticare che fino al 1945 non avevamo diritto di voto e che è stata una concessione! La memoria è una grande arma: chiederei loro una difesa senza quartiere al diritto allo studio e alla conoscenza. Senza conoscenza non si può avere accesso alla cittadinanza, perché non se ne ha cognizione. Questo è lo strumento che ha consentito di fare i progressi che abbiamo fatto, ma senza memoria ogni generazione che si affaccia alla storia ricomincia tutto da capo.
Quale può essere l’effetto di un non riconoscimento dello specifico femminile nei movimenti?
Il rischio è quello di tornare indietro, alla fase emancipazionista. Puntare sulla parità senza vedere i necessari cambiamenti su un piano di processo complessivo è un limite che abbiamo già verificato e conosciuto. Non serve rivendicare solo pezzi di potere, occorre chiedere cambiamenti di sistema, altrimenti continueremo a correre nello stesso punto, pensando di fare un cammino che in realtà non si compie.
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