Non saprei dire se la poesia di Paola Oliva sia il frutto di una paziente limatura o se si posi sulla carta con la naturalezza e la limpidezza dell’acqua sorgiva. Vi è un che di immediato, una gettatezza che ricorda le orme sulla spiaggia lasciate da chi passeggia al tramonto: è questa la foto posta in copertina di “Orme dal cassetto” (Edizioni Associate, Roma 2010), un titolo che richiama una lunga gestazione, quella del cassetto, appunto, di chi ha il pudore e il riserbo nel dare alle stampe i propri versi. È la stessa Oliva ad avvisarci, nella nota di presentazione, che “ho dovuto usare tutta la mia forza di persuasione per convincerle a farsi leggere, ho dovuto penare veramente non poco. Alla fine però l’ho spuntata… ed ecco qua, il libro viene fuori dai tanti fogli sparsi e disordinati: orme di poesia impresse e rimaste in rilievo.” Non si tratta, tuttavia di un lavoro ‘disordinato’: il testo composto da due sillogi appaiate, “La ballata delle stagioni” e “Carpe diem” di 44 liriche ciascuna, risponde ad una logica precisa, scandita dal trascorre del tempo e delle stagioni della vita, dalle maturazioni dettate dall’esperienza e dalle lotte e convinzioni politiche, dalle occasioni colte, dall’amore. Se la prima silloge si sostanzia in un lungo poema nel quale le stagioni dell’anno sono metafora dello svolgersi dell’esistenza – secondo un topos ben noto in letteratura – la seconda raccolta scava nei sentimenti profondi della vita, cogliendone i diversi aspetti, giocando sugli accadimenti semplici, gli incontri con cose e persone, le incandescenze del quotidiano, di una passeggiata al tramonto, di un dono, una condivisione: “Vorrei ridere/ con tutte le bocche./ Piangere/ con tutti gli occhi./ Parlare/ in tutte le lingua./ Vorrei essere popolo/ di tutti i popoli/ di tutti/ i mondi/ e mi ritrovo gufo/ dalle migliaia di piume.”. Gli esiti migliori si trovano proprio quando Paola Oliva abbandona la riflessione alta per cogliere l’attimo, per registrare sulla carta l’accensione dell’occasione, quella di una passeggiata la parco, di una camminata di fronte al sole che cala, di una Roma seria e romantica capace di svelare un volto antico e sensuale: “Anche qui si fa sera,/ ed il sole imporpora le case./ Cammino sola/ tra queste strade,/ stupita da tanto/ silenzio,/ all’improvviso/ mi accorgo estasiata/ che anche qui/ è poesia.”. Si tratta di una poesia pura – se questo aggettivo avesse un qualche valore critico - semplice, sabianamente onesta in quanto corrisponde in maniera, che si percepisce veritiera fin dai primi versi, a un cuore gonfio di bellezza e voglia di vita, di armonia, di dialogo soprattutto con se stessi: “Nei miei volti/ i palpiti del sogno,/ nelle mie mani gli occhi/ dei miei mondi.”. Si perdonano, allora, a questi versi qualche ingenuità e sbavatura, quelle incrinature che nulla tolgono al merito di aver cercato senza compromessi “l’amplesso dell’anima”, per dirla con le parole della poetessa.
Il libro è impreziosito da alcuni scatti di Nilde Guiducci: immagini forti, giocate sui particolari, come una ciotola di semi di granoturco, un tralcio di vite, mani incatenate. Le linee di forza giocano con i ritmi tamburati dei testi, intrecciando percorsi, fili rossi da annodare e dipanare man mano che ci si addentra nel libro.
Paola Oliva è nata a Roma nel 1956. Dalla fine degli anni ‘70 ai primi anni ‘80 ha co-fondato e fatto parte del “Gruppo teatrale Pablo Neruda” (gruppo sciolto dal 1981) come attrice e autrice dei testi. Nel 1997 ha pubblicato la raccolta di versi dal titolo “Venus e dintorni”. Nel 2005, per le Edizioni Associate, è uscito “Tutto il possibile”. Nel 2009, sempre con le Edizioni Associate, ha pubblicato il saggio “Te recuerdo Pablo – viaggio sentimentale attorno ad un poeta: Pablo Neruda”.
Lascia un Commento