Dalla viva voce di - Il dire e il fare delle donne nella lotta alle mafie
Rosa Frammartino Lunedi, 13/09/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2010
Sono a Palermo, insieme agli studenti del liceo Tassoni di Modena e dell’istituto Magarotto di Roma, vincitori del Premio Libero Grassi 2010, per partecipare alle manifestazioni in ricordo della strage di Capaci. È una calda mattina di fine maggio. Davanti ad una fresca bibita analcolica, sul terrazzo della sua casa, comincia la mia conversazione con Pina Maisano Grassi.
Cosa significa per te accogliere i giovani alla fabbrica fondata da Libero?
Alla SIGMA NUOVA arrivano tanti giovani ed io li accolgo sempre con gioia. E’ il mio modo di testimoniare che non ci siamo arresi, che lottare contro la mafia si deve e che vincere e ricominciare si può. Con l’indennizzo ricevuto dallo Stato come famiglia colpita dalla mafia, mio figlio Davide ha ridato vita alla fabbrica e mia figlia Alice, architetto progettista, ha creato una società di servizi e commercio.
Quando Libero Grassi diventa una minaccia per la mafia?
Un giorno mio marito torna a casa e ci racconta che una persona è passata dalla fabbrica a chiedere il pizzo. A quella prima inutile richiesta seguono furti, minacce, telefonate… Il 10 gennaio del ’91, il Giornale di Sicilia pubblica la “Lettera al caro estortore” di Libero che ad aprile, intervistato da Michele Santoro a Samarcanda, ribadisce la sua intenzione di uomo onesto “non posso cedere le mie attività imprenditoriali alla criminalità”. A maggio, sempre del ’91, viene organizzato a Palermo un pubblico dibattito con giornalisti e rappresentanti del mondo accademico. Un grosso sforzo. Duemila invitati. In sala solo venti persone.
Libero è ormai in pericolo. Perchè non viene protetto?
Libero rifiuta la scorta perché allo Stato chiede la sicurezza di vivere da cittadino e imprenditore onesto che non accetta di piegarsi al ricatto mafioso. Per difendere il suo lavoro e i suoi operai si affida allo Stato e consegna le chiavi della fabbrica alla Polizia. Non solo dice pubblicamente che mai avrebbe pagato il pizzo, ma invita anche gli altri a ribellarsi… Lo uccidono la mattina del 29 agosto ’91, a pochi metri da qui, dalla nostra casa. Sento i colpi, ma non penso a lui. Ci eravamo salutati pochi minuti prima, l’avevo accompagnato all’ascensore mentre mi diceva che avevo potato la sua pianta preferita per fargli un dispetto ed io sostenevo che invece la pianta aveva ripreso a crescere. Avevamo messo in conto i danni più gravi alla fabbrica, ma non alla vita. Mio figlio Davide è a Palermo e viene immediatamente investito dal dramma. Alice è in vacanza in Spagna con il marito. Ricordo ancora le sue parole al rientro a Palermo “questa città non merita bambini”. Con il tempo la rabbia ha lasciato il posto ad un progetto di vita e di rinascita.
Libero non c’è più. E le sue idee?
Dopo essermi ripetuta all’infinito e adesso che faccio? capisco che posso testimoniare il valore delle idee per cui Libero è stato ucciso e comincio ad andare nelle scuole per incontrare ragazzi di tutte le età. Un’attività che ancora oggi continuo, sospesa solo nel breve periodo della mia esperienza al Senato, eletta a Torino nel ’92, candidata dai Verdi nel collegio Fiat Mirafiori. Nel giugno del 2009 sui muri di Palermo, su anonimi manifesti, appare la frase “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Intervistata dalla stampa rispondo che quelle parole sono così vicine alle idee mie e di Libero che, se scritte da giovani, può benissimo trattarsi di “miei nipoti”. Pochi giorni dopo i ragazzi di Addiopizzo si presentano alla mia porta: siamo i tuoi nipoti. Nascono così la nostra amicizia e collaborazione.
Gli studenti del Liceo Tassoni di Modena e dell'Istituto Magarotto di Roma hanno partecipato a Palermo alle manifestazioni in ricordo della strage di Capaci perchè vincitori dell'edizione 2010 del Premio 'Libero Grassi', promosso dalla Cooperativa Sociale Solidaria di Palermo.
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