- Le tante canonizzazioni rischiano di “svalutare l’idea che i santi siano prima di tutto modelli per indicare alla gente comune come vivere una vita santa”
Stefania Friggeri Domenica, 28/12/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2015
Papa Roncalli non ha avuto fortuna da morto: beatificato nel 2000 insieme a Pio IX e santificato nel 2014 insieme a papa Wojtyla. Giovanni XXIII, infatti, non ha molto in comune con Pio IX, il pontefice che ha proclamato nel Sillabo l’infallibilità papale, ha tolto alla famiglia il piccolo Edgardo Mortara, ebreo battezzato da una domestica (“i diritti del Padre celeste vengono prima di quelli del padre terreno”), ha mandato a morte chi combatteva il “papa re”. Se leggiamo Pio IX nel contesto storico- culturale del suo tempo ne comprendiamo le motivazioni reazionarie ed oscurantiste, ma da qui a farlo santo ce ne corre. Né papa Roncalli ha molto in comune con papa Wojtyla, a partire dalla centralità del Vaticano che il Concilio aveva cominciato a ridimensionare a favore delle chiese locali la cui autonomia Wojtyla ha invece duramente repressa, insieme a tutte le forme di dissenso nei confronti della teologia romana. E questo spiega la censura o le dimissioni imposte negli anni a numerosi teologi da parte della Congregazione della Dottrina della fede retta da Ratzinger.
I più noti: padreZanotelli (direttore di Nigrizia, da cui alla fine si dimise), don Franzoni e Hans Kung (sostenitori del diritto al divorzio e all’aborto), Leonard Boff, padre Arrupe e padre Cardenal (sostenitori della Teologia della Liberazione) e tutti quei religiosi che portavano avanti una pastorale sociale di dialogo con le forze progressiste o marxiste; ha emarginato anche i religiosi che promuovevano la ricerca teologica dal basso e uno spirito “democratico” nella vita della Chiesa, che vuol dire discutere in modo libero ed aperto temi come l’omosessualità, la contraccezione, l’aborto. Sull’omosessualità, “inclinazione ... oggettivamente disordinata”, Wojtyla non solo ha condannato “la malizia intrinseca degli atti sessuali” (da cui discende che è “assolutamente sconsigliabile” l’ordinazione sacerdotale dei gay), ma nel 2000 ha fatto pressioni per impedire il World Gay Pride a Roma. Sulla contraccezione non ha mostrato alcun ripensamento e nel Rwanda devastato dall’Aids ha raccomandato la castità e la fedeltà coniugale per combattere l’infezione (d’accordo, ma erano necessarie altre misure, tipo il peccaminoso preservativo). Sull’aborto, “espressione della cultura della morte che pervade il mondo moderno”, Wojtyla si è espresso con parole ingiuriose mai udite prima, paragonando l’aborto nientemeno che alla Shoah. E se il papa polacco ha riconosciuto virtù e meriti alle donne, ha sempre riaffermato il divieto del sacerdozio femminile. “È vero che Gesù scelse dodici apostoli maschi".
Ma perché questo dato storico indiscutibile dovrebbe diventare il segno di un fatto naturale immutabile?…..Così si immobilizza la storia, come spesso ha fatto e continua a fare la Chiesa gerarchica…..il papa prende un pregiudizio storico e lo assume come prova di fatto che la natura va in una certa direzione, rafforzando il pregiudizio da cui era partito” (Vattimo). Durante il suo pontificato non sono mai stati denunciati al potere secolare i religiosi colpevoli di pedofilia, delitto ricondotto semplicemente al “misterium iniquitatis”, al mistero del male; vedi il caso di M. M. Degollado (pedofilo, affarista, dissoluto, puttaniere padre di 5 figli) che solo dopo l’ennesimo scandalo è stato allontanato dalla guida dei Legionari di Cristo, una delle più potenti cordate dell’apparato curiale da cui attingere potere e danaro. Così come da Comunione e Liberazione e dall’Opus Dei franchista, o dai responsabili dello IOR, nessuno dei quali ha pagato, neppure il cardinal Marcinkus, sottratto alla giustizia secolare dopo l’affare del Banco Ambrosiano.
La memoria di papa Roncalli dunque, abbinata a quella di Wojtila, promuove agli altari una figura controversa: il papa della “Pacem in terris” ha condannato l’aggressione all’Iraq, ma ha definito “giusta” la guerra alla Jugoslavia (oggi Bergoglio non vuole bombe neanche sull’Isis), il paese che, col riconoscimento della cattolica Croazia, il Vaticano ha contribuito a smembrare. E a liberare dal comunismo. Come in Polonia sovvenzionando Solidarnosc, o in Cile affacciandosi al balcone con Pinochet, o facendo avanzare il processo di beatificazione di Pio XII, il papa che per salvare l’Europa dal comunismo ateo, ha tenuto un atteggiamento ambiguo verso le dittature. Infatti molti fedeli si augurano venga fatto santo non Pio XII, percepito come simbolo dell’antisemitismo, ma Oscar Romero (giunto a Roma per denunciare a Wojtyla le violenze del governo militare, ma inutilmente) e criticano il “santificio” perché “le 1.338 beatificazioni e le 132 canonizzazioni (proclamate da Wojtyla) … sono più del doppio dell’insieme di quelle avvenute durante i pontificati degli ultimi quattro secoli” (H.Kung). Grazie anche al suo carisma che ha sedotto i fedeli e mass media, Wojtyla ha celebrato una religiosità dei santi, dei miracoli, delle apparizioni, insomma della devozione popolare assimilabile all’idolatria intrisa di superstizione. Con la sua proclamazione a santo insieme a Roncalli, la Chiesa con un “gesto astutamente equilibratore … ha dimostrato pubblicamente quanto la canonizzazione sia diventata un fatto politico che rischia di svalutare l’idea che i santi siano prima di tutto modelli per indicare alla gente comune come vivere una vita santa” (P.Vallely).
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